lunedì 28 novembre 2022

Un serata CON Eugenio

 Carissimi fratelli e sorelle, 

 

            intanto consentitemi di ringraziare don Gianfranco, parroco di questa comunità, che molto felicemente ha accolto il desiderio dei ragazzi della banda di celebrare questa eucarestia e anche ha acconsentito con gioia al medesimo desiderio dei ragazzi che fossi io a presiederla. Di questo lo ringrazio personalmente.

 

Ci troviamo all’inizio dell’anno liturgico. Oggi è il primo dell’anno liturgico e siamo qui per pregare per Eugenio, ma direi, soprattutto, con Eugenio. Quando avevamo pensato a questa celebrazione non avevamo previsto che sarebbe caduta nella prima domenica di Avvento. E credo che questo sia un significativo regalo della Provvidenza. 

 

Ecco … quando si comincia un viaggio – e l’anno liturgico lo è  -  ormai tutti siamo abituati a fare una cosa: impostare la meta di arrivo sul gps. Quante volte è capitato di impostare male la meta del gps? Infinite. Oppure che Google non ricevesse giustamente le indicazioni che gli stavi dando; magari per aver frainteso due vie con un nome simile? Avoglia… e ti sei fatto il viaggio tranquillo, sapendo che saresti arrivato in orario e, invece, ad un certo punto … terrore perché ti sei accorto che stavi andando da tutt’altra parte. Dio solo sa quante maledizioni ho inviato a google maps che se anche la metà fossero arrivate a destinazione poveretta la signorina che parla… 

 

Ecco … impostare bene la meta di arrivo. Perché da questo deriva il viaggio, le scelte che farai, le strade che percorrerai. Questo deve essere chiaro in partenza. È proprio per questo motivo che nel primo giorno dell’anno liturgico si parlato della meta di ogni uomo: il cielo 

 

Noi stiamo per iniziare da capo l’avventura di Gesù (Natale, Pasqua, Ascensione, Pentecoste) che cioè nasce, non risolve i problemi di questa terra, non elimina le malattia, le sofferenze, la fame nel mondo, le guerre, ma va al cielo. E se questo non è chiaro dall’inizio il rischio è di essere un po’ come Pietro e Giuda che, poiché ad un certo punto si accorgono che il Signore sta puntando ad un altro obbiettivo, uno ci litiga (Pietro), l’altro lo vende (Giuda).

 

Impostare bene la meta. Domandarsi: dove stai andando? Ti basta mangiare e bere, come ai tempi di Noè? Ti basta che la tua vita sia tutta lì: lavori, mangi, bevi, ti accoppi, ti diverti … tutto qui? Va bene? Il tuo cuore sta davvero desiderando una vita così mediocre? 

 

Io sono felicissimo di essere qui stasera, ma ho anche tanta paura che molti di voi fraintendano il motivo principale per cui siamo qui. Noi non siamo qui per ricordare un amico, per sentire parlare di Eugenio e magari versare qualche lacrima insieme. No, noi siamo qui perché in Eugenio abbiamo visto che cos’è un uomo quando punta al cielo

 

Noi, in Eugenio abbiamo sentito il sapore dell’eternità. E questo sapore lo abbiamo desiderato anche noi. Io ho visto Eugenio nel letto sofferente, morente  (questa è la parola giusta) ridere e scherzare e sapevo quale era il suo segreto. Me lo aveva rivelato: sto cercando di capire cosa Dio mi sta insegnando in questa malattia

 

E cosa gli ha insegnato? Una cosa che in realtà tante volte gli aveva già fatto fare: dimenticarsi di se stessi – il mangiare e il bere sono gli atti di chi pensa al proprio stomaco, a se stesso – per amare gli altri, qualunque cosa ti stia accadendo. In Eugenio noi abbiamo visto la storia di Gesù Cristo ripetersi: il Figlio di Dio che non pensa al suo stomaco, ma parla di un altro cibo e diventa lui stesso cibo.

 

Ah … Dio solo sa in questi due anni quante volte Eugenio è diventato cibo. Io posso testimoniare che la sua storia è diventata cibo tante volte per i bambini del catechismo di Marcellina; per diversi ragazzi che hanno iniziato il cammino delle 10 parole che due volte al mese teniamo a Sangineto, per tanti adulti che ho confessato o che accompagno spiritualmente. 

 

E tutte le volte che ne ho parlato ho visto gli occhietti di questi ragazzi desiderosi anche loro di andare al cielo. Certo … perché in fondo anche il più sicuro di sé che sta qui questa sera, anche il più forte, quello che ancora non ha preso abbastanza sberle dalla vita, sa benissimo che mangiare, bere, accoppiarti e divertirti, prima o poi, ti annoia, ti stufa.

 

Lo aveva capito anche Eugenio. E questo di lui io l’ho capito in ritardo. E una delle cose su cui ritorno spesso. C’è stata una fase della vita in cui Eugenio, come tutti gli adolescenti, pensava a si scialàa si diverta. Poi gli è scattata dentro qualcosa, probabilmente durante la primissima fase della sua malattia, sentiva l’esigenza di qualcosa di più grande.

