giovedì 26 luglio 2018

SE UN PRETE VIOLENTA UN BAMBINO … QUANTA È LA SOFFERENZA?

Rubrica di attualità: Pensare fuori dalle righe. 

Dopo l’ennesimo arresto di un sacerdote trovato in atteggiamenti di intimità con una bambina di appena 10 anni nella sua macchina, ho avvertito la necessità di dedicare questo spazio ad una riflessione in merito.
A meno di due mesi dalla mia ordinazione sacerdotale – lo ammetto – ho avvertito un senso di smarrimento. Non vale la giustificazione fondata sul fatto che le violenze su minori ad opera di preti sia numericamente inferiore rispetto a quella commessa da laici. Non vale nemmeno il “sono uomini come tutti gli altri”. Il senso di smarrimento è tanto, com’è tanta la sofferenza. 
Non saprei spiegare cosa si possa muovere nella testa di questi uomini, di questi sacerdoti. Non saprei dire se è malattia (forse sarebbe una giustificazione, forse no), perversione, pazzia, o cos’altro. 
Quando ho appreso la notizia ho avuto semplicemente una reazione: “Signore, basta. Liberaci da questa piaga”. Riguardo a chi scandalizza uno di questi bambini il Signore ha detto che sarebbe meglio “per loro mettersi una macina al collo e gettarsi in mare”(cfr. Mt 18,6). Parole dure come quelle di violenza che ho letto in tanti fratelli e sorelle, anche se, quest’ultime, ovviamente non le condivido. Alla violenza non bisogna mai aggiungere altra violenza. Questo ci è davvero chiaro.
Faccio davvero tanta fatica a scrivere per questo semplicemente vorrei invitare, chi avrà la pazienza di leggermi, ad avere alcuni atteggiamenti:
a)   Indigniamoci e riflettiamo. Perché casi di violenze su minori stanno aumentando? Perché gli stupri in genere sono in crescita? Riflettiamo e cambiamo qualcosa della nostra vita. Quanto è difficile!
b)   Preghiamo per questi bambini. Che ferite che sono loro inflitte. Ho i brividi. Dicono che, quando papa Benedetto XVI ascoltò i racconti dalla voce delle vittime, pianse amaramente con loro. Preghiamo per questi bambini perché il Signore faccia ciò che nessun uomo è capace di fare: ridonare loro la vita che è stata strappata con violenza da chi invece avrebbe dovuta custodirla. 
c)   Preghiamo per i loro genitori. Per chi non sapeva e adesso sarà distrutto dal rimorso di non aver capito, intuito o protetto adeguatamente i propri cuccioli. Per chi sapeva (non solo tra i parenti) e non ha avuto il coraggio di denunciare. 
d)   Preghiamo per questi consacrati che si sono macchiati di questo grave crimine e peccato peggiore, forse, di qualsiasi altro. È difficile? Da morire. Vorremo far prevalere la violenza? È umano. Ricordo qui le parole di Gandalf a Frodo ne “Il Signore degli Anelli”: FRODO: Che peccato che Bilbo non l'abbia (Gollum) ucciso quando poteva! GANDALF: Peccato? E’ stata la pena che gli ha fermato la mano. Molti di quelli che vivono meritano la morte e…Molti di quelli che muoiono meritano la vita. Tu sei in grado di valutare, Frodo? Non essere troppo ansioso di elargire morte e giudizi. Anche i più saggi non conoscono tutti gli esiti. Il mio cuore mi dice che Gollum ha ancora una parte da recitare, nel bene o nel male, prima che la storia finisca. La pietà di Bilbo può decidere il destino di molti. 


Sì, forse la preghiera è la risposta più saggia, più divina ad ogni altra reazione umanamente comprensibile. Ah … un’ultima cosa. Sempre da prossimo sacerdote, vi chiedo: non fate di tutta l’erba un fascio. Noi per primi soffriamo per questi scandali, risparmiateci altra sofferenza con parole insipienti. Evitateci altra sofferenza e, anzi, soffriamo e preghiamo insieme. Ne abbiamo bisogno. Se lo credete condividete questo invito con i vostri amici. Certo della vostra comprensione vi saluto con affetto chiedendovi anche una preghiera per me e per i vostri parroci. 



Un mezzo prete (come mi chiamano i miei scout) che soffre




domenica 8 luglio 2018

Bambini: vite stravolte dalla guerra.

Rubrica di attualità: Storie di umanità.


Siria. La piccola disabile con i barattoli per gambe. 
Una storia che arriva dalle terre medio-orientali, martoriate dalla guerra. La piccola siriana, Maya Merhi, 8 anni, figlia della guerra, nata senza gambe. Il suo è un disturbo congenito ereditato da suo padre. 
La guerra ha costretto Maya, insieme alla sua famiglia, a fuggire da Aleppo per trasferirsi in Turchia in un campo profughi. È proprio in questo contesto che il padre ha avuto un’idea fantasiosa e geniale: si è inventato dei barattoli che potessero sostituire le protesi per aiutare Maya ad avere una vita migliore.
Dopo questo gesto di amore, grazie alla generosità e competenza di un medico, la vita di Maya è cambiata. Alle sue gambe son state, infatti, instaurate delle vere e proprie protesi. 


