giovedì 30 dicembre 2021

VACCINATI NELLA FEDE (?) - BUON ANNO!

  RUBRICA DI ATTUALITÀ



"Pensare fuori dalle Righe"




 

Dovessi fare un rendiconto personale di questo 2021 non sarei affatto negativo. È stato, infatti, l’anno in cui ho concluso il mio dottorato, l’anno in cui ho pubblicato il mio primo libro, l’anno in cui sono diventato Amministratore Parrocchiale ed anche l’anno in cui sono stato chiamato ad Insegnare all’Istituto Teologico di Catanzaro. Insomma, un sacco di motivi per cui le persone normali scoppierebbero dalla gioia. In realtà le cose per cui sono davvero felice sono altre e chiaramente le custodisco nel profondo del mio cuore dinanzi al mio Signore al quale so di dovere profonda ed eterna gratitudine. 

 

Tuttavia, questo 2021 è stato un anno negativo per tanti altri motivi che un cristiano, e ancor di più un sacerdote, non può passare sotto silenzio. 

 

Quest’anno, infatti, è stato l’anno in cui, ancor di più, questa pandemia ci ha mostrato quanto siamo gretti e superficiali. È stato l’anno in cui tanti battezzati non hanno segnalato la loro positività al covid o contatti con i positivi per evitare di avere danno alle proprie attività (poco importa della vita degli altri); è stato l’anno della caccia alle streghe in cui tanti battezzati hanno preferito alimentare dubbio, diffidenza e arroganza, piuttosto che far diventare questa tragedia globale l’occasione per risplendere in fede, speranza e carità (alla faccia del credere che la vita eterna esiste e noi ne siamo testimoni orgogliosi). Non ne parliamo dei vaccini: è stato anche l’anno in cui il rimedio alla pandemia (che ha portato frutti incontrovertibili) è stato fatto passare come il problema stesso della pandemia; in questa circostanza, sempre tanti cattoliconi, hanno fatto ampio sfoggio di un egoismo atavico: “non mi vaccino perché forse mi fa male” e poco mi interessa se questo ha portato e continua a portare danno ai vicini, ai parenti e alla nazione intera. A poco – in merito – è valso anche l’appello del papa! Anche qui alla faccia del credere in quel Dio che per il bene di tutti si è fatto ammazzare. Ma questo non si può dire perché se no si strumentalizza la fede. E allora … fate finta di non averlo letto. Anzi, non l’ho scritto, vi siete confusi!

 

Dalle mie parti – purtroppo – poi è stato anche l’anno in cui si è sparato contro i carabinieri, contro le macchine di alcuni commercianti, si è preso a schiaffi e a calci in pubblica piazza durante la sfilata degli Europei un commerciante che aveva denunciato il pizzo (ovviamente tanti battezzati presenti non hanno visto nulla e molte autorità locali hanno preferito non esprimersi in merito); è stato anche l’anno in cui per una manciata di euro qualcuno rischia il proprio posto di lavoro, mentre qualche altro politicante passa per il martire del nuovo millennio. 

 

Insomma … alla fine della giostra questo è l’anno in cui abbiamo proprio dimostrato di non essere vaccinati nella fede(Quasi) ovunque ci siamo girati abbiamo potuto percepire fisicamente che la fede occidentale non produce più anticorpi contro la paura della morte, contro l’egoismo, la violenza e l’arroganza. Ed è questa la vera tristezza! Passerà questa pandemia, ma non passerà questa povertà.

 

E allora, mentre ancora c’è gente che si sta disperando perché non potrà festeggiare il capodanno insieme a parenti e amici, io mi auguro, da cane di una porzione di gregge, e, ancor di più, da fratello che il prossimo anno sarà un’occasione buona per farci una sana dose di vaccino nella fede: l’unico capace di rendere il cuore dell’uomo un po’ più tenero.

 

Il Signore della storia ci concede ancora un altro anno e ci viene incontro con la sua dose di misericordia e bontà … chissà sia l’anno giusto. Dal canto mio la sua misericordia la giudico come sorgente di incoraggiamento; se Lui, che è onnipotente e onnisciente, non perde la speranza nell’intelligenza dell’uomo non vedo perché debba perderla io! Auguri a tutti!





Don Giuseppe Fazio

gfazio92@gmail.com










venerdì 26 novembre 2021

I Anniversario della nascita al cielo di Eugenio Pepere

 Carissimi,

 

          a distanza di un anno ci ritroviamo in questa Chiesa per pregare, ancora una volta, per Eugenio e con Eugenio. Sono molto felice di poter presiedere questa eucarestia e per questo ringrazio e saluto Don Loris che mi ha chiesto di portare i suoi saluti, il suo affetto e la sua preghiera. Purtroppo per impegni precedentemente presi, a malincuore, è assente. Con lui saluto anche il carissimo don Mario che ben conosceva Eugenio per il suo ministero svolto per tanti anni a Buonvicino. 