 

Io che, invece, sono stato sempre molto celebrale – e questo non sempre è un pregio – ho avuto uno stile di vita un po’ diverso da Eugenio e così ci eravamo allontanati. Ho raccontato altre volte che fu lui poi a cercarmi e devo ammettere che all’inizio non gli diedi troppa corda. Fu dopo un concerto qui a Belvedere che lui – quasi mi costrinse – ad uscire insieme. Dovetti annullare anche un altro appuntamento. Sapete bene che quando Eugenio si metteva in testa una cosa non si fermava. 

 

Quella sera capii che lui non stava cercando semplicemente un amico di infanzia, ma un prete. La sua meta stava cambiando velocemente. Chi è stato accanto ad Eugenio fino alla fine – i genitori, le sorelle, il fratello e gli amici – sa bene che non è morto … è sbocciato. Lui ha celebrato Pasqua, ha capito che Dio non ha da aggiustare questa vita, ma ha da dartene una nuova già su questa terra. E lui ha vissuto anche la sua malattia in un modo nuovo, in modo non umano; certo anche con momenti di fragilità, ma in modo nuovo; perché un uomo nella malattia, dinanzi alla morte, si dispera. E noi non abbiamo visto un disperato, un impaurito, un triste, anzi …

 

Ecco … all’inizio di questo anno liturgico in cui dovremmo tutti un po’ reimpostare il gps esistenziale del nostro cuore. Eugenio per noi non è un amico da piangere o ricordare, ma l’ago della bussola che punta a nord o, se volete, la più fastidiosa voce del gps: guagliù adduvi stati jinnu?  ama ji a ca, in cielo.

 

Per voi carissimi ragazzi della banda che avete desiderato, preparato e voluto questo momento; per voi cari genitori e fratelli di Eugenio che patite la sua assenza; e per tutti i presenti sia questa celebrazione la voce di Eugenio, unita a quella di Cristo, che ancora oggi ci ripete: non si vive di solo pane, la felicità nostra non sta nel soddisfare quello che ci piace, ma in qualcosa di molto più grande, nel cielo … che ci sta venendo incontro. 

 

Arriverà il momento in cui arriveremo a destinazione:

 

a)     Per chi ha camminato verso il cielo per tutta la vita sarà una gioia grandissima, sarà arrivare a casa, sarà arrivare in quella felicità che abbiamo desiderato tante volte e che qui abbiamo potuto solo assaggiare;

b)    Per chi invece ha tirato a campare, a mangiare e bere … sarà una delusione, sarà tristezza. Proprio come quando arriva a casa un ladro e tu non lo sapevi.
Io sono sicuro che Eugenio ci aspetta e continua con la sua vita, con il suo sorriso, con la sua preghiera e la sua vicinanza a ripetere: fra cento metri svoltare  in alto, lassa fricà le cose da quattro soldi, e muveti cu cielo è chiu biallu






domenica 6 novembre 2022

Ciao, Mario. Dal cielo ora insegnaci la leggerezza che hai sempre vissuto.

Cara moglie di Mario, 

Cari Genitori, 

Carissimi fratelli e sorelle, amici e parenti di mario,

 

 

            Consentitemi di ringraziare il caro don Vincenzo che ha voluto che io presiedessi questa celebrazione eucaristica. Quando si diventa sacerdoti si pensa alle grandi celebrazioni di festa che si è chiamati a presiedere: matrimoni di amici, battesimi dei loro figli e altro. Difficilmente si mette a conto che arriverà il momento di presiedere la preghiera e prendere la parola in circostanze meno allegre, come questa che oggi viviamo e nella quale preferirei rimanere in silenzio. 

 

          Proprio per questo motivo sento di iniziare questa omelia chiedendovi scusa per le parole che dirò in quanto certamente non saranno adeguate al vostro dolore, al vostro dispiacere, al quale mi accosto come ci si accosterebbe entrando in un santuario.

 

Oggi ci siamo riuniti attorno a questo altare, ancora una volta, per pregare per Mario, ma anche per ascoltare la Parola del Signore l’unica capace, alla fine, di illuminare le tenebre della morte. 

 

Certo lo facciamo con tante domande nel cuore: perché? Perché lui? Perché a questa età? Perché sono sempre i più buoni ad andare? Mario era un buono!

 

Domande che in fondo ci fanno approcciare alla dipartita di questo nostro caro fratello quasi come fosse un’ingiustizia.

            

In realtà, per quanto duro è ammetterlo, la morte non è un’ingiustizia. Fa parte della vita terrena e non c’è un’età giusta per morire. Funziona così per le piante, funziona così per gli animali e funziona così per noi uomini. Da questo non è stato esente nemmeno il Figlio di Dio fatto uomo. 

 

Preoccupati – come ci ha detto la prima lettura – di pensare solo alle cose della terra, la morte ci appare come una cosa ingiusta, come una sorpresa, come qualcosa che non ci dovrebbe essere. In qualche modo pensiamo che sia sempre qualcosa che debba toccare ad altri; a noi il più tardi possibile. 

