giovedì 21 dicembre 2023

È Natale, ma per alcuni è già (ancora) Venerdì Santo

 

            Mancano oramai pochi giorni alla solennità del Natale, una festa che per tanti versi e motivi è sempre stata considerata un momento di gioia, speranza, fiducia. Per questa ragione la sapienza popolare ha coniato l’espressione celeberrima secondo la quale “a Natale si è tutti più buoni”, resa poi celebre dalla pubblicità dei panettoni (non quelli della Ferragni) che recitava “a Natale puoi fare quello che non puoi fare mai”.

 

            Dunque, in questi giorni si è già messa in moto una macchina di spese, feste ed eventi che – anche se i dati ci dicono saranno molto più ristretti a causa della crisi economica aggravata dalla Pandemia – ci distrarranno probabilmente dal senso di quel bambinello che verrà deposto nelle case di chi ancora tiene a realizzare il presepe.

 

            Natale poi è una parola che ricorda casa. Ricorda il luogo natale appunto di ciascuno di noi. Ricorda le proprie famiglie con le quali ci si ritrova. A chi è costretto a vivere lontano da casa per lavoro ricorda il proprio paese con luci, odori, sapori e tradizioni. Natale richiama, in altre parole, alle origini, alle radici. Ed è forse questo che rende questa festa così bella, affascinante e, in qualche modo anche scomoda. 

 

            È così anche per me. Inevitabilmente il Natale mi riporta alla mia famiglia, ma anche al paese in cui non sono nato fisicamente, ma certamente intellettualmente, spiritualmente e culturalmente: Cetraro. E devo ammettere che il ricordo della mia città, e sono orgoglioso di poter dire “mia”, quest’anno ha sì, il colore rosso, ma non quello natalizio che ricorda il “Babbo” che porta i regali, ma il rosso del sangue di Alessandro che il 9 Novembre ad opera di alcuni sicari ha macchiato questa terra tanto bella quanto poco custodita e, forse, poco amata. 

 

            Così mentre in tanti ci prepariamo a vivere il Natale tra un Pandoro, un bottiglia di spumante, auguri e tombolate, in alcune case del mio paese siamo già (o ancora?) al Venerdì santo. Siamo a quel rosso che il sacerdote indossa durante la cosiddetta “Messa Strazzata” che ricorda il sangue di Gesù mescolato a quello di due ladroni, di due malfattori. Del resto – se è vero quello che Gesù dice nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo – quel 9 Novembre al sangue di Alessandro si è mescolato ancora una volta il sangue di Gesù Cristo. Sia ben chiaro: questo non dice nulla sulla vita di Alessandro, né che fosse una persona limpida, né che non lo fosse. Alcuni atteggiamenti e frequentazioni per ben due volte lo avevano fatto finire sotto i riflettori dell’autorità giudiziaria, ma non è questo il punto. Il Sangue di Alessandro si è mescolato a quello di Gesù Cristo perché da sempre il Figlio di Dio ha offerto la sua vita per tutti, soprattutto per i più lontani.

 

            È Venerdì Santo per quella mamma che piange questo figlio, per la vedova e, in modo del tutto particolare, per i figli che, come successe ad Alessandro, cresceranno senza un riferimento paterno.

 

            Ma è Venerdì santo anche per quella folla di persone, sempre meno a dir il vero, che continuano a tappare i propri occhi e, prima ancora i propri cuori, pensando e dicendo (mai apertamente) che il problema è marginale, non esiste e che bisogna parlare di altro, quasi come se queste sofferenze non fossero da accogliere tanto quanto altre. 

 

            C’è un aspetto, però, che è custodito nella festa del Natale e anche nel momento tragico del Venerdì Santo. Entrambi i momenti – segnati da diversi tipi di sofferenza – sono aperti alla gioia e alla speranza: il Natale segnato dalla non accoglienza della Santa Famiglia è illuminato dalla gioia degli angeli, dallo stupore dei pastori e dalla nobiltà dei magi; il Venerdì Santo, invece, dalla tenerezza di Maria che sta ai piedi della croce, dalla fedeltà della Maddalena e di Giovanni, ma anche dalla conversione di uno dei due ladroni, dal pentimento del Centurione e dalla pietà di Giuseppe d’Arimatea.


            In questo modo questo Natale che è già (o ancora) Venerdì Santo è illuminato da alcuni segni preziosi che sono offerti dai ragazzi di Cetraro: quelli che da ormai due anni, nel contesto della festa patronale, organizzano momenti di riflessione e di provocazione in piena piazza, quel luogo nel quale tanti per paura (anche comprensibile) si voltano dall’altro lato mentre le telecamere vengono divelte, mentre un padre di famiglia viene brutalmente malmenato in seguito ad una denuncia. Ci sono poi  quei circa trenta ragazzi che, all’indomani dell’assassinio di Alessandro, hanno costituito proprio nei licei di Cetraro il Movimento Studenti di Azione Cattolica sentendosi interpellati a dare una risposta a coloro che vogliono appropriarsi del nostro territorio e della nostra storia. I loro volti, l’entusiasmo di 18 di loro che si sono candidati ad essere responsabili di questo nascente movimento è davvero una preziosa consolazione che ci ricorda l’agire di Dio che non nasce nella rumorosa Gerusalemme, ma nella silenziosa e piccola Betlemme. Così ancora oggi se volessimo cercare Gesù forse lo cercheremmo presso coloro che si sentono intellettuali, maestri e dottori per poi rimanere delusi. Più probabilmente lo troveremmo nel cuore di questi ragazzi di cui tanto spesso si parla male, ma poco li si ascolta, li si accoglie e li si incoraggia.

 



Don Giuseppe Fazio

gfazio92@gmail.com