venerdì 19 gennaio 2018

CETRARO DICE "NO" ... L'INTERVENTO DI DON ENNIO STAMILE (video)

RUBRICA DI ATTUALITÀ: 
PENSARE FUORI DALLE RIGHE.



Come anticipato, nella giornata di ieri a Cetraro si è svolta la manifestazione, organizzata dalla giunta comunale dello stesso paese, per affermare con forza che i cittadini non hanno più voglia di sottostare alla violenza ed alla prepotenza di pochi. 
Negli ultimi mesi, infatti, il paese dell'alto tirreno cosentino è stato scenario di una crescente manifestazione di furti, rapine ed intimidazioni, l'ultima, quella più eclatante, rivolta a don Ennio Stamile, referente regionale di Libera per la Calabria. 
Alla manifestazione erano presenti sindaci, il presidente della regione, parroci, i sindacati, le scuole e tante associazioni. 

Postiamo qui proprio il video con l'intervento di don Ennio. Parole - quelle pronunciate dal sacerdote durante la manifestazione - chiare ed inequivocabili: la lotta per il riscatto sociale e per la legalità NON è questione di POCHI EROI, ma di ogni singolo cittadino. É urgente - affermato con forza don Ennio - far convergere le energie in un fronte comune perché da soli non si va da nessuna parte. 
Allo stesso modo, però, questa lotta richiede un IMPEGNO SERIO E COERENTE, fatto di scelte coraggiose e profetiche, capaci di trasformare fin in fondo il tessuto sociale. 

A Cetraro, nido del clan Muto, non si era mai vista una mobilitazione simile. Incoraggiante è stata soprattutto la presenza di centinaia di ragazzi. 
Noi ne siamo convinti: questi sono i primi raggi di un'alba che non tarderà ad arrivare!
Uno degli striscioni che hanno colorato il lungomare di Cetraro recava questa scritta: "L'indifferenza uccide ogni giorno". Manifestazioni come queste dicono che molta gente non vuole più morire di indifferenza!


don Giuseppe  Fazio






mercoledì 17 gennaio 2018

IN STRADA PER DIRE APERTAMENTE NO ALLA VIOLENZA


Scendere in strada non è una soluzione. Non risolve il problema, ma è anche un dovere civico. Qui non è in gioco l'appartenenza ad un partito, ad una fazione o ad ideale; qui sono in gioco i nostri diritto. Il diritto di poter dire che noi non abbiamo nulla a che spartire con certa gente che ha fatto della propria vita un inno alla violenza e alla morte. Non si tratta di stare al fianco di una singola persona, prete o politico che sia ... sarebbe troppo poco. 
Noi dobbiamo dire no a questo cancro che impedisce lo sviluppo del nostro territorio, la serenità delle nostre famiglie e delle nostre attività commerciali come anche la pulizia del nostro ambiente.
Noi abbiamo il diritto ed il dovere di dire pubblicamente che non abbiamo nulla a che spartire con questi soggetti. 
L'impegno per la legalità è certamente qualcosa che riguarda il quotidiano, ma quando questa viene calpestata pubblicamente, pubblicamente c'è bisogno di rivendicarla. 
Proprio ora che il nostro territorio è stretto in una morsa di furti, minacce, rapine ... proprio ora è il momento di dire un corale "no". 
Chiudere gli occhi oggi potrebbe voler dire, anzi certamente è così, riaprirli domani quando sarà molto peggio.
  



martedì 16 gennaio 2018

LE PAROLE DI UN SACERDOTE "INTIMIDITO". UN SORRISO CHE NON PUÒ ESSERE SOPRAFFATTO.


