RUBRICA
"IL MONDO INTERROGA LA FEDE- LA FEDE INTERROGA IL MONDO"
“Se
l’Europa ha sofferto molto di più in questo secolo è perché consapevolmente si
è allontanata da Dio. Perché ha voluto vedere se i popoli possono sopravvivere
senza la fede. No, non possono sopravvivere se non scendendo sotto la
condizione umana. Quando manca la fede non puoi più distinguere tra il bene e
il male. Brancoli, ti perdi, oggi cammini appresso ad uno, domani appresso ad
un altro, e alla fine dici che non esiste nessuno che conosca la verità o che
la verità non esiste. Aspetto una rinascita spirituale non solo dalla Romania,
ma dall’intera Europa. Le leggi e le convenzioni non sono abbastanza perché gli
uomini rinuncino alla violenza. Attraverso la fede, anche il dovere verso il
proprio paese lo compi con più forza. Io so che nulla hanno temuto di più i
comunisti che la fede del popolo in Cristo. Essi comprendevano meglio di tutti
che un uomo con la fede fosse uno schiavo in meno. Se loro hanno predicato
l’ateismo è stato perché solo così potevano privare la gente della più forte
protezione.” Mihai I, Re della Romania
Sono ormai
più di dieci anni che ho lasciato il mio paese che tutt’ora si libera dalle
reminiscenze comuniste, per mettere radici in questo pezzo di terra dell’Europa
meridionale. Durante il percorso universitario, così come nelle varie
esperienze con giovani e giovanissimi, ho spesso notato nella formazione
offerta una tendenza abbastanza diffusa al distacco dal passato. Come se il
passato fosse qualcosa che non ci riguarda più di tanto. I costumi e le usanze,
le tradizioni popolari, il passato anche abbastanza recente del proprio
territorio, per molti giovani sono delle grandi sconosciute. Forse anche causa
della tendenza europea e globale di uniformità, il cosiddetto “villaggio
globale”, che si manifesta attraverso il progressivo annullarsi non solo delle
distinzioni tra i singoli sistemi, ma in modo errato anche delle particolarità
specifiche che stanno alla base delle varie culture. In Europa forse lo viviamo
ancor di più. C’è una perdita di identità, uno sradicamento non giustificato i
cui effetti vengono subiti principalmente dai giovanissimi, che già vediamo…
sono molto uniformizzati. Far dimenticare le tradizioni e l’identità culturale
e religiosa rende insipida l’esistenza, meno colorata. Le tradizioni non sono
l’opposto della modernità. Sono loro stesse una serie di modernità decantate,
storia filtrata. La loro perdita implica anche la perdita di valori importanti.
Dice Kezer, ex segretario di stato americano, che la continuità ci dà le radici
mentre il cambiamento ci regala i rami, lasciando a noi la volontà di
estenderli e di farli crescere fino a raggiungere nuove altezze.
Cerchiamo di uniformizzarci anche su altri piani: insegniamo per esempio che la
timidezza sia cosa antiquata, che bisogna nasconderla se proprio non riusciamo
a sradicarla; o che il senso di pudore sia per forza frutto di pregiudizi;
nulla di più sbagliato… Ci vengono proposte determinate tipologie umane,
universali, costruite secondo un determinato canone nel quale dobbiamo
rientrare per non essere diversi; l’uomo universale può fare a meno dalle
radici, dalle origini, per cui pensa di essere forte perché può cambiare tutto
ciò che desidera quando lo desidera: dal proprio sesso a come e quando morire…
l’elenco è lungo. E’ ciò che già emerge parlando con i giovanissimi. E’ facile
muoversi con tanta facilità negli aspetti fondamentali del nostro essere, ma
questo rende anche molto fragili. Stiamo uniformizzando persino i mezzi, le
modalità di espressione ed il linguaggio, sempre più limitato e rudimentale. Ci
uniformizza anche la tendenza di bruciare le tappe, perché scompare la
pazienza. Così come le tante informazioni a portata di click donano all’uomo
globalizzato la sensazione di sapere tanto mentre la sua cultura è più
frammentaria che mai in quanto essa si forma approfondendo.
Andiamo in una direzione che non sappiamo dove porta ma sappiamo da cosa ci
allontana. Siamo stati fortunati perché da piccoli avevamo dei modelli che
cercavamo di seguire, una scala di valori stabiliti sulla quale c’era poco da
discutere. Questo ci dava un senso di sicurezza e di stabilità, che oggi manca,
perché siamo arrivati a mettere in discussione un po’ tutto. Questo crea tanta
irrequietezza nelle persone, insicurezza, nervosismo. Lo stesso fenomeno si
manifesta anche nell’educazione; il programma scolastico come quello
universitario è una sorta di fare a gara tra chi propone la novità in modo più
originale, e una certa indifferenza verso il passato, che taglia le radici. E’
altrettanto negativo essere troppo tradizionalisti e troppo ancorati nel
passato, ma è scomparso l’equilibrio, la via di mezzo. Serve e servirà sempre
all’essere umano sapere da dove viene per darsi dei punti di riferimento per il
futuro. Serve all’essere umano mettersi in discussione, cercare di evolvere anche
indagando la validità della sua eredità culturale o religiosa, vivendo
propulsato verso un futuro che sia frutto di un lavoro e di una coscienza
personale. E credo altrettanto che sia difficile arrivare a fare questo senza
una piena conoscenza di ciò che siamo, di dove veniamo, di cosa ci ha costruiti
fino ad oggi.
Attraverso l’art. 17 l’UE chiede per esempio il livellamento tra le varie
entità religiose (anche quelle che stanno alla base della storia e della
cultura del continente) e le organizzazioni non confessionali o di stampo
filosofico. Per cui la Chiesa non può assumere una posizione che abbia un peso
diverso da quello di una qualunque associazione. Nel suo discorso al Parlamento
europeo, Papa Francesco parlò di un’Europa incapace “di aprirsi alla dimensione
trascendente della vita”, che rischia lentamente “di perdere la propria anima e
anche quello spirito umanistico che pure ama e difende”. Il compito dell’anima,
disse il papa, “è quello di sostenere il corpo, di esserne la coscienza e la
memoria storica. E una storia bimillenaria lega l’Europa e il cristianesimo.”
Otto anni fa Benedetto XVI avvertiva sul pericolo della cultura relativista,
spiegando che per laicità non si può intendere la negazione della trascendenza;
non si può parlare di vera laicità se viene tolto il diritto di professare
pubblicamente il proprio credo, pur evitando sempre l’approccio di tipo
fondamentalista.
Il fare a meno delle radici, delle origini, della propria storia rende l’essere
umano fragile e facilmente manipolabile. Aïvanhov, esoterista bulgaro del
secolo passato, paragonava l’uomo ad un albero: la cosa più importante sono le
radici, e una volta lese tutto è in pericolo. “Il passato significa
legittimazione e giustificazione. Senza passato non possiamo più essere sicuri
di nulla.” L. Boia
Andreea Chiriches Leone
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