giovedì 21 dicembre 2023

È Natale, ma per alcuni è già (ancora) Venerdì Santo

 

            Mancano oramai pochi giorni alla solennità del Natale, una festa che per tanti versi e motivi è sempre stata considerata un momento di gioia, speranza, fiducia. Per questa ragione la sapienza popolare ha coniato l’espressione celeberrima secondo la quale “a Natale si è tutti più buoni”, resa poi celebre dalla pubblicità dei panettoni (non quelli della Ferragni) che recitava “a Natale puoi fare quello che non puoi fare mai”.

 

            Dunque, in questi giorni si è già messa in moto una macchina di spese, feste ed eventi che – anche se i dati ci dicono saranno molto più ristretti a causa della crisi economica aggravata dalla Pandemia – ci distrarranno probabilmente dal senso di quel bambinello che verrà deposto nelle case di chi ancora tiene a realizzare il presepe.

 

            Natale poi è una parola che ricorda casa. Ricorda il luogo natale appunto di ciascuno di noi. Ricorda le proprie famiglie con le quali ci si ritrova. A chi è costretto a vivere lontano da casa per lavoro ricorda il proprio paese con luci, odori, sapori e tradizioni. Natale richiama, in altre parole, alle origini, alle radici. Ed è forse questo che rende questa festa così bella, affascinante e, in qualche modo anche scomoda. 

 

            È così anche per me. Inevitabilmente il Natale mi riporta alla mia famiglia, ma anche al paese in cui non sono nato fisicamente, ma certamente intellettualmente, spiritualmente e culturalmente: Cetraro. E devo ammettere che il ricordo della mia città, e sono orgoglioso di poter dire “mia”, quest’anno ha sì, il colore rosso, ma non quello natalizio che ricorda il “Babbo” che porta i regali, ma il rosso del sangue di Alessandro che il 9 Novembre ad opera di alcuni sicari ha macchiato questa terra tanto bella quanto poco custodita e, forse, poco amata. 

 

            Così mentre in tanti ci prepariamo a vivere il Natale tra un Pandoro, un bottiglia di spumante, auguri e tombolate, in alcune case del mio paese siamo già (o ancora?) al Venerdì santo. Siamo a quel rosso che il sacerdote indossa durante la cosiddetta “Messa Strazzata” che ricorda il sangue di Gesù mescolato a quello di due ladroni, di due malfattori. Del resto – se è vero quello che Gesù dice nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo – quel 9 Novembre al sangue di Alessandro si è mescolato ancora una volta il sangue di Gesù Cristo. Sia ben chiaro: questo non dice nulla sulla vita di Alessandro, né che fosse una persona limpida, né che non lo fosse. Alcuni atteggiamenti e frequentazioni per ben due volte lo avevano fatto finire sotto i riflettori dell’autorità giudiziaria, ma non è questo il punto. Il Sangue di Alessandro si è mescolato a quello di Gesù Cristo perché da sempre il Figlio di Dio ha offerto la sua vita per tutti, soprattutto per i più lontani.

 

            È Venerdì Santo per quella mamma che piange questo figlio, per la vedova e, in modo del tutto particolare, per i figli che, come successe ad Alessandro, cresceranno senza un riferimento paterno.

 

            Ma è Venerdì santo anche per quella folla di persone, sempre meno a dir il vero, che continuano a tappare i propri occhi e, prima ancora i propri cuori, pensando e dicendo (mai apertamente) che il problema è marginale, non esiste e che bisogna parlare di altro, quasi come se queste sofferenze non fossero da accogliere tanto quanto altre. 

 

            C’è un aspetto, però, che è custodito nella festa del Natale e anche nel momento tragico del Venerdì Santo. Entrambi i momenti – segnati da diversi tipi di sofferenza – sono aperti alla gioia e alla speranza: il Natale segnato dalla non accoglienza della Santa Famiglia è illuminato dalla gioia degli angeli, dallo stupore dei pastori e dalla nobiltà dei magi; il Venerdì Santo, invece, dalla tenerezza di Maria che sta ai piedi della croce, dalla fedeltà della Maddalena e di Giovanni, ma anche dalla conversione di uno dei due ladroni, dal pentimento del Centurione e dalla pietà di Giuseppe d’Arimatea.


