martedì 19 febbraio 2019

IL MARE ED IL PESCE NON POSSIEDONO NESSUN “RE”

Rubrica di Attualità

"Pensare Fuori dalle righe"






Nel Capitolo I del Libro della Genesi, dopo che Dio ha creato l’uomo e la donna, così leggiamo: Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra».

Un testo sempre interessante da leggere che contiene svariate ricchezze e che non è mio intento mostrare in questa sede. Rientra nelle mie intenzioni, invece, porre attenzione sul fatto che il creato - per chi crede - è un dono che Dio ha fatto a tutti gli uomini e che, proprio in quanto tale,  non è una prerogativa di singoli, di re o presunti tali. Per chi non crede, invece, si può semplicemente dire - per citare una frase di Papa Francesco - che il creato è "la casa comune" di ciascuno di noi. Non, dunque, una proprietà privata.

Non è stato così, invece, per quanto riguarda il mare ed il pescato che, per diversi decenni sulla costa tirrenica, e non solo, della Calabria, è stato letteralmente controllato dal cosiddetto – appunto – “Re del Pesce” Franco Muto, il quale ha imposto, con forza e anche scaltrezza, il suo “governo” ed i suoi desideri di potere e di soldi. Uso la forma verbale al passato, non perchè credo che il problema sia risolto, bensì perché da diversi anni, seppur lentamente, questo potere penso sia stato fortemente messo in discussione da tanti uomini: cittadini, esponenti di istituzioni, civili e religiose, forze dell’ordine, ecc...

Un segno evidente di quanto vado scrivendo è la manifestazione tenutasi alcuni giorni fa sul porto di Cetraro. Il Sindaco, il prof. Angelo Aita, insieme all’amministrazione comunale tutta, e ai pescatori del paese, hanno provveduto ad avviare concretamente il mercato ittico da tempo solo "strutturalmente" messo a disposizione della comunità. Un segno importante questo … che mostra una cittadina che non ha paura di manifestare il desiderio di riappropriarsi delle proprie bellezze e ricchezze. Solo dieci anni fa un’iniziativa del genere era impensabile. 

Purtroppo non sono potuto essere fisicamente presente per via degli impegni a cui la mia vita sacerdotale e la mia formazione mi “sottopongono”, però sono stato molto contento di sapere che tanta gente ha aderito all’iniziativa, prova ne è il fatto che il pescato sia stato venduto nel giro di sole due ore. 
Così come ho gioito dell’adesione dei pescatori che hanno offerto il frutto del loro lavoro all’amministrazione comunale per rivenderlo in questo luogo significativo che la nostra comunità con fatica e con l’impegno degli amministratori ha voluto.

Questa gioia è attenuata certamente dalla consapevolezza che c’è molto da camminare e ancor di più dalle molte assenze significative dei sindaci e delle istituzioni (a vario titolo) invitate e anche di quelle non invitate (perché la faccia non ce la si mette sempre e solo sotto invito!). Ma non vorrei soffermare l’attenzione su questi aspetti, perché ogni tanto vale la pena di gioire dei piccoli risultati. 
Un appello, invece, lo vorrei rivolgere ai miei coetanei, ai più giovani, ma anche a tutte quelle persone che spesso si sono trincerate dietro la frase “Ma se le istituzioni non fanno nulla, noi che ci possiamo fare?”. 

Come accennavo, abbiamo da diversi anni segni positivi di gente che s'impegna concretamente: Il comune, le scuole (basti pensare alle molte iniziative che si mettono in piedi annualmente nei nostri licei che, tra le altre cose, hanno aderito attivamente all’iniziativa menzionata), le associazioni (ultimamente ha preso piede  il concorso istituito da “Il Sipario” dal titolo “Bocciamo l’illegalità), ecc … 

Adesso occorre non isolare questi “semi” che vengono lanciati in un terreno difficile. Occorre metterci la faccia, rimboccarsi le maniche, credere che è possibile un cambiamento. Occorre, in altre parole, decidere seriamente da che parte stare. Occorre davvero convincersi del fatto che non esistono re e regine, fanti o cavalieri, ma uomini e donne che vogliono riscattare le loro risorse e uomini e donne che, invece, le vogliono sfruttare a scapito della collettività. 

In mezzo? Ci stanno le categorie peggiori: gli indifferenti e i rassegnati! E noi … io … da che parte sto?




Don Giuseppe Fazio






domenica 10 febbraio 2019

UNA DONNA CHE ABORTISCE È UNA DONNA INGANNATA

RUBRICA DI ATTUALITÀ

"Pensare fuori dalle Righe"



Da diverse settimane fa discutere la legge approvata a New York secondo la quale abortire, anche il giorno prima del parto, sarebbe lecito.
Dopo l’ennesima Domenica ricca della Grazia di Dio, di tanti incontri, sorrisi, domande, paure raccolte nel difficile, ma straordinariamente bello, ministero della Confessione, leggo ancora un articolo che commenta questa barbarie firmata U.S.A.: pare – non so se sia vero – che diversi bambini, visto lo stato avanzato della gravidanza, vengano estratti vivi dal grembo della madre e poi uccisi. Mentre leggo questa notizia, purtroppo, mi accorgo che non so più sorprendermi. Provo solo tanto dispiacere.
Alcune ore dopo prendo a leggere, per distrarmi, un libro: “Siamo nati e non moriremo più”. È la storia di Chiara Corbella, una donna straordinaria. Tre gravidanze portate avanti. Due con figli malformati e con la consapevolezza che i due piccoli sarebbero morti dopo poche ore. La terza, poi finalmente con il bimbo sano, ma con l’amara scoperta che ad essere malata questa volta – di tumore – era proprio la mamma. Una donna straordinariamente forte che non si cura per far nascere il proprio gioiello. 

