giovedì 14 giugno 2018

CRISTIANI DA FAR PAURA

Rubrica di Attualità: Il mondo interroga la fede - la fede interroga il mondo.

Qualche giorno fa siamo scesi in spiaggia per goderci prima della partenza una giornata in riva al mare, che rivedremo se tutto va bene, a settembre. Vedo arrivare in lontananza lui, il “vu cumprà”. Percorre un lungo tratto di spiaggia nonostante ci siano pochi bagnanti. Come al solito, porta sulle spalle un peso non indifferente. Non è per niente giovane, e si vede che seppur abituato alle temperature alte del Senegal, sia provato dal caldo e dalla stanchezza. Come tutti gli altri, ha una famiglia lontana alla quale cerca di assicurare il minimo necessario. E ha una casa, abbastanza diversa da quelle occidentali, che è il luogo in cui col pensiero si reca centinaia di volte al giorno, per darsi forza. Arriva sempre con la testa bassa e le spalle curve e portate in avanti; sa anche lui che la gente è stanca perché sono in tanti. Ma appena incontra uno sguardo, sorride teneramente. Ogni tanto parliamo, e il suo modo di porsi è sempre discreto ed educato. Ogni volta che lo vedo mi chiedo quali fossero le sue speranze quando ha consegnato la cospicua somma di denaro che gli ha permesso di sognare. Avrà mai pensato che sarebbe stato così faticoso? E’ comunque fortunato, perché a differenza di molti (oltre i trenta mila morti negli ultimi anni durante l’attraversata), lui alla destinazione è arrivato. E ha la fortuna di avere questo lavoro che gli permette di guadagnare poco, ma abbastanza da poter dividere un affitto con altri connazionali, e in tasca gli restano così 200 euro mensili. Stavolta mentre lo vedevo arrivare, mi sono sentita in forte imbarazzo. Avrei avuto difficoltà a reggere il suo sguardo. Siccome non bastassero già i pesi, ora si è aggiunta anche la paura del non sapere come e dove andrà a finire domani. 
Ho provato vergogna di essere cittadina di un paese, culla della cultura, della civiltà e del diritto che ora condanna chi già ha perso tutto. Ho ricordato il giorno di qualche anno fa in cui dissi credendoci pienamente “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato”. Fosse oggi, penso che non avrei più lo stesso entusiasmo. Nel guardarlo, nel pensare agli sfortunati sull’Aqaurius, per un attimo non mi sono riconosciuta più in questo stato. Credo sia una cosa grave, ma è difficile riconoscersi in uno stato fatto di persone che da settimane non smettono di sentenziare con parole che sanno di odio contro i deboli, al mercato, agli angoli delle strade, nello spazio virtuale. Così come non mi riconosco affatto in chi ora ha nelle mani le loro sorti e che questo stato lo rappresenta. Fa male toccare con la mano l’inconsistenza del pensiero comune, mediocre, perché assorbiamo tutto come spugne senza riflettere e senza cercare da soli le verità. Facciamo nostro tutto ciò che ci viene detto, non solo perché non teniamo più libri, ma telefonini in mano, e anche perché siamo tanto limitati nell’amare. Ci sono persone che si fanno i conti con i soldi dei fondi europei (che non si posso dirottare) destinati alla gestione dei migranti dicendo ancora che con quelle somme avremmo potuto aiutare “i nostri”. Si, li abbiamo aiutati già, specialmente coloro che hanno speculato sulla gestione delle quote. Ma non vorrei nemmeno da lontano toccare la soglia di un pensiero politico… La stessa veemenza che dobbiamo mettere nel chiedere alla politica di fare di più e di meglio, dobbiamo poi usarla nel fare ciò che tocca a noi cristiani: servire, operare senza “se” e senza “ma”.