            In questo modo questo Natale che è già (o ancora) Venerdì Santo è illuminato da alcuni segni preziosi che sono offerti dai ragazzi di Cetraro: quelli che da ormai due anni, nel contesto della festa patronale, organizzano momenti di riflessione e di provocazione in piena piazza, quel luogo nel quale tanti per paura (anche comprensibile) si voltano dall’altro lato mentre le telecamere vengono divelte, mentre un padre di famiglia viene brutalmente malmenato in seguito ad una denuncia. Ci sono poi  quei circa trenta ragazzi che, all’indomani dell’assassinio di Alessandro, hanno costituito proprio nei licei di Cetraro il Movimento Studenti di Azione Cattolica sentendosi interpellati a dare una risposta a coloro che vogliono appropriarsi del nostro territorio e della nostra storia. I loro volti, l’entusiasmo di 18 di loro che si sono candidati ad essere responsabili di questo nascente movimento è davvero una preziosa consolazione che ci ricorda l’agire di Dio che non nasce nella rumorosa Gerusalemme, ma nella silenziosa e piccola Betlemme. Così ancora oggi se volessimo cercare Gesù forse lo cercheremmo presso coloro che si sentono intellettuali, maestri e dottori per poi rimanere delusi. Più probabilmente lo troveremmo nel cuore di questi ragazzi di cui tanto spesso si parla male, ma poco li si ascolta, li si accoglie e li si incoraggia.

 



Don Giuseppe Fazio

gfazio92@gmail.com









domenica 1 ottobre 2023

LETTERA A MATTEO MESSINA DENARO

 LETTERA A MATTEO MESSINA DENARO

 

 

 

Caro fratello Matteo, 

 

 

 

         ammetto che associare la parola fratello alla tua persona un po’ i brividi me li fa percepire. Dalle parti nostre dire fratello ad uno vuol dire condividere qualcosa di importante, se non il sangue, il pane, la vita, un’esperienza forte. A ben pensarci, però, noi condividiamo lo Spirito Santo che ci è stato donato nel Battesimo; per cui è proprio così: siamo fratelli. 

 

         Dunque … caro fratello, te ne sei andato in cielo da diversi giorni per comparire davanti a Nostro Padre e lo hai fatto lasciando dietro di te una serie di misteri e di parole che a fatica si spegneranno. Alla fine, è stato ritrovato anche un tuo pizzino in cui dicevi di non volere funerali da una Chiesa corrotta e falsa.

 

         Caro fratello mio, questa mattina, in nome di quello Spirito che condividiamo, io ho disobbedito a questo tuo desiderio e con la comunità di cui sono parroco abbiamo celebrato l’eucarestia per te e per Giorgio Napolitano. Eh sì … perché magari è vero alcuni uomini di Chiesa – forse quelli che hai frequentato tu – sono corrotti, falsi e chi più ne ha ne metta, ma questa non è la Chiesa, ne è la sua negazione che anche tu, come Battezzato, hai favorito ad incrementare. La Chiesa che sperimentiamo noi, invece, è una Chiesa diversa in cui, anche se si viene insultati, proviamo (non è semplice affatto) a rispondere con la preghiera e con la misericordia. 

 

         Ben inteso le cose che ti attribuiscono a me fanno gelare il sangue al solo pensiero, sono ingiustificabili ed inammissibili. A gente come te, fin quando resta in vita, bisogna annunciare di “convertirsi e credere al vangelo”, ma una volta davanti al Padre io non posso non sentire il desiderio che, pur nella sua somma giustizia, Dio trovi il modo di salvarti. Perché se ci fosse un modo per il quale tu possa espiare tutte le tue malefatte ed essere restituito alla Chiesa puro e santo, beh … sarebbe una cosa grandiosa.

 

         Sai … proprio oggi – nemmeno a farlo di proposito – la seconda lettura tratta dalla Lettera ai Filippesi descriveva il fatto che Dio, l’onnipotente, il giusto, il santo si è fatto uomo, servo ed ha accettato la morte e la morte di croce proprio per i peccatori, per gente come te e come me, che, anche se non sono un mafioso ed un assassino, di gente, dalle mie parti, ne faccio soffrire con i tanti spigoli e durezze che porto nel mio cuore.

 

         Io non so cosa ti avrà detto il Padre quando ti avrà rivisto, ma so – perché ce lo ha rivelato il Figlio – che la Sua volontà è che tutti, ma proprio tutti, siano salvi. E per questo non ho potuto chiedere che si compia la volontà di Dio anche per te, che la Misericordia del Padre sia potuta entrare da qualche parte nel tuo cuore e abbia trovato un appiglio di salvezza.

 

         Del resto a scuola – e io che sono docente sto imparando – il professore si deve impegnare proprio con i peggiori e non con i migliori. Lo sa bene un altro Matteo, l’Evangelista, che, come te, era un po’ mafiosetto, poi incontrò lo sguardo misericordioso di Cristo e capì che valeva la pena seguirlo. 

 

Sai, Matteo, oggi la Chiesa – quella vera – celebra la ricorrenza di Santa Teresa la quale così scrive nel suo diario a proposito di un uomo molto simile a te: 

 

Sentii parlare di un grande criminale che era appena stato condannato a morte per dei crimini orribili: tutto faceva credere che sarebbe morto nell’impenitenza. Volli ad ogni costo impedirgli di cadere nell’inferno; allo scopo di riuscirvi usai tutti i mezzi immaginabili: capendo che da me stessa non potevo nulla, offrii al Buon Dio tutti i meriti infiniti di Nostro Signore, i tesori della Santa Chiesa; infine pregai Celina di far dire una messa secondo le mie intenzioni, non osando chiederla di persona nel timore di essere costretta a confessare che era per Pranzini, il grande criminale.

