martedì 7 maggio 2019

LIBERI DI PENSARE E DI PARLARE?







RUBRICA DI OPINIONE
"Agorà: piazza di discussione"





Venerdì 3 Maggio 2019 si è tenuta la Giornata mondiale della libertà di stampa, volta a sottolineare l'importanza della libertà editoriale e a ricordare ai governi (specialmente quelli filo-totalitari) il loro compito di "garante" della libertà di parola (Art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani). 
Purtroppo noi uomini prima compiamo gli orrori, poi cerchiamo di posizionare cerotti sulle atrocità del passato, tant’è che la suddetta celebrazione annuale nasce solamente nel 1993, il 17 dicembre (ma d’altronde, meglio tardi che mai), nel momento in cui le Nazioni Unite iniziarono ad interessarsi di ciò conferendo premi e tenendo conferenze internazionali, ricordando coloro rimasti uccisi durante il proprio lavoro e, in particolare, le vittime di Kabul (10 report uccisi solamente nel mese di aprile 2018).
Di seguito, una grafica realizzata nel 2019 in collaborazione con la ONG “Reporters Without Borders” per il portale web tedesco di statistica “Statista”, che ci mostra una mappa del livello della libertà di stampa nel mondo; la Norvegia ha registrato la migliore posizione, seguita da Finlandia e Svezia. I Paesi che occupano il fondo della classifica sono Eritrea, Corea del Nord e Turkmenistan. Dei 180 Paesi analizzati, solo il 24% è stato classificato come "buono", un calo dal 26% del 2018.



Tornando indietro di un anno, anche il 2018 è stato tutt’altro che rose e fiori; 80 giornalisti uccisi, 348 detenuti, 60 ostaggi e 3 dispersi, come mostra la seguente grafica di Reporters Sans Frontieres… Insomma, fino ad ora abbiamo parlato di professionisti torturati, minacciati ed infine giunti al punto di morte, per carità, massimo onore e rispetto per chi cade durante lo svolgimento di una professione così nobile, ricordare il passato è vitale per sviluppare al meglio il nostro presente e poi futuro, ma personalmente non mi piace piangere più del dovuto sul latte versato, cristallizzarmi sull’avvenuto, bensì concentrarmi su coloro ancora in vita che possono cambiare le cose e darci preziose pillole culturali acquisite dalla loro esperienza diretta, da fatti che hanno vissuto o che – purtroppo – vivono ancora oggi, ma soprattutto interessandomi sulle possibili cose da fare per migliorare la situazione circostante ( per esempio tutelare coloro che lavorano in determinati settori, dunque - in questo caso - i giornalisti, con le giuste osservazioni e mettendo mano per migliorare l’inefficiente macchina burocratica italiana, che altro non fa che tardare nelle indagini e nel prendere i “giusti” provvedimenti sicuramente non a tempo debito). 










In Italia, infatti, la libertà di stampa è osannata da ormai un paio di anni (mi soffermerò sulla situazione italiana, anche se nel mondo il modus operandi per tappare la bocca di coloro che vengono bollati come “scomodi” è più o meno simile), e nel Bel Paese – come la chiama Antonio Stoppani – si ci vanta di avere una stampa libera dai soprusi politici, libera di poter vivere autonomamente dal punto di vista economico (senza il necessario bisogno dei fondi statali per lo sviluppo delle testate giornalistiche), libera da coloro che si fanno trovare sotto casa tua con le braccia conserte - e sicuramente non pronti ad offrirti un pomeriggio tranquillo all’insegna di pacifiche chiacchierate - quando non sono d’accordo con ciò che hai scritto, dunque una stampa libera di poter scrivere ciò che vuole (naturalmente nei limiti consentiti dalla legge) senza pensare troppo alla post pubblicazione degli articoli, senza pensare “se scrivo questo, pinco pallino mi licenzia”, “se scrivo questo rischio di non tornare a casa”, “se scrivo questo mi censurano”… 

