venerdì 27 novembre 2020

Eugè, ci rivedremo e sarà bellissimo! A-Dio!

 

Condivido con quanti oggi sono rimasti all'esterno della Chiesa il mio ricordo di Eugenio, nella speranza che possa giovare a quanti ora soffrono per il dolore causato dal distacco fisico.



Al termine di questa celebrazione, in cui abbiamo messo Eugenio nelle mani del Padre Nostro, consentitemi di accostarmi al vostro dolore, ai vostri cuori, e alle vostre vite in punta di piedi. Vorrei condividere con voi alcuni ricordi che mi legano ad Eugenio nella speranza che possano avere su di voi, e in modo particolare sui genitori, sul fratello e sulle sorelle che saluto con particolare commozione, lo stesso effetto che in queste ore stanno avendo nel mio cuore, sussurrando quelli che penso siano alcuni insegnamenti che Eugenio mi ha consegnato e che vorrei lasciare davanti alla porta del santuario dei vostri cuori, lasciando a voi la decisione di farli entrare oppure meno.

 

1.     Il primo ricordo è un ricordo scherzoso. Ad Eugenio piaceva scherzare, era sempre allegro. Ti faceva ridere anche quando era arrabbiato.                                       

Quando sono andato a trovarlo a casa, era appena rientrato dall’ospedale, ho trovato un infermiere – Roberto – che lo stava medicando. Era evidentemente nudo e, non ricordo se Aldo o Roberto stesso, hanno fatto per coprirlo. Lui, invece, vedendomi entrare, prontamente si è scoperto guardandomi con uno sguardo scherzosamente ammiccante, per poi coprirsi. Io, che fino a quel momento non sapevo cosa avrei dovuto dirgli, quali parole erano adeguate al momento, l’ho guardato e spontaneamente gli ho risposto dicendo: “Eugè, puoi stare. Non mi tenti. Ho altri gusti”. Ho pensato: sta così male eppure non perde la voglia di scherzare. Penso che se ora fosse qui direbbe a ciascuno di noi: ridete, ridete sempre perché la vita è bella solo se vissuta con allegria, qualsiasi cosa succeda. Ridete anche mentre soffrite! Proprio come ha fatto lui fino alla fine. Penso che anche oggi vorrebbe vederci ridere, per quanto giustamente difficile.

 

2.     Il secondo ricordo è legato ad una frase che mi disse durante una nostra chiacchierata. Gli chiesi: cosa ti pesa di più, Eugè? E lui: stare fermo, dover accettare che gli altri facciano tutto per me senza che io possa fare niente per loro. Questa espressione mi ha fatto capire il dramma interiore che stava vivendo: non la malattia in sé, bensì accettare di essere amato fino in fondo senza poter fare nulla. Accettare che c’è un momento nella vita in cui si deve rimanere fermi e si deve lasciar fare agli altri. Pensavo: tante volte siamo sempre di fretta, dobbiamo fare fare fare… e invece sarebbe opportuno qualche volta fermarsi e lasciarsi amare. Quando sono tornato da lui dopo una settimana lo avevo trovato in volto, anche se con la febbre, molto più bello. Perché, per qualsiasi malattia, non c’è cura più importante dell’amore di chi ci sta accanto. Sono convinto che se dovesse ora parlare eugenio ci direbbe ancora: amatevi e lasciatevi amare perché il resto passa, l’amore resta.