Ecco … mentre leggo questo libro trovo parole illuminanti: 

“Padre Vito ha raccontato che il demonio confonde, mette in testa alle persone la convinzione che i figlio sono nemici, che un figlio ti toglie la vita, che un figlio ti impedisce certi risvolti esistenziali, certe opportunità lavorative, certe soluzioni affettive. […] Una donna che abortisce è una donna che è stata ingannata. Nessun figlio le ruberà la vita […]. Alla base della decisione di abortire c’è una menzogna tanto più forte ed efficace quanto più nascosta ed inespressa. La menzogna dell’alternativa”. 

Queste parole sono state per me come un faro acceso all’improvviso. Mi son detto: ma se l’uomo e la donna per natura possiedono l’istinto alla sopravvivenza; se per natura sono attaccati alla vita; se per natura possiedono l’istinto alla riproduzione, alla conservazione della specie; se per natura sono fatti per amare … allora se scelgono l’aborto è solo perché nei loro cuori è stata piantata una menzogna.

Sì … non solo la menzogna che quell’ammasso di cellule non sia vita, ma anche la menzogna che quel bambino nascente sia un peso, un problema, un ingombro, che sia, forse, soltanto il segno incancellabile di una violenza subita. Una menzogna brutta, violenta che nega la bellezza di quel bambino. Una menzogna che vuole nascondere l’occasione di amare, di arricchimento, di crescita, di scoperta che una vita nuova offre ai genitori che l’accolgono.

Un uomo e una donna che scelgono l’aborto sono due persone frodate della cosa più bella che si possa desiderare umanamente: essere genitori. Sono frodati per ben due volte: non avranno più quel bambino specifico – forse altri, ma non quello. In secondo luogo, quando nel loro cuore sorgerà la consapevolezza di quell’atto, avranno a che fare con ferite e dolori davvero difficili a rimarginarsi. 

Questo non lo dicono i giornali, non lo dicono i sinistrosi, non lo dicono i medici (almeno non tutti). Lo può dire chi c’è passato e noi preti. Sì, noi preti che accompagniamo quelle donne e quegli uomini frodati che saggiano il senso di una disperazione davvero fitta. 
Che fregatura: ci stanno ingannando e pensiamo sia una conquista. 




Don Giuseppe Fazio






domenica 3 febbraio 2019

QUAL È IL TUO ORGOGLIO?

RUBRICA DI ATTUALITÀ

"Pensare fuori dalle Righe"


Si è da pochi giorni conclusa la giornata mondiale della gioventù, quest’anno tenutasi a Panama. Di rientro dal viaggio il papa, nell’intervista concessa durante il viaggio, ha detto di essere stato colpito dall’orgoglio della cittadinanza locale. Molti uomini – diceva il pontefice – al suo passaggio sollevavano i loro figli quasi a volergli dire: questa è la mia vittoria, il mio orgoglio. Si domandava poi il papa: e noi? Quale orgoglio abbiamo? La macchina, il vestito, il cellulare? Quale la nostra vittoria?

Non so se il Papa abbia fatto questa dichiarazione di proposito, ma certamente, dopo aver appreso la notizia dell’approvazione dell’aborto in qualsiasi momento della gravidanza (anche il giorno prima del parto) a New York, mi verrebbe da pensare che davvero il nostro orgoglio sta diventando sempre più il nostro egoismo. 
Noi, come società e come singoli, stiamo diventando orgogliosi del nostro egoismo. Ciò che sembra importare è la difesa delle nostre voglie, dei nostri pensieri, delle nostre esigenze perché – così si dice – la libertà viene prima di tutto.

Non ci accorgiamo che, in fondo, questo è un modo di fare violento, autoritario, animalesco. Un modo di fare che privilegia il più forte e distrugge il più debole, colui che non può parlare.
Non nego che sono spaventato dal fatto che questo modus agendiappare sempre più consacrato da alcuni uomini di politica, salvo il lamentarsi se poi qualcuno diventa duro con lui, dal giornalismo, dalla televisione. 

Mi viene in mente in questo momento quanto mi raccontò la mia professoressa di italiano alle scuole medie. Disse che un giorno suo figlio le fece questa esternazione: mamma, la dittatura è una cosa bella, ma se il dittatore sono io. 

Questa esternazione di bambino, credo che in fondo sia ben radicata nel cuore di molti. Perché in fondo, diciamocelo onestamente, se il nostro orgoglio sono le nostre voglie, quelle degli altri finiscono per non contare un fico secco. Ma mi domando: questo è umano?




Don Giuseppe Fazio