VERSIONE INTEGRALE DELLA LETTERA APPARSA SU "AVVENIRE" IN DATA 16-01-17

Caro Direttore,
                         
               profitto della sua cortesia e della sua attenzione che ha voluto dedicare alla spiacevole vicenda intimidatoria indirizzata alla mia persona, per esternare alcune considerazioni ed emozioni vissute in questi non facili momenti. Intanto, mi consenta di ringraziare dal profondo del cuore coloro che, in tutti i modi, si sono fatti a me prossimi, per formulare quel senso di solidarietà e di vicinanza che in questi casi ci fa sentire non solo meno soli, ma ci fa sperimentare quell’abbraccio fraterno, che sa di compagnia, sostegno, premura, custodia, compassione. Ne abbiamo sempre bisogno! Sono davvero tanti, confratelli sacerdoti, in primis don Luigi Ciotti, con la sua parola rassicurante e nel contempo risoluta. Che invita a continuare l’impegno, a provocare le coscienze, ma anche alla conversione di chi si piega alle suggestioni del male. Tutti i referenti regionali di Libera, quelli provinciali e territoriali calabresi. Poi i Vescovi, calabresi e non, che hanno pregato e fatto pregare per me, paternamente sostenuto, fraternamente incoraggiato. Il Presidente del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria. Le Forze delle Ordine ed i Prefetti di Reggio Calabria e di Cosenza. La Comunità tutta del Seminario teologico regionale San Pio X di Catanzaro. I tantissimi religiosi e religiose. Il Presidente ed il vice presidente della Regione, i Parlamentari calabresi, Assessori e Consiglieri regionali, i Sindaci, primo fra tutti quello di Cetraro, luogo dove dimoro. Le numerose Associazioni di categoria, i Sindacati, L’Azione Cattolica e l’Agesci Calabria. I tanti giornalisti. Infine da ultimo, ma non per ultimo, le migliaia di semplici cittadini. Ho avvertito l’esigenza di scriverLe dopo la Celebrazione eucaristica di questa domenica 14 marzo perché, al termine, sono stato avvicinato da un pescatore di questa terra che nel stringermi con vigore la mano, mi ha ringraziato con queste parole: “ora ho capito perché lo fai. Lo fai per noi e per i nostri figli, perché possano avere un futuro migliore”. Non le nascondo che queste parole mi hanno fatto piacere più di tutte, mi scuseranno gli altri. Sono gesti e parole profuse da chi, come tanti in Calabria, sa di poter contare solo sulle proprie forze. Di chi altra speranza non ha, se non quella che in inverno si plachi la furia del mare, per poter calare nuovamente la rete e sperare in una pesca fruttuosa, che si possa vendere senza imposizioni del boss di turno. Cetraro da circa quarant’anni fa i conti con Francesco Muto alias il “re del pesce”, per ora assicurato alle patrie galere assieme ai suoi sodali, nel mentre è in corso il processo “Frontiera”, condannato dalla gloriosa storia millenaria di questa Città, prima ancora che dai tribunali. Tali uomini e donne non sperano più in certa politica, sempre più lontana dai veri problemi delle persone, che in Calabria si chiamano ‘ndrangheta, disoccupazione, lavoro nero o sottopagato, mala sanità, mancanza di servizi socio-sanitari, di viabilità, di un serio progetto di sviluppo turistico ed agricolo. E molti altri che ben conosciamo. La maggior parte dei calabresi onesti, giovani e meno giovani, può contare solo nella propria capacità di non mollare mai. Nonostante prevaricazione, logica dell’appartenenza a scapito della competenza, sub-cultura del degrado e dell’assuefazione al degrado, racket ed usura, omertà, corruzione ed altri mali diventati quasi endemici non solo nella terra di Calabria, purtroppo. C’è poi un altro male che rischia anch’esso di disorientare: il mito dell’eroe di turno immaginato come “ardimentoso protagonista di mille imprese”. Tante volte in passato ed anche oggi mi capita di essere confuso o indicato come “prete antimafia” oppure “prete sociale” ed altre più o meno simili fuorvianti “etichette”. Mons. Nunzio Galantino, durante l’incontro con i familiari delle vittime innocenti delle mafie nel mese di marzo dello scorso anno a Locri, ha ben chiarito che “gli uomini e le donne di Chiesa che si impegnano in questo fronte lo fanno perché credono al Vangelo, lo fanno per far sentire la vicinanza ed il sostegno a quanti come voi sentono il peso insopportabile della sofferenza provocata dalla prepotenza e dall’arroganza di uomini che, voglio ricordarlo, proprio qui in Calabria Papa Francesco ha detto essere scomunicati”. Dunque, nessuna diversità che ci fa essere “preti speciali”. Sebbene Libera sia un’Associazione aconfessionale ed apartitica, noi sacerdoti che vi operiamo, benché eletti dalle assemblee regionali o provinciali, riceviamo un mandato da parte del Vescovo, quindi della Chiesa. Questo sono in molti a dimenticarlo, purtroppo! Quando ciò accade ecco il mito dell’eroe di turno sempre in agguato. Sono tantissimi i confratelli che operano nel silenzio del servizio pastorale in contesti spesso difficili ed isolati, che non hanno certo, né la cercano, l’attenzione delle cronache. Semplicemente una grande passione per questo splendido lembo terra e per gli uomini e le donne che la abitano. E’ il Vangelo ad accendere a tutti i credenti, ed in modo speciale a noi sacerdoti e consacrati tale passione per l’uomo. Consapevoli che Dio stesso in Cristo Gesù per primo ha percorso fino in fondo, fino alla Croce, la Via per raggiungere ogni uomo. Affinché in questa Verità, possiamo finalmente sperimentare il gusto e la bellezza di quella Libertà che ci fa essere compiutamente uomini, cittadini del mondo, autenticamente fratelli perché figli di un unico Padre. In forza di questa passione, continuiamo il nostro impegno, consapevoli che il bene vince sempre a volte perdendo, perché non è disposto a cedere alle logiche del male. Ma vince!
Infintamente grazie a tutti.


