sabato 24 marzo 2018

La paura è un’oscurità che va illuminata


RUBRICA DI ATTUALITÀ: PENSARE FUORI




Siamo ormai prossimi alla celebrazione della Santa Pasqua 2018. Per tale ragione vorrei, questa settimana, cogliere l’occasione per formulare i miei personali auguri a voi, e siete tanti (circa 350 a settimana), che avete la pazienza di seguire questo blog.

I giorni che ci apprestiamo a vivere (fino a Sabato Santo) parlano di un clima di paura nel quale tutti, apostoli compresi, abbandonano il Maestro.

È la paura a fare da padrona: paura della morte, paura del fallimento, paura dell’incomprensione, di rimanere soli, ecc … sono quelle paure – diciamolo pure francamente – che abitano il cuore di ciascuno di noi.

Sono proprio quelle paure che spesso ci spingono a fare ciò che non vorremmo; sono quelle paure che ci spingono ad agire egoisticamente, a litigare con le persone che abitano la nostra quotidianità; sono sempre quelle paure che portano ad una chiusura del cuore dinnanzi allo straniero, al povero, all’ammalato.

La paura è, infondo, come una notte buia che non ti permette di vedere con chiarezza ciò che hai intorno. Per paura si fanno cose che in momenti di lucidità mai si sarebbero fatte. La paura, in altre parole, è ciò che ci rende infelici.

Che fare? Spesso quando capiamo questa cosa qui facciamo di tutto per “eliminare” le paure: raddoppiamo gli sforzi, moltiplichiamo le relazioni, aumentiamo gli impegni. Il punto è che queste paure non si eliminano, rimangono lì.

Sembra un dramma infinito. E forse, in parte, lo è perché, la paura, come la notte, non si elimina, si illumina!

E allora il mio più grande augurio per tutti e per ciascuno è che questa Pasqua sia occasione per lasciare entrare nel nostro cuore la luce giusta, quella che salva dalla solitudine, dall’egoismo, dalla morte.

La luce cioè di quel Dio che non ti lascerà MAI solo e che, proprio per questo, è morto in croce per te.


Pasqua, che in ebraico significa “passaggio”, sia per ciascuno di noi un passaggio nelle tenebre della paura con la Luce della Risurrezione.


Don Giuseppe Fazio



sabato 10 marzo 2018

HO INCONTRATO CAINO. STORIE E TORMENTI DI VITE CONFISCATE ALLE MAFIE.

RUBRICA DI ATTUALITÀ: PENSARE FUORI DALLE RIGHE



Venerdì 23 Marzo 2018 alle ore 10.30 presso i licei di Cetraro (Cs), grazie alla disponibilità del Preside, il prof. Graziano di Pasqua, ed alla collaborazione della Prof.ssa Vilma Gallo, presenteremo un libro importante dal titolo “Ho incontrato Caino. Storie e tormenti di vite confiscate alle mafie”.

È ormai da tempo, infatti, che i licei cetraresi dedicano uno o più giorni all’anno per riflettere sulle tematiche della legalità. Tra i tanti incontri ricordo quelli ai quali ho personalmente partecipato: nei primi due abbiamo avuto la fortuna di ascoltare le testimonianze forti di Federica Angeli e di Tiberio Bentivoglio, due persone costrette a vivere sotto scorta perché hanno scelto da che parte stare; con loro abbiamo visto che vale la pena continuare a sperare e lottare per la nostra libertà. 
Lo scorso anno abbiamo presentato il libro intitolato “Al posto sbagliato” per smontare quel luogo comune secondo il quale esiste un codice di onore mafioso che rispetta le donne e i bambini innocenti. Ancora ricordo i volti e le espressioni di molti ragazzi mentre l’autore, Bruno Palermo, ripercorreva alcune delle storie dei 108 minori uccisi dalle mafie d’Italia negli ultimi cento anni circa.

Quest’anno abbiamo deciso di affrontare l’argomento da un’altra prospettiva. Insieme a don Marcello Cozzi, autore del libro, e a don Ennio Stamile, referente “Libera” per la regione Calabria, parleremo di come è possibile fare un passo indietro.

Spesso quando si parla di mafia si parla soltanto di denuncia (cosa sacrosanta) o di assistenza alle vittime (sensibilità per fortuna in crescita negli ultimi anni); più difficilmente si parla di recupero.
Se è vero che la ‘Ndrangheta, come ogni altra mafia, è per la società un cancro è altrettanto vero che, rispetto alla malattia che il nostro corpo può contrarre, le cellule mafiose possono essere recuperate. Le storie raccontate da don Marcello ci dicono che ciò, anche se costa fatica, è possibile.