Ma dove? Ma quando? Chi sostiene ciò evidentemente è troppo impegnato a sorseggiare Dom Pérignon dall’alto delle sue terrazze invece di toccare la realtà con mano: l’Italia è prima nella classifica completa (stipulata tra gli Stati UE) delle aggressioni fisiche (83 aggressioni in tutto, seguita da SpagnaFrancia, Germania e Ungheria), fa da capocannoniera anche nelle intimidazioni con i suoi 133 casi di minacce, e “vanta” 3.722 giornalisti uccisi e/o vittime di violenze. Tra quest’ultimi presentiamo Graziella Di Mambro, minacciata di lesioni per le sue inchieste sugli appalti e la corruzione legata alla gestione dei rifiuti nel basso Lazio e a Minturno; Massimiliano Coccia, giornalista di Radio Radicale, che dopo un’intervista pungente ricevette un foglietto anonimo che prometteva “piombo”. E ancora gli attacchi a Federico Ruffo, giornalista di Report che nel dicembre 2018 ha subito un tentativo di incendio della sua casa. 
I giornalisti uccisi in Italia sono 28: undici ammazzati in territorio italiano per mano delle mafie o del terrorismo, diciassette all’estero. L’impunità arriva al 90% (fonti: www.osservatoriodiritti.it). 
«i giornalisti italiani sono più spesso minacciati da privati cittadini, che ricorrono spesso alla violenza fisica. Inoltre subiscono forti pressioni da parte di persone legate alla criminalità organizzata»
Questa serie di episodi, avrete capito, rendono lo stivale tutto tranne che un Paese 100% democratico in cui si possa esprimere apertamente il proprio pensiero, e la situazione non fa che peggiorare. “Bisognerebbe sostenere il loro lavoro perché danno un contributo rilevante alla causa della democrazia, occorre proteggere le loro voci che rifiutano ogni sopraffazione. La libertà di informazione, come attesta la nostra Costituzione, è fondamento di democrazia", come disse il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ma il problema è che qui in Italia siamo troppo abituati ad usare il condizionale… la teoria la sappiamo molto bene (a volte), ma nei fatti cadiamo come delle pere cotte. 
Il mestiere del giornalista, a mio avviso, è uno dei più belli su questa terra; dare alle persone la possibilità di informarsi attraverso le notizie che, normalmente, non saprebbero ricavare e ricevere. Una cosa bellissima. Purtroppo ciò - basandomi anche sull’ascolto di esperienze e fatti locali - è molto a rischio per diverse cause, due principali: la prima è per via dei social, i quali hanno portato molti giornali ad abbassare la saracinesca poiché le copie cartacee vendute si sono ridotte sempre di più (si è passato dalle 5.000 copie vendute alle 180 per alcuni giornali del posto), ma il problema non è solo dell’internet – e qui parte la seconda causa, la più brutta e deludente - ma anche del numerosissimo tasso di mancato interesse verso questa professione da parte dei giovani studenti; nessuno vuole più fare il giornalista, vuoi per le scarse retribuzioni iniziali, vuoi per la “seccatura a scrivere” (testuali parole ascoltate da me in prima persona), vuoi per il fattore di rischio in base a ciò che si scrive, questo lavoro è messo a repentaglio, ed è una delle cose che mi addolora di più, soprattutto sentendo i numerosi casi di cronaca riportati proprio nelle giornate come quella interessata alla libertà di stampa. Vorrei che la stampa libera non si fermasse a qualcosa di utopico ma che un giorno divenisse realtà, perché – in fondo – ci credo.

Siamo arrivati alla conclusione di questo articolo e spero di aver suscitato interesse in voi, portandovi alla riflessione e al porvi diverse domande a riguardo. A cosa pensiate sia dovuta questa carenza nell’interesse verso il lavoro di giornalista? Credete che in Italia la stampa sia, in qualche modo, libera? Se col tempo non esistessero più i giornali, o fossero totalmente filtrati, cosa scatenerebbe ciò nel mondo? Fatecelo sapere nei commenti. 


«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».






Aldo Maria Cupello
aldocupello6@gmail.com





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