 

            Mi sento incoraggiato dall’aver pregato oggi per te perché mi piace pensare che ad intercedere con noi ci fosse proprio Santa Teresa e che anche questa volta abbia ottenuto la grazia che tanto desiderava da bambina per un altro criminale. E questo non perché tu la faccia franca un’altra volta, ma perché nel Paradiso se al Padre mancasse anche uno solo dei suoi figli provocherebbe un dolore eterno e io che mi sento suo figlio come potrei gioire se Lui stesso soffrisse?

 

            Ecco, Matteo, fratello carissimo, tu ci hai chiamati falsi e corrotti e noi abbiamo voluto pregare per te, per la tua famiglia, per i tuoi “devoti”. Abbiamo pregato perché la tua morte sia occasione di conversione per te e per tutti loro. In fondo non è la giustizia che ci restituirà indietro le persone che ci hai tolto, ma solo la misericordia di Dio e non di certo su questa terra. 

 

            Sarebbe davvero il Paradiso se tu – pentito – potessi riabbracciare le tante vittime della tua violenta barbarie chiedendo loro perdono e abbracciandole di cuore . Quel Paradiso in cui “la mucca e l’orsa pascoleranno insieme, il leone si ciberà di paglia e il bambino metterà la mano nel covo dei serpenti velenosi senza temere male” (cf. Is 11,6-8). Sarebbe davvero bello … del resto – mi domando - non è questo quello che noi chiamiamo Regno di Dio e che il Figlio ci ha annunciato dalla croce quando anche lui ha pregato per i crocifissori? 

 

 

Don Giuseppe Fazio

Gfazio92@gmail.com








lunedì 14 agosto 2023

OMELIA SAN MARCELLINO 2023

 




Carissimi fratelli e sorelle, 

 

         con gioia ci troviamo oggi a celebrare la festa del nostro protettore, san Marcellino. Lo facciamo al termine di un triduo breve, ma intenso, che si è concluso ieri con la celebrazione con i nostri bambini e le mamme in attesa e la bella testimonianza di quattro giovani ragazzi convertiti che, attraverso la musica, ci hanno annunciato la gioia e la freschezza del Vangelo.

 

         Con questa gioia nel cuore saluto le autorità presenti: l’amministrazione comunale, il corpo dei carabinieri, la polizia municipale e tutti voi, cari fratelli e sorelle.

 

         In questo triduo, don Giuseppe – l’altro -, ci ha parlato dell’intreccio delle paure e dei desideri che lottano un po’ nei nostri cuori. Noi siamo un po’ la risultante di questa lotta spietata che ha come terreno di battaglia il nostro cuore.

 

         Ecco … oggi approdiamo a questa celebrazione in cui la Liturgia della Parola ci ha parlato di un’esperienza che San Pietro, un altro papa come san Marcellino, anzi il primo papa, ha dovuto fare. 

 

         Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, mentre tutti erano contenti ed entusiasti di Gesù e i discepoli gongolavano, Gesù ha una intenzione stranissima: obbliga i discepoli a salire in barca, anzi li costringe e li costringe subito, dice la scrittura. Nemmeno il tempo di godersi il successo, gli applausi, niente. Gesù li costringe ad andare via. Perché? 

 

         Intanto perché questi erano pescatori e sapevano che di notte nel lago non si va: è pericoloso, si rischia la morte. E qual è la paura più grande di un pescatore se non morire in acqua? Questi proprio non vogliono, eppure … li costringe ad andare incontro a ciò che puntualmente accadrà: il mare si agita e la barca rischia di affondare.

 

         Strano questo Gesù che non si gode i successi, ma spinge i suoi verso un’esperienza dolorosa. Per altro lui non va in barca con loro, anzi si ritira sul monte, dal lato opposto. Perché tutto questo?

 

Quante volte anche a noi capita di fare questa esperienza: nemmeno il tempo di goderci un successo che subito ne capita una. Tante volte per questo motivo abbiamo paura di dirci felici perché abbiamo paura che succeda qualcosa, magari ca ancunu ni pigli ad uacchiu. 

 

Che tipo strano Gesù … lui deve verificare una cosa. Sapete che vuol dire verificare?  Verificare letteralmente può assumere il senso di far diventare vero qualcosa, in questo caso un atteggiamento del cuore: la fiducia in lui. 