Marianna Sarpa




giovedì 5 luglio 2018

L’ITALIA È UN PAESE PERBENISTA CHE STIGMATIZZA I FALSI MALI E SPESSO SI DIMENTICA DI LAVORARE PER IL BENE


Rubrica di Attualità 
"Pensare fuori dalle righe"



Devo ammettere che inizio a percepire una sorta di allergia ai sempre più insistenti discorsi populisti sugli immigrati. Qui non si tratta più di “accogliere” o “non accogliere” perché, se così fosse, varrebbe la pena parlarne ancora. 
Qui il problema è un po’ più a monte: questi fratelli e sorelle che giungono da terre che  - lo ricordiamo per gli smemorati – soffrono di problemi causati da noi occidentali (guerre, sfruttamento delle risorse, corruzione, ecc …) ormai sono diventati il problema dei problemi. 
Un famoso film, ambientato a Palermo, faceva dire ad uno dei suoi attori che l’unico problema nella splendida città siciliana erano soltanto le buche sul manto stradale ed il traffico. Non c’era mafia, non c’era droga, non c’era corruzione, bensì soltanto traffico e buche. 
Adesso il problema, benché le buche, per esempio a Roma, causino morti, sono gli immigrati. 
Dicevo inizio a percepire una grande irritazione allergica quando sento queste chiacchiere prive di senno perché continuamente e con una certa frequenza sto imbattendomi con problemi ben più seri e ben più antichi che, però, a noi italiani non piace vedere. 
Uno tra questi è il caso di un ex-detenuto di Roma che, scontata la sua pena, si è pentito di tutti i suoi reati e che, proprio qualche ora fa, mi ha telefonato disperato dicendomi: “Padre, ho un figlio e non riesco a trovare nessun modo per sostenerlo. Non voglio tornare in mezzo alla strada, ma nessuno riesce a darmi un pezzo di lavoro. Eppure sarei disposto a fare di tutto anche a raccogliere la spazzatura o a lavare i gabinetti”. E poi aggiungeva con un misto di rabbia e disperazione: “vede, padre, mi domando a che servono tanti sforzi e tanta buona volontà”. 
Per un attimo mi è venuta la tentazione di rispondergli con sarcasmo: non ti preoccupare il vero problema sono gli immigrati. 
Non è da meno quel ragazzo (italiano e appena ventenne) che – disperato per l’errore commesso – mi diceva qualche tempo fa: “Padre, mi hanno rubato il futuro. Mi sono lasciato fregare. L’idolo del denaro mi ha spinto ad accettare lo spaccio della droga. Anche perché alternativa di lavoro non ce n’era”. 
Anche a lui avrei dovuto rispondere che è colpa degli immigrati che rubano il nostro lavoro? 
Avrei dovuto dire altrettanto a quella mamma disperata che, nonostante il marito in carcere e la figlia piccola, cerca disperatamente lavoro per evitare di cadere in ambienti sbagliati. Nondimeno avrei dovuto dire lo stesso ad un’amica che mi partecipava tutto il suo dispiacere per essere dovuta andare a lavorare fuori dalla nostra amata calabria perché da noi ormai il lavoro lo trovi soltanto con una raccomandazione o se accetti di essere sfruttto. Forse avrei dovuto … ma no, non l’ho fatto. 
Vorrei dire, invece, a questi tanti ben pensanti che, se si guardassero realmente intorno, se uscissero dal loro comodo salotto, se si staccassero per alcuni istanti dalla tastiera del loro pc, attraverso il quale pontificano, manco avessero chissà quale titolo di dottore o sociologo o cos’altro; a questi tali vorrei dire che i problemi dell’Italia sono ben altri e da troppo tempo. Rispondono al nome di corruzione, lavoro nero, sfruttamento, evasione, sotto pagamento, mafie che impediscono uno sviluppo dell’economia sereno e limpido. 
Se questi tali poi dovessero ribattere che questi problemi sono luoghi comuni avrei piacere di rispondere che volentieri li accompagnerei in giro per le strade della capitale come quelle della Calabria (luoghi che frequento personalmente) per mostrare che questi “luoghi comuni” hanno dei nomi, dei volti, delle storie di disperazione, sofferenza, paura. 
A proposito di paura - devo ammetterlo - mi fa paura un’Italia così rozza e ignorante. Mi fa davvero paura un’Italia così miope ed incapace di vedere i veri problemi. 
Mi diceva l’altro giorno un mio amico e compagno di studi: “Se gli italiani utilizzassero le loro energie per i problemi che da sempre ci soffocano così come le stanno utilizzando per parlare degli immigrati saremmo un paese davvero migliore”. A lui ho amaramente risposto dicendo che l’Italia è il paese in cui si pontifica su problemi falsi o comunque distorti per distrarsi da quelli veri ed urgenti.


P.s. Se avete una soluzione ai casi elencati – poiché sono persone vere che conosco personalmente – potete farvi avanti, magari in privato. 


Don Giuseppe Fazio