Don Ennio Stamile
Referente regionale di "Libera" in Calabria




La fotografia, anche se qualitativamente non è delle migliori, simbolicamente vuole richiamarsi al senso del sacerdozio che don Ennio tratteggia nelle sue parole. 




domenica 14 gennaio 2018

L'AMORE? UNA QUESTIONE DI POSIZIONI ...

RUBRICA DI ATTUALITÀ: PENSARE FUORI DALLE RIGHE.


Nella vita sarà capitato o comunque capiterà a tutti di fare esperienza di una relazione che non va come vorremmo o al contrario di una che invece va proprio a gonfie vele. Forse un po’ meno capita di domandarsi il “perché” profondo del successo o dell’insuccesso di una relazione che ha al fondo il desiderio sincero di amare e di essere amati.

A mio avviso è una questione di posizioni … in che senso?

Intessere una relazione con un’altra persona vuol dire farsi prossima cioè avvicinarsi ad essa. Ora è chiaro che ogni relazione è per se stessa diversa perché sono diversi i soggetti che la vivono. Vi sono però delle categorie di relazioni: Amicizia, relazioni di coppia, relazioni tra genitori e figli, rapporti di lavoro oppure di convenienza.

Ecco … ognuna di queste relazioni si caratterizza per una differente posizione che l’uno prende rispetto all’altro. Facciamo alcuni esempi:



1)  I Genitori rispetto ai loro figli stanno, per così dire, in alto. Non solo perché sono fisicamente più alti, almeno fino ad una certa età, ma perché essi dall’alto della loro esperienza si presume/si spera possono educare i loro figli per portarli in alto.  Di conseguenza i figli stanno in basso con gli occhi rivolti verso l’alto, verso i propri genitori con quel desiderio costante di crescere per raggiungerli e magari superarli. È il dinamismo dell’educazione: non uno che sta in alto perché governi sul più piccolo, bensì perché lo aiuti a crescere e con questo lo aiuti a “spiccare il volo” magari anche lontano da se stesso.