La cosa che fa più male è vedere e sentire cristiani che battono i pugni sul tavolo con più frenesia degli altri. Per un cristiano non c’è un “prima i nostri”, perché “nostro” è ogni essere umano. C’è invece un “amatevi gli uni gli atri come io ho amato voi”, perché chi non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede. C’è un “ero straniero e non mi avete accolto”, che oggi più che mai graffia le coscienze fino a farle sanguinare. C’è un “abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo”. C’è il “come ho fatto io, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Le parole di Cristo sono imperative: dovete! Inginocchiarsi di fronte all’altro per sollevarlo dalla sua povertà fisica o morale, dalla sua sofferenza, per il cristiano non è un optional, semplicemente deve: “Fatte questo in memoria di me.” “Dovete”: non ci sono delimitazioni o restrizioni; non ci sono postille che dicano che i primi devono essere quelli come noi, postille che indichino come alcuni debbano venire prima di altri. Non è affatto nello stile di Gesù manifestare preferenze, se non nei confronti degli ultimi, chiunque essi siano. Fa male guardarsi attorno e vedere cristiani che (facendo anche molto rumore) prendono le distanze dal Vangelo. La “pacchia” non è finita come pensano, ma appena inizia. Inizia una pacchia molto pericolosa, quella della coscienza e della ragione che, rifacendomi alla visione di Goya, farà nascere mostri. Basta fermarsi a riflettere su dove sia finito il nostro spirito cristiano, del quale sappiamo ormai solo riempirci la bocca. 
“Lupus est homo homini” di Plauto, oggi riassume perfettamente la nostra condizione. Fa male l’ipocrisia nel dirci cristiani, uomini e donne che accolgono, che servono, che amano. No, non sappiamo amare nel fermarci al cerchio stretto della propria famiglia, ambiente o struttura nella quale ci piace identificarci. Non è amore quello che si chiude al diverso. Non è amore quello che fa comodo. Non è amore quello che pone condizioni. Non è amore quello che guarda alle proprie necessità e ne fa una priorità. Non è amore quello che isola. Non è amore quello che giudica. Non è amore quello che non sa più guardare negli occhi. Mi fa paura ciò che sento e leggo questi giorni, e fa paura il nostro denudarci gratuitamente e sbandierare con leggerezza sentenze che ci rendono così piccoli. E’ vergognoso e offensivo nei confronti della nostra natura, che è ben altro. Fa paura guardarsi attorno, anche tra le persone con le quali si condivide lo stesso credo e cogliere che sono pochi, troppo pochi coloro con i quali si è in sintonia nel sentire e pensare. Sopraggiunge una sorta di scoraggiamento, perché non posso più avere la fiducia nemmeno nelle persone che pensavo di conoscere. E se un giorno fossi io a dover avere bisogno di loro? Fa paura al pensare che i nostri figli potrebbero assimilare l’ideologia della disumanizzazione dell’uomo, il futuro che stiamo costruendo: quello di arrivare a guardare inerti verso i disperati che bussano alle porte, perché noi abbiamo delle priorità e abbiamo già perso abbastanza tempo. E hanno inventato il “perbenismo”, dietro il quale c’è la resa di fronte al peso di una vocazione, quella cristiana, che sappiamo… è molto impegnativa e molto scomoda.
Scrive padre Giuseppe Celli nella sua proposta di lectio divina, Grembiule ai fianchi: “Beati noi se serviamo i sofferenti, gli incompresi, gli umiliati e tutti i crocifissi dei nostri giorni, senza mai servirci di loro. […] Beati noi se – indipendentemente dall’essere uomini o donne- sappiamo avere un cuore di madre per coloro che incontreremo sul nostro cammino. […] Beati noi se - a immagine della Comunità Trinitaria- sappiamo essere comunione di persone uguali e distinte. Allora il sogno di Dio si fa realtà.” Beati noi, se avremo il coraggio di seminare amore, camminando controcorrente sulle vie del mondo.