 

Nel momento della gioia è chiaro che siamo tutti mood: Tu sei la mia vita altro io non ho …Dio ti amo, etc … ma bisogna che questa parola si avveri, si verifichi, accada nel nostro cuore.

 

Ecco … E allora ai discepoli che erano contenti del successo deve far capire una cosa: non conta il risultato, ma di chi ti fidi e con chi cammini.

 

Nella vita è chiaro: si possono raggiungere grandi risultati, ma da soli e a che servono? O peggio: in cattive compagnie. Non c’è alcun guadagno in questo. 

 

E allora li costringe… ed emerge già qui qualcosa: non ci fidiamo di quello che ci chiedi è pericoloso e tu non lo capisci. Quante volte la vita, anzi Dio, ha chiesto a ciascuno di noi scelte coraggiose, pericolose, compromettenti e anche noi ci siamo tirati indietro, abbiamo avuto paura. Proprio come San Marcellino che, davanti all’imperatore, non si è fidato di Dio, ha avuto paura e ha probabilmente rinnegato la fede.

 

Nel mezzo della tempesta, però, la sorpresa: Gesù arriva camminando sul mare, su quelle paure. I discepoli non lo riconoscono e Matteo riferisce che Gesù disse subito – ancora una volta subito – Coraggio, sono io.

 

Ed ecco Pietro che mostra tutta la sua mancanza di fiducia: se sei tu … come a dire vediamo se davvero sei tu il maestro che cammina sulle mie paure. Se sei tu … dì che io cammini su queste acque. 

 

Dove è ancorata la nostra paura? All’idea di rimanerci sotto, che nessuno mi capisca, che nessuno mi tiri fuori … con grande interesse due sere fa ho ascoltato la presentazione del libro di Italo Arcuri (e lo leggerò). Nella lettera che abbiamo ascoltato si sentiva – chiaramente in uno sfogo fraterno – la paura del caro don Italo che non fosse capito dai suoi cittadini, la paura tutta umana di affondare nella calunnia e nella maldicenza, nel dolore.


 

Non sono i nostri stessi sentimenti oggi? Stiamo attraversando un anno che sta lasciando segni notevoli sulla pelle di questa comunità:

 

-       I funerali di Luigi quasi mio coetaneo; 

-       I funerali di Giuseppe e di Maria circa cinquant’anni

-       Ultimi i funerali di Vincenzo appena 19 anni

-       Per di più in un tempo di incertezze e di guerre, subito dopo una Pandemia.

 

Forse anche noi, come San Marcellino, e come San Pietro stiamo sperimentando di essere su una barca che ci sembra affondare e anche noi fatichiamo a riconoscere il Signore che ci viene incontro. E abbiamo paura di rimanerci sotto, paura di non riuscire ad essere più felici, paura di non farcela.

 

Questi sentimenti sono raccolti anche nell’infiorata – pur ridotta proprio a causa di questo dolore ancora fresco – e sono stati felicemente rappresentati in san Marcellino e un ragazzo che cammina verso la luce, lasciandosi alle spalle le ombre.

 

Questo cammino che anche noi stiamo compiendo è un cammino che – lo dobbiamo ammettere - ci vede spesso fare passi indietro. Passi dolorosi che spesso portano alla confusione, ai fraintendimenti, ai sospetti, ai dubbi … proprio come una ciurma che sta per affondare e ormai non è più una compagnia, una famiglia, ma un branco di animali impauriti. 

 

Eppure, rimane un terzo subito che l’evangelista ci consegna. Quasi a dirci che Gesù, quando lo si invoca per davvero e con tutto il cuore, non tentenna perché lui è serio con noi. 

 

Pietro scende dalla barca, cammina sulle acque, ma ancora una volta ha paura, dubita e quindi affonda. Dice in questo momento l’evangelista che Gesù, al grido di Pietro, subito gli tese la mano e lo salvò.

 

Questa è l’esperienza di Marcellino:

 

-       Dopo un momento di successo del suo ministero dovuto alla sua grande carità subito fece l’esperienza della persecuzione; 

-       Rinnegò il maestro che subito gli venne incontro;

-       Subito gli tese la mano aiutandolo a rimettersi in piedi e ad andare fino in fondo.

 

Forse qualcuno di noi in questo momento si trova al primo punto, si sente costretto ad affrontare qualcosa che vorrebbe fuggire, forse altri staranno lì in mezzo e devono accogliere il Signore che viene incontro o forse altri ancora stanno lì sul punto di dover andare fino in fondo e accogliere la mano tesa del Signore.