2) Gli innamorati (fidanzati/sposi) “si interrogano continuamente sul loro amore […] Gli innamorati stanno quasi tutto il tempo faccia a faccia, assorti nella contemplazione l’uno dell’altro” (C.S. Lewis, I quattro amori, 62). Due innamorati cercano nell’altro la propria metà e offrono se stessi come completamento umano dell’altro. I due si approcciano l’uno all’altro con il desiderio di poter diventare un “noi” escludendo la possibilità di avere con altri una simile relazione.

3) Gli amici “non parlano quasi mai della loro amicizia […] sono fianco a fianco, assorti in qualche interesse comune” (C.S. Lewis, I quattro amori, 62). In Questo genere di legame, al contrario del precedente, i due amici naturalmente cercheranno altre persone che gli si possano affiancare nel cammino, che possano cioè diventare loro amici. Non v’è esclusività nell’amicizia e, infatti, l’esclusività rischia per essa, di diventare il più grande veleno.

4) Abbiamo poi gli opportunisti. Essi si pongono alle spalle di una persona per studiarla. Apparentemente sussurrano dolci consigli o parole, ma è solo per il momento del suo bisogno: forse per colmare la sua solitudine, forse per raggiungere chissà quale scopo. Al momento opportuno si allontanerà.

Insomma a partire dalla posizione che assumiamo dinnanzi ad una persona viviamo un tipo di relazione diversa. Qual è il dramma? Confondere le posizioni. Quando un genitore vuole fare l’amico, o l’amico vive da innamorato (pur senza attrazione fisica);  quando un figlio vuole fare il genitore o, il cielo non voglia, quando il genitore vive da innamorato del proprio figlio; quando un opportunista vive da amico o l’amico diventa un opportunista; quando insomma si confondono le posizione iniziano i più drammatici guai relazionali. Sì, perché senza accorgersene (può valere anche per l’opportunista) si creano, nei confronti dell’altro, aspettative, che pian piano divengono attese e poi pretese, le quali, una volta deluse, generano tristezza, discussioni, rancore e, nei peggiori dei casi, rabbia ed odio.
Potrebbe capitare anche che ci sia qualche relazione “ballerina” in cui uno dei due, o forse entrambi, assumono, in stagioni diverse della relazione, più posizioni.

Io credo che in ogni relazione debba valere il motto: “Stai al posto tuo”. C’è solo una relazione  che fa eccezione nella quale si possono assumere diverse posizioni. Quale?

V’è tra tutte un’altra relazione, quella più alta. Ovvero quella con il Creatore. Lui sta certamente al di sopra di ogni uomo in quanto è nostro Padre, ma è allo stesso tempo di fronte  a noi perché ci ama e vuole che siamo una sola cosa con Lui. Nondimeno sta al nostro fianco in quanto, facendosi uomo, ha voluto camminare con noi, condividendo le nostre stesse gioie e i nostri stessi dolori in vista di una comune meta: il cielo. 

Il perché dell’eccezionalità di questa relazione chi la vive lo comprende bene e chi non la vive può intuirlo. Essa è la relazione che dà senso ad ogni relazione perché colma in partenza il nostro desiderio naturale di essere figli, genitori, amici, amanti. Un uomo che avrà fatto esperienza di questa relazione in modo maturo difficilmente, nelle altre relazioni, sarà “ballerino” o instabile.


Quanto sia difficile trovare la giusta posizione lo conosciamo tutti, quanto sia straordinariamente bello vivere al proprio posto è ciò che invece vi auguro.


Giuseppe Fazio



venerdì 12 gennaio 2018

ABBANDONIAMO I PORTI SICURI

RUBRICA DI LETTERATURA E POESIA


Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
L'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato della vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino,
ovunque spingano la barca.
(Edgar Lee Masters)

Man mano che cresciamo acquistiamo maturità, consapevolezza e responsabilità ma, nel fare ciò, corriamo spesso il rischio di perdere il coraggio, l'intraprendenza e l'entusiasmo. 
Quando succede questo, invece di parlare di "paura", per giustificare le nostre rinunce e l'ostinata difesa del nostro porto sicuro, parliamo di "prudenza", passando inconsapevolmente da un "percorso di vita" ad un "processo di autoconservazione", da uno "spirito di iniziativa" ad uno "spirito di sopravvivenza". 