 

Io di Mario ne conservo un ricordo bellissimo. Fu il primo, insieme ad un altro compagno, ad abbattere le barriere della mia timidezza quando arrivai a san marco. Era un tipo semplice, senza strutture, si presentava così com’era e con quella semplicità ti faceva sentire a casa, ti faceva sentire importante, ben stimato. 

 

In lui non si percepiva il peso della terra, ma la leggerezza del cielo. Portava in sé una leggera comicità di chi non si prendeva troppo sul serio, sapeva ridere dei suoi limiti, anche della sua bassa statura e questo lo rendeva capace di essere simpatico a tutti. Credo non esista una persona che abbia potuto percepire Mario come antipatico.

 

Lui in qualche modo, forse perché la sua salute fin da piccolo gli aveva fatto capire che la vita su questa terra può interrompersi in qualsiasi momento, si portava il cielo dentro. 

 

 

 

Ed è la Parola proprio che abbiamo ricevuto da San Paolo poco fa: la nostra cittadinanza è nei cieli.

 

Tutti quanti noi siamo in cammino verso il cielo. Ce lo dimentichiamo spesso … è un po’ come se fossimo in viaggio per milano e, strada facendo, ce lo dimenticassimo. Arrivati alla meta quasi ci sorprendiamo di esserci, quasi protestiamo perché vorremmo essere ancora al punto di partenza. 

 

Vedete… la morte non è un’ingiustizia. Sprecare questa vita è la vera ingiustizia. 

            

Cos’è più ingiusto una vita bella come quella di Mario? O tanti ragazzi e ragazze che rovinano la loro esistenza in cose banali come l’apparenza, l’alcol, la droga, il sesso? Cos’è più ingiusto una vita breve come quella di Mario o tante vite lunghe, ma mediocri e banali, dedite al potere e al sopruso?

 

Mi ricordo che mai si capacitava, Mario, di queste persone. Tante volte mi chiedeva: “Ma secondo te?” Poi ascoltava quello che avevo da dirgli e concludevamo la conversazione con un sospiro, prima di iniziarlo a prendere in giro e a ridere insieme. 

 

Altre volte, invece, quando nelle assemblee di istituto o in qualche diverbio con i professori non me le tenevo – sono sempre stato un guerrafondaio vestito da angelo – mi si avvicinava con circospezione, manco avesse dovuto spacciare droga, e, guardandosi intorno, mi diceva: hai fatto bene a cantargliele, così impara.

 

Mario, forse senza esserne troppo cosciente, ci ha aperto una finestra sul cielo con la sua semplicità e anche nella sua dipartita, senza troppi congedi, parole o altro, ci ha voluto ricordare che non possiamo tralasciare questa verità fondamentale: o camminiamo verso il cielo o la vita terrena diventa mediocre e brutta.

 

Un po’ come mediocre e brutta è la vita dell’amministratore di cui ci ha parlato il Vangelo che, per paura, accumula, cerca sicurezze e finisce per rubare. Sì, ascoltando le nostre insicurezze tante volte rubiamo vita agli altri. Mario, invece, ne ha donato tanta perché dentro di Lui Dio aveva messo tanta vita.

 

Io non so se sono nella posizione di farlo … ma vi chiederei due cose:

 

1.     Al di là del dolore e, forse anche della rabbia, ringraziate per il dono di aver conosciuto una persona così. Fate prevalere il ringraziamento a Dio per avercelo donato, per avercelo custodito per 31 anni. La morte sembra un’ingiustizia, ma la verità è che la vita non è un diritto. Se oggi soffriamo per la sua partenza è perché Dio prima ce lo ha donato. E mica ce lo meritavamo. Cari genitori, siate orgogliosi e felici di aver avuto un figlio così. Fate prevalere – mi scuso se uso questa parola proprio oggi - la felicità. Così lui vorrebbe.

 

2.     Non sprechiamo la vita ed il ricordo di Mario, non affoghiamo nel dolore quanto di bello ci ha donato. Anzi, trasformiamolo in vita. Facciamo fruttare nel nostro cuore tutto quello che ci ha insegnato. 

 

 

Impariamo a puntare al cielo e forse, come Mario, smetteremo di prenderci troppo sul serio, di pensare di essere più alti di quel che siamo, di essere sempre arrabbiati, nervosi, nevrastenici, impauriti. 

 

Mario dal cielo, casa nostra, oggi ci sorride e ci benedice. Me lo voglio immaginare con quel suo sorriso divertito che ci prende un po’ in giro: ja movitivi, ca tantu ca ata venì. 

 

E noi, anche se con il cuore dolorante, riprendiamo fiduciosi il cammino, acceleriamo il passo verso il cielo, dove ritroveremo Mario e tutti i nostri fratelli che ci hanno preceduto.

 

Sì, li ritroveremo e sarà bellissimo. 




Don Giuseppe Fazio

gfazio92@gmail.com