 

Per ognuno di noi – questa è la notizia consolante – Dio è pronto a venirci incontro. Dio ha una soluzione, Dio ha una buona notizia. A noi servono due cose:

 

-       L’onestà del dire: è vero io mi fido più di me stesso, delle mie forze che di Dio. Quel rimprovero di Gesù a Pietro è rivelativo: uomo di poca fede, perché hai avuto paura? La paura è figlia della poca fiducia nell’amore sconfinato che Dio ha per noi. Lasciatemi dire che sogno una comunità parrocchiale in cui la si smette di giocare a fare i primi della classe, sempre impettiti, inappuntabili, dove l’errore è visto come un fallimento ingiustificato. Sogno una comunità parrocchiale in cui ognuno di noi si senta libero di mostrare le proprie fragilità, si senta libero di esporle, di manifestarle perché consapevole che in una comunità di discepoli di Cristo le proprie fragilità saranno accolte e sostenute! Quale liberazione sarebbe poter abbandonare quegli atteggiamenti di rigidità, di agitazione, di falsità che ci mettiamo addosso per nascondere le nostre fragilità e le nostre incertezze!!!

 

-       E poi? Cercare, fosse anche disperatamente, la sua mano già tesa.

 

Carissimi con affetto fraterno e anche paterno, 

 

         sento questa sera di rivolgervi un accorato invito a tutta la comunità: non fidiamoci delle nostre forze. Ognuno di noi ha il suo mare agitato, le sue paure. Il parroco ha le sue paure, le sue insufficienze, così i governanti, i vescovi e chi più ne ha ne metta.

 

Ciò che conta nella Chiesa non è essere efficienti e ben riusciti, ma afferrare la mano di Dio che ci salva e riconoscerlo.

 

Dove approda questo testo. Come si conclude infatti? Quelli che erano sulla barca dissero: Davvero tu sei il Figlio di DioAdesso credono e si fidano …Dav-vero, per davero…. La parola si è verificata.

 

Noi non siamo chiamati ad una vita senza onde, senza pericoli, senza fraintendimenti, senza che altri ci facciano soffrire, senza che la morte e la MALATTIA ci feriscano … no … noi siamo chiamati a riconoscere che in tutto questo mare c’è un punto fisso, una stella – come diceva don Giuseppe – e per questo possiamo andare avanti con fiducia e con speranza e possiamo andare fino in fondo.

 

San Marcellino, come San Pietro, sarebbero potuti rimanere a leccarsi le loro ferite e, come loro anche Maria Santissima Addolorata per la morte del Figlio, invece ci consegnano uno stile nuovo di stare nel dolore, non pietistico: rimanere insieme, vicini perché, mentre si è insieme, sempre e di nuovo Dio ci viene incontro e ci permette di fare il salto nella vita piena. 

 

Chiediamo per intercessione del nostro protettore di poterci fidare sempre di più di Dio, di saperlo riconoscere nella nostra storia personale e comunitaria non per essere impeccabili e precisi, ma per procedere nonostante il mare delle nostre inefficienze e fragilità ed arrivare alla meta del cielo.

 

Perché questo è il vero problema: non aggiustare le cose della terra, ma arrivare al cielo


Veglino sul nostro cammino San Marcellino, Luigi, Maria, Giuseppe e Vincenzo per i quali e con i quali oggi preghiamo; loro che hanno superato il mare agitato dell’esistenza terrena perché, in un modo o in un altro, hanno saputo afferrare il braccio di Dio e oggi ricordano a noi che c’è un solo modo per affrontare il buio della croce, sempre lo stesso: la luce della Pasqua, la luce della Risurrezione, la luce di un Padre che ha per noi un amore sconfinato. 



Don Giuseppe Fazio




sabato 22 luglio 2023

FUNERALI VINCENZO CELIA

 Carissimi fratelli e sorelle, 

 

 

         Con affetto sincero saluto i carissimi confratelli giunti per condividere con noi questo momento duro, l’ennesimo che viviamo quest’anno: Don Giovanni che è legato a Vincenzo da vincoli di parentela, don Antonio vicario del nostro vescovo per questa forania di Scalea, don Dominique. Saluto loro e li ringrazio: la loro presenza è segno di una Chiesa più grande dei confini parrocchiali che non solo gioisce insieme nei momenti di festa, ma anche sa soffrire insieme nei momenti del dolore. 

 

         A loro si uniscono, pur impossibilitati ad essere fisicamente presenti, don Mario, parroco di Verbicaro, don Guido, docente dell’Istituto in cui Vincenzo aveva studiato e don Paolo che da subito ha manifestato la sua vicinanza ed il suo affetto per la famiglia e per la comunità. Questa mattina, poi, appena appresa la notizia, anche il Vescovo ha voluto esprimere la sua prossimità a tutta la comunità e, in modo particolare alla famiglia di Vincenzo: in questo momento ci assicura la sua preghiera ed il suo sostegno.

 

         Saluto poi tutti quanti siete convenuti per accompagnare al cielo Vincenzo e manifestare affetto alla sua famiglia: l’amministrazione comunale che ha ben inteso di voler disporre il lutto cittadino,  i parenti, i docenti e gli amici. 