 

3.     Il terzo ricordo è legato ad una grande virtù di Eugenio: anche se poteva sembrare a primo impatto superficiale, Eugenio era molto riflessivo. E in questa malattia ha riflettuto tanto, ha pregato, ha combattuto con se stesso. Un giorno, Dopo essersi confessato, mi ha detto: se penso a quante cose inutili che fatto, a quanto tempo e a quante energie sprecate per cose superficiali! Ora che il suo tempo si accorciava, sentiva di aver sprecato qualche angolo della sua vita e questo lo faceva soffrire. È la grandezza di un ragazzo che avrebbe avuto tutti i motivi per  pensare solo a se stesso e invece, come sempre ha fatto, continuava a pensare agli altri.
Questa sua bara silenziosa oggi penso gridi a ciascuno di noi la cosa più bella che Eugenio ha sempre vissuto e che ha approfondito nella malattia: “Non perdete tempo, non sciupate la vostra vita in rancori, banalità, superficialità”. Oggi ai nostri cuori, forse appesantiti da tante cose banali potrebbe ripetere, con quel tono di voce suo inconfondibile: e ja lassa stà … 

 

4.     Infine un ultimo ricordo … due suoi messaggi che voglio leggervi – sono sicuro che non si arrabbierà. Il primo è del 29 Giugno - scriveva: “Te l’ho detto voglio ricominciare al più presto, e soprattutto capire non “il perché a me”, ma piuttosto “cosa devo imparare da questo”. 
Il Secondo del 15 Luglio: “voglio continuare a stare con questo mio spirito convinto che sarà solo un passaggio che debba insegnarmi qualcosa di vero e di cui oltre a farne tesoro, deve essere una testimonianza”. Ecco tutti noi ora nel nostro cuore forse stiamo gridando con rabbia a Dio: “Perché?” Vorremo da lui una risposta, una spiegazione. Direi accogliamo la testimonianza di Eugenio che aveva smesso di chiedersi il perché, per passare alla domanda più profonda e più matura del “Signore, cosa hai da dirmi?” “Cosa devo imparare?

 

Caro Eugenio, oggi è il giorno delle lacrime, ma anche il giorno in cui ringraziamo di cuore il Signore per averti donato a noi, per aver fatto incrociare le nostre strade, per averci mostrato nella tua storia e anche nella tua sofferenza, vissuta con un coraggio, una voglia di andare avanti e – direi quasi – un entusiasmo divino che no, la morte non è più forte della vita! 

 

Alla fine, voglio dirti che ogni qual volta guarderò il cielo, immagine del luogo nel quale ora attendi di riabbracciarci tutti, ti penserò e magari, quando sarà pieno di nuvole, di tuoni e di lampi, penserò che è colpa tua … perchè sono convinto che come in terra così in cielo continuerai a fa rivutu con il basso tuba e l’eufonio, con il fragore delle tue risate e con la tua voce squillante, proprio com’eri abituato a fare qui in mezzo a noi. CI rivedremo, Eugenio, e sarà bellissimo … A-Dio, amico mio.



Don Giuseppe Fazio





mercoledì 25 novembre 2020

#Questononèamore /Alcune domande che nessuno si pone.

RUBRICA DI ATTUALITÀ


"Pensare fuori dalle Righe"





Stiamo celebrando la XXI giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una giornata certamente importante a patto che sia una giornata di riflessione profonda, autentica ed intelligente che non si risolva con i soliti slogan, qualche selfie mentre si poggia un mazzo di fiori presso chissà quale simbolo del femminicidio, o qualche frase poetica postata sui propri profili social.

 

Onestamente, quando si celebrano queste giornate, il mio timore, sempre meno latente, è proprio che finisca in questo modo, come si dice dalle nostre parti, “a tarallucci e vino”. Tuttavia, e questo mi sembra importante dirlo, è giusto, durante il corso dell’anno, porre alcuni accenti. Per cui ben vengano queste celebrazioni.

 

Cogliendo la campagna di sensibilizzazione del mio comune di origine (Cetraro) allora vorrei, quindi, cogliere l’occasione per porre qualche domanda di fondo per dare un piccolo, ma forse utile, contributo alla riflessione di quanti avranno la pazienza di leggermi:

 

In primo luogo: com’è possibile che dal 1999, anno in cui viene istituita questa giornata, fino ad oggi, pur parlando in modo sempre più incisivo di “femminicidio” e di violenza sulle donne, i casi sono in continuo aumento?