Per risparmiarci il dolore, ci priviamo della felicità; per evitare la caduta in basso, non vediamo il paesaggio dalla vetta; per non incorrere in pericoli, non proviamo l'entusiasmo delle scoperte.

È così che ci illudiamo di essere felici della nostra vita accomodante quando siamo soltanto insoddisfatti per quella "fame di un significato della vita" (come la definisce l'autore) che silenziosamente ci divora lo stomaco e ci pulsa nel cuore;è così che tutti i nostri "vorrei" sognanti li trasformiamo magicamente in tanti tristi "avrei voluto".
Ecco, è proprio da questo che l'autore vuole metterci in guardia invitandoci a spiegare le vele. Perché una vita di rimpianti non potrà mai valere più di una vita di imprevisti.


SARA FOSFORINO


giovedì 11 gennaio 2018

FRAGILI COME ALBERI SENZA RADICI


RUBRICA "IL MONDO INTERROGA LA FEDE- LA FEDE INTERROGA IL MONDO"


“Se l’Europa ha sofferto molto di più in questo secolo è perché consapevolmente si è allontanata da Dio. Perché ha voluto vedere se i popoli possono sopravvivere senza la fede. No, non possono sopravvivere se non scendendo sotto la condizione umana. Quando manca la fede non puoi più distinguere tra il bene e il male. Brancoli, ti perdi, oggi cammini appresso ad uno, domani appresso ad un altro, e alla fine dici che non esiste nessuno che conosca la verità o che la verità non esiste. Aspetto una rinascita spirituale non solo dalla Romania, ma dall’intera Europa. Le leggi e le convenzioni non sono abbastanza perché gli uomini rinuncino alla violenza. Attraverso la fede, anche il dovere verso il proprio paese lo compi con più forza. Io so che nulla hanno temuto di più i comunisti che la fede del popolo in Cristo. Essi comprendevano meglio di tutti che un uomo con la fede fosse uno schiavo in meno. Se loro hanno predicato l’ateismo è stato perché solo così potevano privare la gente della più forte protezione.” Mihai I, Re della Romania
Sono ormai più di dieci anni che ho lasciato il mio paese che tutt’ora si libera dalle reminiscenze comuniste, per mettere radici in questo pezzo di terra dell’Europa meridionale. Durante il percorso universitario, così come nelle varie esperienze con giovani e giovanissimi, ho spesso notato nella formazione offerta una tendenza abbastanza diffusa al distacco dal passato. Come se il passato fosse qualcosa che non ci riguarda più di tanto. I costumi e le usanze, le tradizioni popolari, il passato anche abbastanza recente del proprio territorio, per molti giovani sono delle grandi sconosciute. Forse anche causa della tendenza europea e globale di uniformità, il cosiddetto “villaggio globale”, che si manifesta attraverso il progressivo annullarsi non solo delle distinzioni tra i singoli sistemi, ma in modo errato anche delle particolarità specifiche che stanno alla base delle varie culture. In Europa forse lo viviamo ancor di più. C’è una perdita di identità, uno sradicamento non giustificato i cui effetti vengono subiti principalmente dai giovanissimi, che già vediamo… sono molto uniformizzati. Far dimenticare le tradizioni e l’identità culturale e religiosa rende insipida l’esistenza, meno colorata. Le tradizioni non sono l’opposto della modernità. Sono loro stesse una serie di modernità decantate, storia filtrata. La loro perdita implica anche la perdita di valori importanti. Dice Kezer, ex segretario di stato americano, che la continuità ci dà le radici mentre il cambiamento ci regala i rami, lasciando a noi la volontà di estenderli e di farli crescere fino a raggiungere nuove altezze.