 

         In un momento del genere non è facile prendere la parola. Capisco adesso in modo forte cosa volesse dire il profeta Geremia quando scrisse: Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere (Ger  14,18). 

 

         Scegliere parole adeguate per accostarmi al vostro dolore, al nostro dolore è davvero difficile. Perdonate, dunque, se la scelta poteva essere migliore. Forse occorrerebbe fare come quando si entra in un santuario: rimanere in silenzio ed affidare a Dio ogni domanda, lasciare – come abbiamo sentito nella seconda lettura – che lo Spirito Santo di Dio parli per noi, faccia arrivare i nostri gemiti di dolore fin dentro al Cuore di Gesù. 

 

         Eppure … se rimanessi in silenzio tradirei quanto l’apostolo Paolo raccomanda a coloro che hanno ricevuto il ministero di evangelizzatori: 1Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: 2annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno.

 

         Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato viene narrato di un campo, il mondo, ben creato da Dio e curato con dovizia e generosità di semina. In questo campo, però, compare un seme cattivo, qualcosa di malvagio che fa soffrire coloro che lo vedono e che subito si rivolgono al Signore del campo con questa domanda: Non hai seminato del seme buon nel campo? Da dove viene questo seme cattivo?

 

         Forse è la domanda che portiamo nel cuore oggi, forse anche noi ci rivolgiamo a Dio con questo grido: Signore, non sei tu che hai creato tutto bene? Da dove viene questo dolore? Di chi è la colpa?

 

         La risposta è quanto mai sorprendente: la colpa non è di nessuno di noi. Certo nel male che quotidianamente sperimentiamo – a vario titolo – c’è una responsabilità anche nostra, come può essere anche in un incidente stradale, ma la colpa, l’origine di questo male non ci appartiene.

 

         Se oggi siamo qui a piangere per la dipartita di Vincenzo – occorre che sia chiaro a tutti – non è colpa di nessuno. Nessuno avrebbe voluto questo. E il mio pensiero in questo momento – consentitemelo – va a Domenico, l’amico di Vincenzo, con il quale si stava recando a lavorare. Due ragazzi che si volevano bene, due ragazzi per bene che, come tanti altri, al posto di perdere tempo per strada avevano deciso di dedicare questo tempo al lavoro, al sacrificio, coltivando chissà quali desideri e quali sogni. 

 

         Lo ripeto – perdonatemi – non è colpa di nessuno! Si ha colpa quando qualcosa la si desidera, la si vuole, la si programma, la si causa volontariamente. Può esserci qualche responsabilità, qualche distrazione, ma non colpa. 

 

         C’è un male, un dolore che non è voluto, né desiderato dall’uomo, men che meno da Dio. Un male che, anche se ti comporti bene, non puoi impedire. Un male che Dio non aveva pensato per noi, come quello della morte. Attribuircene la responsabilità o attribuirla ad altri non fa che acuire il dolore e peggiorare la situazione. 

 

Continua, infatti, la risposta nel testo appena proclamato: Un nemico ha fatto questo. , C’è un nemico che in questo momento vuole parlare al cuore di ciascuno di noi seminando inutili sensi di colpa, sentimenti distorti o risentimenti. È un nemico al quale non bisogna prestare ascolto per quanto – lo sappiamo bene – è molto difficile perché alla fine, piuttosto che sentirci impotenti e basta, preferiamo sempre sentirci colpevoli o trovare un colpevole.

 

         Il testo continua: i servi allora dissero: Vuoi che andiamo a raccoglierla? “No”, rispose, “perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura”.

         

Non solo, dunque, non c’è nulla da dire, ma nemmeno nulla da fare; neppure si può intervenire. Bisogna stare fermi. Quanto è doloroso Accettare che ci sia un male, come la morte, dinanzi al quale bisogna saper stare fermi. Non significa far finta che non ci sia, non riconoscere il dolore, ma ammettere un limite. Un limite che non può essere varcato con le nostre forze, rimosso o dimenticato. Sta lì per ciascuno di noi.

 

         Oggi celebriamo la festa liturgica di Maria Maddalena, la prima ad aver visto il Signore Risorto perché, contrariamente agli Apostoli, rimase ferma a piangere davanti al sepolcro. Quando non c’è soluzione il cuore dell’uomo, consigliato dal demonio, si dispera, imbocca strade sbagliate, tal volta violente, perché dimentichiamo che se anche noi siamo fermi, bloccati, paralazzati, inermi, così non è Dio. È Lui che deve venirci ora incontro, è Lui che certamente ora bussa alle porte del nostro cuore affranto. Noi dobbiamo rimanere fermi, senza scappare via, guidati magari dal dolore, dalla tristezza o da chissà cos’altro. Abbiamo sentito, infatti, ancora: al momento della mietitura dirò io ai servi di raccogliere la zizzania e bruciarla. 