 

Bene … a distanza di un anno siamo qui con diversi sentimenti nel cuore: certamente ci sarà la mancanza causata dall’assenza fisica di Eugenio, probabilmente ancora tanto dolore, smarrimento.

 

Forse non esiste un’immagine più adeguata di quella che abbiamo ascoltato nella prima lettura: abbiamo l’impressione di stare dinanzi ad una di queste bestie descritte, la morte, che ha fagocitato e distrutto la presenza del nostro caro Eugenio con arroganza, forza e sentenza inappellabile. 

 

Tante volte di fronte all’esperienza della morte ci sentiamo proprio così: inermi. Durante la nostra vita scappiamo, corriamo, ci agitiamo, ci facciamo domande e ci diamo anche le risposte (in una sorta di Marzullo mood); dinanzi all’esperienza della morte, però, avvertiamo tutta la nostra impotenza. 

 

Di recente ho visionato questa nuova serie Netflix, “Strappare lungo i bordi”. L’autore – un genio assoluto – ha saputo ben descrivere questa esperienza: scappi lungo tutta la tua vita, pensi di rigare diritto, non ti accorgi che a volte fai tante cose e non costruisci niente, ma quando arriva la morte vieni completamente messo a contatto con una realtà: il problema non è morire, ma quanto male vivi!

 

Il problema non è capire perché si muore – il protagonista è a contatto nell’ultima puntata con il suicidio della ragazza che ha sempre amato e non ha mai avuto il coraggio di ammetterlo – il problema è che prima di quel momento lui ha sprecato tanto.

 

In questo anno ho parlato tanto di Eugenio: ne ho parlato ai bambini, agli adulti, anche agli anziani. E sempre … sempre … raccontare la storia di Eugenio ha portato tanta vita, voglia di riappropriarsi della propria esistenza, di guardare alla propria storia con occhi più profondi, con quegli occhi che Eugenio aveva guadagnato nel periodo della malattia: gli occhi di Dio. 

 

Ho pensato anche al tempo che avrei potuto dedicargli in più. Al fatto che ci eravamo persi e che è venuto lui a cercarmi e che all’inizio gli ho dato poca retta perché ero preso da mille impegni. 

 

Ecco allora l’immagine del Vangelo: da un lato ci siamo noi che spesso sprechiamo vita e dinanzi alla morte ci sentiamo rasi al suolo e da un altro c’è chi, come Eugenio, dinanzi alla morte, e prima ancora dinanzi alla vita, è saputo stare come sta un agricoltore dinanzi ad un albero che diventa tenero: vede che il suo tempo è giunto e non se ne duole, ma sa abbracciarlo. 

 

Eugenio aveva visto il suo tempo arrivare, il ramo del suo corpo era diventato ormai tenero, ovverosia fragile, e aveva capito che era il momento di dare frutto, proprio come il fico che prima di dare frutto diventa più tenero, più fragile. 

 

Il momento della sua morte è stato il momento massimo della sua esplosione di vita. Non dimenticherò mai i giorni successivi al suo funerale: ho passato ore a rispondere a messaggi di ragazzi, di molti di voi, che mi chiedevano un colloquio, una confessione, una preghiera. 

 

Il funerale di Eugenio è riuscito molto meglio di chiunque altro prete o di qualunque altra predica a farvi sentire che questa vita ha un senso superiore, anzi che questa vita e questa morte hanno senso solo se c’è qualcosa di più grande.

 

Tra questi che mi scrivevano c’era gente che non era mai entrata in chiesa, gente che non partecipava ad una messa da decenni, gente che pensava di essere arrivata e invece si è ritrovata, dinnanzi alla statura monumentale di eugenio, nel mezzo di una crisi benedetta. 

 

In Eugenio si è ripetuto – e continua a ripetersi – il miracolo della Pasqua: è quanto sono debole che sono forte. Nel momento della sua massima debolezza lui ha concesso a ciascuno di noi una forza di vita straripante. 

 

Voglio consegnarvi quello che ci scrivemmo il 15 Luglio. Scriveva:

 

un detto popolare dice “Aiutati che Dio ti aiuta” però io ho sempre aggiunto: “ma tu aiutati però”. Io ci provo e non ho intenzione di mollare! Veramente dico, non voglio siano solo parole. Voglio continuare a stare con questo mio spirito convinto che sarà solo un passaggio che debba insegnarmi qualcosa di vero e di cui oltre a farne tesoro, deve essere una testimonianza.

 

Gli rispondevo:

 

Prego perché queste tue parole trovino conferma. E, se qualcosa andrà diversamente, che tu possa capirne a fondo il senso per vivere la tua vita come testimonianza.