Cerchiamo di uniformizzarci anche su altri piani: insegniamo per esempio che la timidezza sia cosa antiquata, che bisogna nasconderla se proprio non riusciamo a sradicarla; o che il senso di pudore sia per forza frutto di pregiudizi; nulla di più sbagliato… Ci vengono proposte determinate tipologie umane, universali, costruite secondo un determinato canone nel quale dobbiamo rientrare per non essere diversi; l’uomo universale può fare a meno dalle radici, dalle origini, per cui pensa di essere forte perché può cambiare tutto ciò che desidera quando lo desidera: dal proprio sesso a come e quando morire… l’elenco è lungo. E’ ciò che già emerge parlando con i giovanissimi. E’ facile muoversi con tanta facilità negli aspetti fondamentali del nostro essere, ma questo rende anche molto fragili. Stiamo uniformizzando persino i mezzi, le modalità di espressione ed il linguaggio, sempre più limitato e rudimentale. Ci uniformizza anche la tendenza di bruciare le tappe, perché scompare la pazienza. Così come le tante informazioni a portata di click donano all’uomo globalizzato la sensazione di sapere tanto mentre la sua cultura è più frammentaria che mai in quanto essa si forma approfondendo. 
Andiamo in una direzione che non sappiamo dove porta ma sappiamo da cosa ci allontana. Siamo stati fortunati perché da piccoli avevamo dei modelli che cercavamo di seguire, una scala di valori stabiliti sulla quale c’era poco da discutere. Questo ci dava un senso di sicurezza e di stabilità, che oggi manca, perché siamo arrivati a mettere in discussione un po’ tutto. Questo crea tanta irrequietezza nelle persone, insicurezza, nervosismo. Lo stesso fenomeno si manifesta anche nell’educazione; il programma scolastico come quello universitario è una sorta di fare a gara tra chi propone la novità in modo più originale, e una certa indifferenza verso il passato, che taglia le radici. E’ altrettanto negativo essere troppo tradizionalisti e troppo ancorati nel passato, ma è scomparso l’equilibrio, la via di mezzo. Serve e servirà sempre all’essere umano sapere da dove viene per darsi dei punti di riferimento per il futuro. Serve all’essere umano mettersi in discussione, cercare di evolvere anche indagando la validità della sua eredità culturale o religiosa, vivendo propulsato verso un futuro che sia frutto di un lavoro e di una coscienza personale. E credo altrettanto che sia difficile arrivare a fare questo senza una piena conoscenza di ciò che siamo, di dove veniamo, di cosa ci ha costruiti fino ad oggi. 
Attraverso l’art. 17 l’UE chiede per esempio il livellamento tra le varie entità religiose (anche quelle che stanno alla base della storia e della cultura del continente) e le organizzazioni non confessionali o di stampo filosofico. Per cui la Chiesa non può assumere una posizione che abbia un peso diverso da quello di una qualunque associazione. Nel suo discorso al Parlamento europeo, Papa Francesco parlò di un’Europa incapace “di aprirsi alla dimensione trascendente della vita”, che rischia lentamente “di perdere la propria anima e anche quello spirito umanistico che pure ama e difende”. Il compito dell’anima, disse il papa, “è quello di sostenere il corpo, di esserne la coscienza e la memoria storica. E una storia bimillenaria lega l’Europa e il cristianesimo.” Otto anni fa Benedetto XVI avvertiva sul pericolo della cultura relativista, spiegando che per laicità non si può intendere la negazione della trascendenza; non si può parlare di vera laicità se viene tolto il diritto di professare pubblicamente il proprio credo, pur evitando sempre l’approccio di tipo fondamentalista. 
Il fare a meno delle radici, delle origini, della propria storia rende l’essere umano fragile e facilmente manipolabile. Aïvanhov, esoterista bulgaro del secolo passato, paragonava l’uomo ad un albero: la cosa più importante sono le radici, e una volta lese tutto è in pericolo. “Il passato significa legittimazione e giustificazione. Senza passato non possiamo più essere sicuri di nulla.” L. Boia


Andreea Chiriches Leone