È possibile per colui che ha scelto consapevolmente la via dell’illegalità, come per coloro che hanno sposato inconsapevolmente o magari non con piena coscienza un mafioso. Allo stesso modo è possibile per il ragazzo che ha frequentato la compagnia meno opportuna come per il boss che ha scalato le gerarchie mafiose con impressionante velocità.

L’incontro del prossimo 23 Marzo allora vuole avere un duplice aspetto:

1)    Da un lato far vedere che finché si è in vita c’è possibilità di porre rimedio ai propri errori. Quanto questo sia importante per ragazzi che si affacciano alla vita e che spesso percepiscono i propri piccoli o grandi errori come dei macigni indistruttibili è inutile che lo sottolinei.

2)    D’altro canto questo incontro vuole essere anche una sorta di mano tesa verso chi forse nel proprio cuore medita di fare un passo indietro e non può farlo o, forse, si sente troppo solo per farlo. Ho incontrato Caino … il primo ad averlo incontrato, dopo l’omicidio di Abele, fu Dio il quale pose un segno sulla sua fronte perché nessuno stendesse la mano contro di lui. Forse, anzi sicuramente, questo gesto Dio l’ha compiuto nella speranza che Caino potesse tornare sui suoi passi così da poterlo riaccogliere a casa. Forse permise a Caino di vivere perché Cristo, vero Abele, potesse andargli incontro per portare anche a lui quello sconvolgente annuncio: “Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 33,11).

Nella mia esperienza di servizio nel carcere di Rebibbia tante volte ho incrociato gli occhi di Caino e tante volte ho avuto la gioia di veder rinascere in quegli occhi la luce di un uomo nuovo.  
Tutte quelle volte ho sperimentato la gioia di una vittoria ben più grande di quella che si vorrebbe provare estirpando queste persone dalla faccia della terra: è la gioia della risurrezione di chi vede un uomo che era morto ed ora è tornato in vita (Cfr. Lc 15,24).



don Giuseppe Fazio




giovedì 1 marzo 2018

DAI LORO FRUTTI LI RICONOSCERETE

RUBRICA "IL MONDO INTERROGA LA FEDE- LA FEDE INTERROGA IL MONDO"

“Ci domandiamo: Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? In realtà chi sei tu per Non esserlo? Siamo figli di Dio. Il nostro giocare in piccolo, non serve al mondo. […] Siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi. Non solo in alcuni di noi: è in ognuno di noi. E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso. E quando ci liberiamo dalle nostre paure, la nostra presenza automaticamente libera gli altri.” Nelson Mandela, La meditazione