         

         E così ora una parola vorrei rivolgerla alla famiglia tutta di Vincenzo, agli amici, conoscenti, e ai suoi coetanei. Forse vi sentite paralizzati anche voi dal dolore assurdo di una morte così prematura, forse in qualcuno di voi si affaccia qualche senso di colpa: “Potevo dire quella parola”, “potevo avere quella attenzione”, “potevo dedicargli un po’ di tempo in più” o forse il contrario “potevo non dire, o fare quella cosa lì”.

 

         Forse anche voi vorreste, come i servi, fare qualcosa. Eppure … forse …  questo, invece, è il momento di rimanere fermi, di guardare nel proprio cuore e di gridare a Dio tra le lacrime: Signore perché la nostra vita che dovrebbe essere bella viene segnata da tante sofferenze, dolori ed errori?

 

Come la Maddalena anche voi, Gridate a Dio perché è ingiusto che la vita, la vostra vita – un dono stupendo che può terminare anche precocemente - sia tal volta sprecata non per cattiveria, ma per superficialità. È ingiusto che i sogni di bellezza, di purezza e giustizia dei più giovani, tal volta per la distrazione di noi adulti, almeno anagraficamente, si perdano e si dissolvano in tante distrazioni che, a conti fatti, davanti alla bara di un amico, contano niente

 

Gridate a questo Dio che non vede l’ora di venirvi incontro per mostrarvi che anche se noi nella morte siamo impotenti, Lui ha un’alternativa da mostrarci; ha un altro stile da insegnarci dinanzi a quelle difficoltà quotidiane che al posto di unirci, a volte ci dividono e ci imbruttiscono.

 

         Gridate a Dio e, se lo volete, gridate anche al vostro parroco. Del resto, questa è la missione di noi sacerdoti: noi non siamo in mezzo a voi per organizzare questo o quello, ma per raccogliere queste grida che ognuno di noi porta nel cuore e con questo imparare ad ascoltare che c’è Qualcuno che queste grida non le lascia andare, ma sa raccoglierle ed reindirizzarle. 

 

         Carissimi, continuiamo insieme questa celebrazione esprimendo nel canto e nella preghiera tutto quello che portiamo nel cuore, sapendo che, come Padre Tenero, Dio raccoglie ciascuno di noi tra le sue braccia e ci indicherà il cammino da seguire da oggi in avanti. 

 

         Mentre, infatti, Vincenzo ora termina il suo pellegrinaggio e arriva a casa da dove ci aspetta, il nostro cammino deve continuare. Come dovette continuare il cammino di Maria Maddalena che, non volendo più andare via dal cimitero, si sentì dire dal Signore: Non mi trattenere, ma và dai tuoi fratelli.

 

Anche noi forse vorremmo rimanere qui fermi a piangere in eterno senza dover fare i conti, da domani in avanti, con l’assenza di Vincenzo ed è per questo che anche a noi viene rivolto questo invito a riprendere il cammino sapendo che un giorno, come abbiamo ascoltato, insieme a Vincenzo brilleremo lì dove ogni zizzania, dolore, errore verrà totalmente distrutto e bruciato da quel Dio che con noi e per noi soffre e ci sostiene. 


Don giuseppe Fazio





sabato 11 febbraio 2023

In suffragio del Giovane Luigi ...

 Carissimi fratelli e sorelle, 

 

 

         A distanza di pochi giorni ci ritroviamo qui, davanti all’altare del Signore, per pregare ancora per Luigi e con Luigi. Troppo poco tempo è passato per non sentirci ancora storditi, confusi, forse sconvolti.

 

         L’esperienza della morte e della morte di un ragazzo è un’esperienza che manda in crisi ogni nostro ragionamento, ogni parola, ogni progetto di vita. Solo un superficiale rimane fermo nelle sue cose quando la morte ci si presenta con tutta la sua ineluttabilità davanti agli occhi.

 

         Eppure, ancora una volta, il silenzio questa sera è stato squarciato dalla Parola di Dio, una Parola strana: Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.

Ad ascoltarla bene ci verrebbe da dire: questa parola è falsa. Non è vero. C’è tanta gente come Luigi che sceglie la vita e ha avuto la morte troppo presto; e tante volte invece chi sceglie la morte vive a lungo. E poi comunque alla fine dovremo morire tutti quanti. Questa parola è certamente una menzogna!

 

         Oppure … dovremmo porre un’altra domanda: che cos’è la vita? Che cos’è la morte? Che cos’è davvero ingiusto? 

 

         Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ha associato la morte a tre situazioni:

 

a)     A chi ha violenza nei suoi atti, nelle sue parole e addirittura nei suoi pensieri;

b)    A chi usa gli altri o semplicemente li guarda come un oggetto da cui trarre piacere;

c)     A chi si sente il padrone del mondo.