Andreea Chiriches Leone




sabato 9 giugno 2018

“FRONTIERA” E COERENZA. UNA QUESTIONE DI SCHEMI.

Rubrica di Attualità: Pensare fuori dalle righe.


È più forte di me … in momenti come questi, avverto un grande senso di confusione e di contraddizione, quasi di inquietudine. Non so se avete presente quei momenti in cui hai lo stomaco contratto e la voglia di spaccare a testate il muro; ecco questo è uno di quei momenti. Perché? Lo spiego subito …

Qualche settimana fa, durante il giro d’Italia, si sono levate da diverse parti (cittadini, istituzioni, partiti politici, ecc …) critiche per il becero modo di alcuni giornalisti Rai con il quale sono stati presentati un paio di paesi della Calabria e della Sicilia. Tra questi paesi c’era il mio. 

In quelle ore era un continuo di messaggi, articoli, post sui social: tutti erano indignati. Giusto – mi sono detto. Non si può sfregiare l’immagine di un paese in diretta nazionale. Bisogna avere delicatezza, tatto, comprensione per una terra che a fatica, lentamente, si sta rialzando dopo anni di violenza, morte e silenzio. Con un po’ di fatica ho compreso anche il malumore di tanti miei concittadini che, ancora una volta, si son sentiti gettati addosso l’etichetta di una storia che pesa a tanti di noi. Pesa ai parenti di quegli oltre dieci morti ammazzati dei quali ancora non si conosce il nome degli assassini e dei mandanti; pesa a quelle mamme, quei fratelli e quelle sorelle che non hanno nemmeno una tomba dove piangere i loro cari perché i loro corpi son spariti chissà dove; forse nell’acido, forse infondo al mare, magari in una di quelle navi che – si dice – non esistano. 

Ieri, invece, a Catanzaro si è concluso il processo “Frontiera”; processo che vede alla sbarra quasi la totalità del cosiddetto "Clan Muto". Sono state date pesanti condanne e assoluzioni, se non assurde, almeno poco comprensibili. Sarà un limite mio, ma io non riesco a capire mai com’è possibile che se per un detenuto si chiedono venti anni, poi si finisce con un’assoluzione. Ma che sono limitato – io – l’ho sempre saputo. Tuttavia il processo ha portato ad una grande svolta: 191 anni di carcere circa per 24 persone. Che significa? Lo Stato c’è e si sta riappropriando del suo territorio. 

Ecco … da ieri speravo di vedere un post, una dichiarazione ufficiale, almeno di chi si è costituito parte civile, dei cittadini. Niente … Perché in questi casi non c’è una passerella da solcare, un voto da guadagnare, un’immagine da rifarsi. Non c’è nemmeno un morto da piangere. E allora perché scrivere? Perché dire qualcosa?

Ci si copre sempre con il maledetto alibi: “lo stato è assente”. Ecco lo Stato sta celebrando un importante processo in Calabria (per la verità più di uno ne sono in corso), ma lo Stato non sono solo le istituzioni, siamo prima di tutto noi cittadini. Eppure preferiamo il silenzio. 
Ma non succede solo in Calabria. Ad Ostia – a pochi km da Roma – Federica Angeli si è vista costretta ad annullare la presentazione del proprio libro, attaccando frontalmente i propri concittadini, per svegliarli. Per fortuna c’è riuscita e, non solo i cittadini di Ostia, giovedì prossimo scenderanno in strada per dimostrare che sono a fianco dello Stato nel processo contro il famoso “clan Spada”, quello della testata al giornalista, e - magari - l’aula del tribunale di Rebibbia non sarà più piena solo di avvocati, giornalisti e dei parenti o tifosi (perché ci sono anche quelli) degli imputati, ma anche di cittadini onesti che ci mettono la faccia. 

Ma sì … infondo i miei amici me lo dicono sempre: “Giuseppe, non tutti ragionano come te. Hai tanti schemi, aspettative”. Boh … penso che sia vero. Hanno ragione. Però, secondo me, la coerenza ed il coraggio non sono schemi. Sarà uno schema anche questo? 

Un pensiero – alla fine – lo voglio rivolgere a quegli uomini e quelle donne che per diversi anni non abbracceranno i loro familiari. L’ho fatto tante volte, lo voglio rifare oggi: “Voi potete essere, con il vostro affetto e la vostra decisione, un importante pungolo che spinga i vostri cari a cambiare vita. Voi potete, con la sofferenza che portate nel cuore, prendere delle decisioni per invitarli a riflettere, a cambiare vita, a rinascere. Stategli accanto, ma nella verità! Voi potete, noi stiamo accanto a voi”. 


Don Giuseppe Fazio





sabato 2 giugno 2018

POLITICA E COERENZA: FACCIAMOCI QUALCHE DOMANDA.

Rubrica di Attualità: Pensare fuori dalle righe. 