 

Anche se abbiamo avuto il riconoscimento dei diritti delle donne, è stata (apparentemente) scardinata una mentalità maschilista, il ruolo delle donne è stato rivendicato anche in posizioni di comando e di prestigio, la violenza verso il gentil sesso continua a crescere. Questo mi sembra un dato da attenzionare.

 

Intanto si deve dire che il problema non è la violenza contro le donne, ma la violenza in genere. Settorializzando i tipi di violenza, senza accorgercene, mettiamo in campo delle discriminazioni al contrario inducendo, forse in modo involontario, il pensiero che alcune violenze siano meno gravi di altre. Niente di più falso.

 

In secondo luogo mi domando, e questo afferisce direttamente al problema posto in questione dalla giornata di oggi: è possibile che forse ci sono dei bacini che aumentano e fomentano la violenza sulle donne di cui nessuno prende atto e che, anzi, ciascuno utilizza tal volta con orgoglio, quasi fosse una cosa normale?

 

Mi riferisco, per esempio, alla pornografia. Come molti hanno dimostrato la pornografia è indirizzata principalmente agli uomini (cfr. gli studi della sessuologa atea Therese Hargot o di padre Raimondo Bardelli). Non è un caso che i registi e i produttori di pornografia siano principalmente uomini. Il fine è quello di sollecitare l’istinto ed il piacere e l’immaginazione umano (prevalentemente maschile), indirizzandolo e alterandolo, per trarne profitto. Anche qui è ben risaputo che la macchina della pornografia produce milioni e milioni di euro all’anno.

 

Ora … prendete un bambino che a 10 anni inizia a guardare pornografia (a quell’età sanno già usare internet da almeno quattro anni) e che si abitua ad approcciare la propria sessualità e la sessualità di una donna per trarne piacere incondizionato, metteteci l’incapacità dei genitori di educare alla possibilità di non soddisfare il proprio ego ed una società che sempre più ci dice “se ti piace è giusto che tu lo faccia” e poi domandatevi quale risultato probabilmente verrà fuori.

 

Diciamolo chiaramente: non sto dicendo che la pornografia sia la causa della violenza sulle donne, ma sto dicendo che questa abbia un ruolo principale nell’educazione (o diseducazione!!!) alla concezione della donna. Non si tratta più delle immagini hot a cui la commedia all’italiana ci ha abituato (anche se lì esisteva anche una buona dose di maschilismo). Esistono miglia di siti in cui le donne vengono pagate dagli utenti per sottomettersi ai loro desideri. Ancora una volta la domanda: come un ragazzo si approccerà alla propria fidanzata se per mesi o anni ha pagato ragazze che esaudivano le sue perversioni in modo accomodante? Avrà come metro di riferimento il principe azzurro? Sicuramente no.

 

Aggiungiamo un elemento: la pornografia ha in sé elementi di violenza. Nei film porno, che in quanto film sono evidentemente finzione, non sono presenti carezze, coccole, gesti di tenerezza, ma pura istintualità volta al piacere che chiede, per se stesso, una emulazione. Per altro esistono categorie di porno che inneggiano esplicitamente alla sottomissione.

 

C’è un’altra aggravante poi che spesso viene sottovalutata: dai 10 a 16 anni, non solo termina il processo di formazione della propria identità, ma non ci si rende pienamente conto di quello che si assorbe. Per cui a 20-25 anni ci si può ritrovare con un bagaglio di violenza e di superficialità di cui la prima vittima è la persona in questione. 

 

Chiaro: non trasformiamo il carnefice in vittima, ma se vogliamo andare al fondo delle questioni queste riflessioni sono obbligatorie!

 

Purtroppo, di questo aspetto non ne parlano i politici e le associazioni, troppo poco ne parla la Chiesa e la scuola quando lo fa, lo fa in maniera spesso approssimativa e, talvolta, distruttiva. Perché? Perché purtroppo la pornografia è qualcosa che oggi è ritenuta normale, bella ed utile, magari ad alimentare e colorare la vita sessuale di coppia, ma #questononèamore.