 

Ecco per Gesù questi tre hanno scelto la morte. Eppure lo ripeto l’evidenza ci dice che spesso proprio questi sembrano avere più vita, successo degli altri. 

 

Eppure … Forse … qui questa sera, attraverso Luigi, ci viene detto qualcosa di molto importante: Vita e Morte non coincidono con gli anni che viviamo su questa terra. Vita e morte non sono concetti semplicemente biologici.

 

Questa nostra zona è terra di Ulivi. Ecco … poniamo di avere accanto due Ulivi:

 

a)     Il primo è un albero robusto, carico di foglie, ma fa olive piccole dalle quali non si ricava né olio, né sono buone da mangiare, però è un albero solido;

b)    Il secondo è un albero un po’ precario, di quelli non destinati a durare tanto, ma ogni anno porta tante olive di quelle succose capaci di rendere tanto olio: è un albero che per dare tutto quel frutto si consuma velocemente.

 

Quale dei due alberi - diremmo - è quello pieno di vita?

 

Ecco … questa sera ci viene annunciato che la vita vera è quella vita capace di dare frutto in abbondanza agli altri e questo non è questione di anni da vivere. Io non ho conosciuto Luigi, ma mercoledì ho ascoltato attentamente quel che avete detto di Lui:

 

a)     Don paolo ha raccontato che per non rovinare il matrimonio degli amici, ha rinunciato ai funerali del nonno; 

b)    Nei due discorsi finali si è detto che era un ragazzo capace di ascolto, che portava il sorriso dove si trovava, che infondeva negli altri speranza e coraggio.

 

Luigi, certamente avrà avuto anche i suoi difetti e avrà fatto i suoi sbagli, ma aveva scelto la vita. 

 

Ora vi domando: cos’è più ingiusto morire a questa età portando frutto oppure campare a lungo da sterili? 

 

Cos’è stata più ingiusta la vita di Luigi oppure la vita di tanti suoi coetanei, ancora biologicamente vivi, ma persi in tante cose inutili come l’alcol, la droga, la violenza, la rassegnazione?

 

La morte, carissimi, quella biologica fa parte della vita. Certo fa male, caspita se fa male, ma è un fatto. Quello che ogni giorno scegliamo deliberatamente, dando morte a tante delle persone che ci stanno intorno, non è un fatto, ma una scelta.

 

Gesù Cristo, Dio (proprio quel Dio che in questi casi accusiamo di ingiustizia, di essere sbagliato o di essersi distratto)… non è venuto a toglierci questa morte corporale – per la quale sapeva che c’era già un rimedio, ovvero la risurrezione – ma a togliere dal nostro cuore il secondo tipo di morte quello che quotidianamente ci scambiamo a volte con piacere e goduria. 

 

In queste circostanze ricordo sempre cosa mi disse il mio amico eugenio, nato al cielo a 26 anni a causa di un tumore. Voi non potete nemmeno immaginare cosa possa essere andare al letto di un amico più piccolo di te ad annunciare la risurrezione, a raccogliere la sua confessione. Bene lui mi disse: Don, ho smesso di chiedere perché a me e ho iniziato a chiedermi cosa Dio mi sta insegnando in questa situazione.

 

Eugenio morì dando frutti a tantissimi di noi. Tanti ragazzi, a partire dal giorno del suo funerale, cambiarono vita, abbandonarono la morte e scelsero la vita. Molti tornarono ad avere un dialogo con Dio, si riconciliarono con amici e parenti, altri vennero a confessarsi … fu straordinario. 

 

Carissimi, l’albero di Luigi ha portato le sue radici in cielo, ma i suoi frutti continueranno a cadere in terra. E io da parroco, tra l’altro suo coetaneo, mi auguro che la vita che Luigi aveva scelto porti frutto in voi: nella mamma e nel fratello, in tutta la famiglia, nel cuore della fidanzata e degli amici e finanche negli sconosciuti. 

 

In lui ora risplende quella vita che abbiam visto in Gesù Cristo: un uomo che è stato ucciso, giovane anche lui, ma che ha dato a ciascuno di noi la possibilità di scegliere la vita e la vita eterna. 

 

Le lacrime che oggi ancora versiamo per il dolore che sperimentiamo nel cuore siano lacrime di decisione, lacrime di risolutezza per la vita e non per la morte.

 

Luigi dal cielo ci guarda e ci abbraccia e ripete a ciascuno di noi oggi: scegli la vita oggi cosicché un giorno potremo stare insieme nella vita eterna! 

 

Al di là del dolore spero che ci sia qualcuno di voi questa sera che abbia la forza di accogliere questo suo invito, di rompere con la morte che si porta nel cuore, e di scegliere quella vita che è nascosta nel cuore e brilla senza riserve. 





Don Giuseppe Fazio

gfazio92@gmail.com