Chi segue questo blog sa benissimo che quasi mai tratto argomenti che riguardano la politica. Da consacrato, infatti, non è mio intento, e neppure mio compito, scrivere su questo o quel partito. Tuttavia ci sono dei casi, e quello che mostrerò a breve ne è uno, in cui è il Vangelo stesso che ci interpella riguardo alla questione politica nel senso più profondo del termine. Chi sostiene, infatti, che Politica e Vangelo siano due cose differenti ed inconciliabili dovrebbe, non solo rileggere il testo sacro, ma anche il Magistero ufficiale della Chiesa dell’ultimo secolo. Basti ricordare gli interventi di Paolo VI il quale, tra le altre cose, definì la Politica la più alta forma di carità, oppure quelli di Francesco che all’Azione Cattolica Italiana ha espressamente chiesto di formare uomini e donne capaci di impegnarsi in Politica, quella con la “P” maiuscola. 
Posta questa breve premessa, per evitare le più superficiali reazioni, vorrei semplicemente esporre una riflessione sul concetto di coerenzache purtroppo noi italiani abbiamo troppo facilmente messo da parte soprattutto nel campo della politica. Un tempo la coerenza era il minimo indispensabile richiesto perché si potesse sperare di essere candidati in un partito, adesso sembrerebbe il minimo dispensabile. Lo scenario politico delle ultime settimane, se ancora ce ne fosse stato bisogno, ce lo ha ampiamente dimostrato.
Facciamo alcuni esempi: Il 23 Maggio Di Maio sosteneva che i ministri li avrebbe dovuti scegliere il Presidente della Repubblica. Pochi giorni dopo, quando Mattarella pone il veto sulla candidatura di Savona al ministero dell’economia, lo stesso Di Maio sostiene che il Presidente abbia compiuto un atto non costituzionale (Mentiva il 23 Maggio?). Solo poche ore dopo (forse qualcuno gli avrà fatto notare la contraddizione) arriva a sostenere che il problema non fosse il veto, ma la motivazione data, manifestando la determinazione a procedere per l’Impeachment. Non passa neppure una settimana che l’impeachment sembra un brutto incubo, si torna a collaborare e formare un governo con un presidente della Repubblica che poche ore prima era stato definito irrispettoso della Costituzione e del volere dei cittadini cosa sulla quale non si poteva assolutamente transigere a qualunque costo. 
Un esempio ancora più datato, ma non troppo, è quello di Matteo Renzi, il quale aveva garantito che, se avesse perso il Referendum (ritengo che non ci sia cosa più squallida che politicizzare un referendum sulla costituzione), si sarebbe completamente ritirato dalla scena politica.  Più simpatico, si fa per dire, fu Matteo Salvini che prima entra in polemica con alcuni ecclesiastici, poi in campagna elettorale sventola il rosario per accaparrarsi i voti dei cattolici, come se bastasse avere un rosario in tasca per essere tali. 
Insomma … ce n’è per tutti i gusti. Posti questi esempi – lo ammetto – in modo del tutto sommario. Vorrei, questa settimana, condividere con voi una semplice domanda: Se questi personaggi continuano a governare lo scenario politico della nostra amata nazione, se si permettono questi cambi di idee senza nemmeno la preoccupazione di nascondere evidenti contraddizioni, non vuol dire forse che qualche responsabilità sarà anche nostra?
In questi giorni pensavo: l’unica cosa positiva di queste ultime settimane è stata che un po’ tutti gli italiani hanno iniziato ad interessarsi nuovamente alla politica. Allora forse è il caso – proprio ora – di cominciare a rivedere i parametri con i quali si vota. Magari sarebbe ora di smettere di votare “per protesta”, “per simpatia”, “per parentele”, “per ricambiare favori”. Sarebbe, forse, il caso di cominciare a votare sulla base dei programmi elettorali, della coerenza con le proprie idee, della trasparenza e della serietà dei candidati. 
Forse sono state un po’ dure le parole di Oettinger; un giudizio duro che da un uomo di tal livello nessuno si sarebbe aspettato, ma non possiamo non ammettere che un fondo di verità in quella frase si trova; o forse almeno una speranza. Sì, quella che tutto questo teatro al quale stiamo assistendo da diversi anni e che negli ultimi mesi ha assunto tinte di ridicolo, abbia insegnato a ciascuno di noi quanto è importante votare con coscienza, intelligenza e attenzione. Del resto dovremmo ricordare ogni volta prima di esprimere la nostra preferenza che, parafrasando una pericope del Vangelo di Luca, “chi è incoerente nel poco, lo è anche nel molto”.


Don Giuseppe Fazio