 

Eliminare un problema, come la violenza sulle donne, vuol dire impegnarsi a ricercarne tutte le cause. Bisognerebbe incentivare questa attenzione che certamente richiede studio, sforzo, riflessione, messa in discussione. Senza la ricerca delle cause, infatti, la commemorazione è solo teatro. E di teatranti purtroppo … ce ne sono tanti!

 




Don Giuseppe Fazio

gfazio92@gmail.com







martedì 10 novembre 2020

IL COVID E L’UMANITÀ PERDUTA

RUBRICA DI ATTUALITÀ


"Pensare fuori dalle Righe"





  

Nel periodo del primo lockdown avevamo tutti quanti sperato che la sofferenza generale, dovuta alla limitazione necessaria dell’esercizio della nostra libertà, avrebbe ricondotto ciascuno di noi all’essenziale.

 

Ci avevamo creduto per davvero mentre le immagini di infermieri distrutti, di bare condotte nei cimiteri senza nemmeno una benedizione e delle strade deserte si imprimevano non solo nella nostra memoria, ma soprattutto nei nostri cuori.

 

Eppure, l’immediato “tana libera tutti” avvenuto con la stagione estiva ci ha presto dimostrato che in fondo davvero poco ci ha insegnato questa pandemia. Non solo perché il rispetto basilare delle norme che ci erano state indicate è stato totalmente disatteso ed eluso, salvo poi prendersela con i politici se i casi di contagio sono aumentati nuovamente quando di fatto fino all’altro giorno eravamo tutti abbracciati sui lungomari, nelle piazze o nei locali notturni. 


Ciò che colpisce e ferisce maggiormente è questo clima che, complice un’informazione distorta, va’ costituendosi sempre di più: una sorta di “caccia all’appestato” da stigmatizzare, insultare e finanche colpevolizzare!

 

Che la nostra società non sapesse fare più i conti con la malattia era un fatto ormai evidente da qualche decennio: aborto e eutanasia sono solo due spie di questa chiara malformazione della nostra cultura contemporanea. Tuttavia, avevamo ancora qualche speranza che almeno con i nostri vicini di casa, i nostri amici e conoscenti malati potessimo avere un approccio diverso. E invece no!

 

Qualche giorno fa, prese le dovute precauzioni, mi sono recato a casa di una famiglia della mia parrocchia per dare la benedizione ad una signora deceduta anche per via del covid. Ad essere positiva, stando a contato con la donna contagiata, è risultata successivamente tutta la famiglia. 

Ho avvertito tanto disagio e tanta amarezza ascoltando le parole del figlio che, a distanza, mi diceva parole simili: “non solo abbiamo perso nostra madre, ma dobbiamo sopportare anche il peso di tante parole come se essere malati fosse una colpa da scontare!”

 

Avrei voluto abbracciare quel ragazzo, ma purtroppo non sono ai livelli di San Francesco d’Assisi che baciava i lebbrosi. Avrei voluto abbracciarlo e dirgli che la tragedia più grande non è affatto il Covid, no! Di fatto per quanto pericolosa sia questa pandemia, la morte attende ciascuno di noi, in un modo o in un altro.


La pandemia più pericolosa è la perdita dell’umanità che, sempre più velocemente, dilaga nel cuore di ciascuno di noi, probabilmente anche in quello dello scrivente. Il Covid non è altro che uno specchio nel quale questa realtà ci viene mostrata in tutta la sua durezza! Avremmo dovuto imparare da questa pandemia che da soli non bastiamo a noi stessi, avremmo dovuto riscoprire la bellezza della compassione (soffrire insieme), della solidarietà, dell’amicizia e invece … ci riscopriamo sempre più egoisti. 

 

Chissà se un giorno capiremo … Chissà …





Don Giuseppe Fazio

gfazio92@gmail.com