martedì 11 agosto 2020

L’ABORTO: LA MIA ESPERIENZA

 RUBRICA DI ATTUALITÀ


"Pensare fuori dalle Righe"





 

Intendiamoci: non mi sono mai trovato nel momento tragico in cui ho dovuto decidere se abortire o meno, o se acconsentire all’aborto della mia compagna. Nel primo caso per una questione di natura, nel secondo per una questione di scelte che derivano dal mio essere sacerdote.

 

Tuttavia, anche io posso vantare esperienza in questo campo. In almeno due sensi: uno passivo e uno attivo. 

 

Infatti, quando ero – come alcuni sostengono – un semplice ammasso di cellule, la mia mamma, in un momento di crisi e di fragilità, pensò all’aborto. Riuscì ad evitare quella triste scelta grazie al ginecologo che, comprendendo il suo essere medico fino in fondo, volle parlare con mia madre, ascoltarne le sue ragioni per farla poi ragionare sulla scelta che di lì a poco avrebbe voluto compiere. Alla fine, poi le disse il suo personale parere: lui non avrebbe praticato ciò che le sarebbe stato chiesto. A sentire mia madre quel medico le ha evitato di fare il più grande errore della sua vita (e ci credo: si sarebbe perso sto capolavoro di figlio!).

 

Per quel che mi riguarda, per quel che riguarda la mia vita, basterebbe questo evento personale per affermare la negatività di questi nuovi provvedimenti che faciliteranno ulteriormente la pratica dell’aborto fino al nono mese e che, sempre di più, favorisce la possibilità di scegliere con leggerezza e disinformazione: ci saranno tante donne che, presa la decisione chissà in preda a quale stato emotivo di fragilità, non avranno nemmeno l’opportunità di sentire un parere diverso. Il tutto? Tutelato da una bella sfarinata di “libero arbitrio”.

 

Basterebbe questo – dicevo – ma c’è un’altra esperienza personale che porto nel cuore: quella dell’ascolto delle confessioni. Spesso si pensa che un prete sia contro l’aborto per partito preso, perché deve obbedire al papa, o, forse, perché ignorante di medicina. In realtà noi abbiamo la possibilità di praticare una scuola molto più dolorosa: l’ascolto delle sofferenze degli altri. Sento di poter condividere le parole del Vescovo di Ascoli che, in queste ore, ha affermato: “Non ho mai trovato pace nel cuore di una donna che ha praticato l’aborto”. È vero, nemmeno io. 

 

Ricordo in questo momento due casi particolari. Il primo in realtà era un uomo che, qualche decennio fa, convinse ripetute volte la propria compagna ad abortire. Ricordo che ero era una delle prime volte che entravo in confessionale da prete. Mi trovavo ancora a Roma. Entrò questo signore piuttosto grande e mi disse all’incirca queste parole: padre, devo confessare un peso che mi porto nel cuore da tanti anni. Ho sentito una catechesi di Papa Francesco e finalmente ho deciso di liberarmene.

 

Erano passati anni e anni, si era sposato, aveva avuto figli, si era fatto una posizione eppure quel peso era proprio lì, nel fondo del suo cuore. Non gli erano bastate le solite giustificazioni: eravamo troppo giovani, non potevamo crescerlo, era una questione di altruismo, in che mondo lo vado a crescere!?

 

Non c’era pace in quell’uomo, proprio come nel cuore di quell’altra ragazza che, giovanissima, si trovò in attesa di un bimbo. Un compagno insicuro (la responsabilità non è mai solo della donna!), una situazione economica precaria, forse anche la voglia di vivere tante altre esperienze prima di fare la mamma e … quale soluzione le venne proposta? Se non te la senti: pratica l’aborto. Anche per questa ragazza sono passati diversi anni e, solo dopo un lungo cammino, pian piano, sta riacquistando quella pace che solo la Misericordia di Dio può restituire ad un cuore ferito.

 

Ricordo i lunghi colloqui passati a raccogliere le sue lacrime, in silenzio, senza aggiungere altro. E poi il coraggio di dare un nome al bambino, di celebrare per lui la messa.

 

In un caso, come nell’altro, e in tanti altri ancora, la costante è sempre la stessa: “se solo avessi capito cosa stavo facendo; se solo qualcuno mi avesse detto la verità sulle conseguenze”.

 

Ecco … al di là del giudizio morale sull’aborto (condivido quello della Chiesa), è la sofferenza che quest’atto genera che è immane; non solo perché uccide il bimbo, ma perché, insieme a lui, fa morire anche una grossa parte della donna che interrompe la gravidanza (certo a patto che si renda conto di cosa ha fatto) e una parte dell’eventuale compagno o marito che, prima o poi, sentirà la voce della coscienza rimproverargli al verità: “La responsabilità non era solo sua (della donna)”.

 

Per questo la Chiesa non può – quale grande peccato di omissione farebbe altrimenti! – tacere l’orrore di una pratica che ogni anno stermina migliaia e migliaia di bambini, distruggendo altrettante esistenze con il marchio della depressione, della frustrazione, dei sensi di colpa e del rimpianto. Anche se volessimo, non possiamo proprio dire che l’aborto sia una conquista sociale. 


E questo, mettiamocelo in testa una volta per tutte, non è un giudizio su chi lo ha praticato, perché tante volte, come dicevo, queste scelte vengono compiute senza piena libertà, senza una coscienza ben informata, senza il supporto che adeguate decisioni richiederebbero. Di fatto, questi provvedimenti lasciano ancora più sola la donna nell’atto di decidere una cosa così importante. Del resto, è il grido delle femministe no? L’utero è della donna, deve decidere lei. 

 

L’esperienza mi insegna che davvero questa manfrina non funziona.




Don Giuseppe Fazio
gfazio92@gmail.com