In una società che si vuole sempre più desacralizzata sotto il pretesto di una definizione della libertà piuttosto ingannevole, l’essere umano ha sempre più difficoltà a rapportarsi a qualcosa di più alto e che non sia sé stesso. In mancanza di punti di riferimento e valori solidi e immutabili, egli costruisce grattacieli su sabbie mobili. Non di rado capita infatti di incontrare persone che pur godendo di buona salute, di una bella famiglia e di una realizzazione professionale soddisfacente, essi dicano di vivere una vita insipida, di non riuscire a provare il sapore della gioia, persino di non trovare alcun stimolo per andare avanti. Definiamo con rassegnazione la depressione come “il male del secolo” senza interrogarci come mai la solitudine, la sfiducia, lo sconforto colpiscano sempre di più, anche lì dove apparentemente non dovrebbero esistere i presupposti.
I dibattiti televisivi, le reti sociali, persino le chiacchierate di piazza oppure i momenti in cui si sta insieme come famiglia o comunità, diventano luoghi e occasioni in cui più che confrontarsi per crescere, si cerca di prevalere e di ostentare una qualsiasi superiorità. Ancor di più nei periodi pre e post elettorali, le persone sembra facciano a gara a chi di più tiri fuori il peggio di se stesso. La parola è diventata facile, è come se la stessimo profanando banalizzandola e caricandola di un odio non giustificato o di altri atteggiamenti di avversione. Essa non passa più attraverso il cuore, ma diventa voce degli istinti non controllati e che di certo non ci fanno onore. Le reti sociali ad esempio diventano specchio di questo mutamento nell’essere umano; “homo homini lupus”, come Plauto costatava al suo tempo, l’uomo che diventa lupo per l’altro uomo. Abbiamo perso la delicatezza di risolvere i conflitti personali lontano dagli sguardi altrui; si gode nel diffamare e nello squalificare pubblicamente il prossimo, qualche istituzione, la Chiesa stessa. E tutto ciò è altamente gratificante, tanto che qualcuno non riesce nemmeno a nascondere la soddisfazione che prova nel farlo. Ed è ancor più triste quando a sventolare con orgoglio tali atteggiamenti siano i cristiani stessi; non è di sicuro ciò che farebbe il Gesù che dicono di seguire: sbattere con rancore gli errori e le mancanze altrui sui muri dell’Agorà invece di soffrire e pregare per chi sbaglia, cercando di correggerlo in privato se si è capaci… E’ così che perdiamo l’umanità e la dignità, diventando sempre più grezzi e sempre meno capaci di amare e di costruire. Parlando di Cristo, Kierkegaard annotava: “(Egli) non ritenne mai un tetto tanto misero da impedirgli di entrare con gioia, mai un uomo tanto insignificante da non voler collocare la sua dimora nel suo cuore.” Quante volte noi, che pretendiamo di seguirlo, storciamo il naso di fronte alle richieste di accoglienza e di integrazione di coloro che riteniamo offensivo considerarli pari. Dai nostri frutti ci riconosceranno…
Senza un’unità di misura più alta, diventiamo la nostra propria unità di misura: così le nostre delusioni sono le più grandi, i nostri dolori i più invisibili, noi quelli sempre meno compresi o apprezzati nei nostri ambienti. Ripiegati su noi stessi ci carichiamo di ansie, frustrazioni, paure, anche di rabbia che poi liberiamo egoisticamente nei modi meno opportuni, ferendo anche coloro che ci vogliono bene. San Francesco offre una soluzione sempre valida: il ritorno alle origini, alla nostra vera essenza, guardando verso Colui che ci ha creati, guardando a come ci ha creati, riscoprendoci figli amati a prescindere dai nostri limiti, dalle nostre mancanze e dalle nostre clamorose cadute. Si tratta di una soluzione propulsatrice, che ci spinge ad andare oltre, a uscire da noi stessi per andare incontro alle necessità altrui, per cercare di curare le ferite altrui; è la soluzione che ci fa vedere chiaro come il nostro microcosmo sia contenuto in qualcosa di infinitamente più grande. C’è Qualcuno che più di due mila anni addietro ha pienamente incarnato nella Sua natura i disaggi che quotidianamente sperimentiamo e ci ha messo in mano gli strumenti per non lasciarci schiacciare dai loro pesi. Ci ha insegnato che la vita, ogni vita, abbia un valore che va oltre quel disperato provare a sopravvivere per arrivare “degnamente” alla fine. Essa va assunta attimo per attimo, ma questo non può avvenire se continuiamo a stare lì a difendere con veemenza i nostri confini, colpa di un irrazionale spirito di conservazione per paura di sprecarci. Il sapore, il senso di questa vita lo si inizia a percepire distintamente proprio quando uno smette di fare calcoli a tavolino: nell’intento di individuare fino a dove può arrivare in sicurezza, o dove ci possa essere un guadagno sicuro che ripaghi ogni passo che uno muove. La vita la si vive veramente proprio quando non si ha più paura di sprecarsi.  
“Dai loro frutti li riconoscerete”, dice Gesù. Ciò che siamo in mezzo agli altri è riflesso di ciò che siamo dentro. Il giudizio va contro l’amore; così chi aggredisce e inveisce contro il prossimo va contro l’amore. Siamo chiamati ad essere sale e luce in ogni ambiente della nostra quotidianità, mentre tante volte ne siamo impediti dai conflitti che alimentiamo, dall’orgoglio che non sappiamo spegnere, dall’immagine sociale con la quale per tempo ci siamo identificati e alla quale ci è difficile rinunciare, dalla misericordia che vogliamo per noi e che ci costa un immensa fatica donarla. Quanta energia, non solo dispersa inutilmente, ma che tanto ci allontana da ciò che realmente siamo, dal senso di pienezza che già qui potremmo pregustare. Quando guardando verso Dio cominceremo a sentire frantumi della Sua grandezza sparsi dentro di noi, creati a Sua immagine e somiglianza, inevitabilmente comprenderemo che questo vale anche per gli altri: è così che si inizia a dare fiducia al prossimo, a guardarlo con occhi nuovi che non cercano di cogliere sempre l’errore, ma piuttosto il bene che in egli abita. Perché frantumi di bene esistono in ognuno di noi, non perché irragionevolmente ci ostiniamo a vederli, ma perché siamo tutti figli dello stesso Padre, riflessi dello stesso amore e della stessa anima che ci contiene. 

“Il nostro giocare in piccolo non serve al mondo” scriveva Mandela, e di sicuro non serve nemmeno a noi stessi. Siamo stati creati per qualcosa di più grande, che per le piccole ed inutili guerre che combattiamo con tenacia ogni giorno. Questo tempo santo che stiamo vivendo è un momento propizio per meditare su questa nostra dignità della quale spesso ci dimentichiamo. Diceva San Giovanni Paolo II che “nessuna privazione o sofferenza potrà mai rimuovere questa dignità, perché noi siamo sempre preziosi agli occhi del Signore.”


Andreea Chiriches Leone