 

Concludeva: vediamo come andrà.

 

Penso che né io né lui sapessimo quanto fossero vere le parole che ci stavamo scambiando in quel momento. Lui ha parlato di passaggio per capire qualcosa che avrebbe voluto testimoniare.

 

Sapete come si dice passaggio in ebraico? Pasqua! Eugenio ha celebrato la sua Pasqua e ha testimoniato a noi, e continua a farlo ancora oggi, il senso della vita e della morte: passare, fare pasqua, da una vita vissuta per le cose banali di questa terra, ad una vita, che anche se muore, sa dare frutti eterni agli altri. 

 

Sì, Eugenio è una luminosa testimonianza di Pasqua. Badate bene, però, le testimonianze servono a poco se non ti cambiano dentro. 

 

Se ora torni a casa e continui la vita di prima: banale, mediocre, fatta di cose piccole, di egoismi, rimpianti, rimorsi … questo sarà stato solo un momento per piangere insieme. 

 

Se torni a casa e da questa testimonianza porti nella tua vita la forza che in Eugenio è brillata, tu già oggi celebri Pasqua perché passerai da una vita troppo terrena ad una vita divina: la vita di Cristo e quella di Eugenio in te torneranno attuali, saranno prolungate! 

 

Sapete … ci vuole coraggio per questo! Ci vuole il coraggio di Eugenio! Io spero che ci sia qualche coraggioso qui dentro, che ci siano qualcuno che sia davvero stanco di una vita mediocre, grigia, sgonfia. Qualcuno che abbia il coraggio di vivere, e anche di morire, com’è morto Cristo e com’è morto Eugenio! 

 

Chissà se c’è qualche coraggioso, Eugè?


Si … si … lo so …. Me lo hai già scritto quel 15 Luglio: vediamo come andrà!  





Don Giuseppe Fazio







mercoledì 29 settembre 2021

SALUTO ALLA COMUNITÀ DI BELVEDERE

Considerato che le norme anti-covid non hanno permesso a molti di partecipare alla celebrazione eucaristica, volentieri condivido il discorso di saluto e ringraziamento alla comunità.


Al termine di questa celebrazione eucaristica vorrei esprimere qualche parola di saluto e di ringraziamento. 

 

Ho tanto per cui ringraziare il Signore. In questi quattro anni mi ha donato tanta grazia, tanta misericordia, tante benedizioni attraverso altrettanti volti e parole. 

 

Anzitutto mediante i confratelli dell’unità pastorale: fin da appena giunto ho potuto sperimentare un clima di sincero affetto e simpatia. Con loro, in questi anni, ho potuto sviluppare un confronto fruttuoso che si è rivelato pressoché fondamentale per un giovane prete che muove i primi passi nella vita pastorale. Per questo voglio ringraziarli di vero cuore; anche se impossibilitati ad essere presenti fisicamente, lo sono certamente con il cuore e con la preghiera.

Ringrazio padre Gianluca per la piacevolissima sorpresa. Dobbiamo fargli gli auguri: lo hanno nominato superiore! 

Evidentemente un grazie speciale lo rivolgo a don Giovanni. Ho espresso più volte, pubblicamente e privatamente, l’affetto che provo nei suoi confronti e tuttavia il ringraziamento che voglio rivolgergli questa sera va ben oltre l’affetto che rimane nella sua autenticità nel profondo dei nostri cuori.

 

Il grazie che esprimo oggi è per come ha impostato, fin da subito, il nostro rapporto “pastorale”. Non mi sono sentito, neppure per un minuto, un esecutore di ordini o un semplice celebratore di messe. Ha voluto, infatti, che entrassi attivamente nella vita comunitaria dandomi la possibilità di sperimentarmi, di mettermi alla prova, senza temere la mia inesperienza. 

 

E così in quattro anni ha voluto che proponessi la catechesi degli adulti, che accompagnassi il gruppo giovani di Azione Cattolica; d’accordo con il delegato diocesano, ha promosso l’idea che fossi assistente spirituale della Confraternita della Madonna delle Grazie per avviare la revisione dello statuto, ha lasciato che gestissi il gruppo Caritas, nato nel periodo della Pandemia, con il relativo fondo scaturito dalle vostre generose offerte, e ancora il catechismo nella forma ragazzi-adulti che abbiamo felicemente sperimentato lo scorso anno.

 

Senza la sua disponibilità, la sua fiducia ed il suo incoraggiamento questi quattro anni a Belvedere sarebbero stati molto più poveri di come, invece, adesso li guardo e li benedico. 

 

Sento di ringraziarlo anche per aver avuto pazienza con la mia giovane età, con i miei tanti entusiasmi, tal volta privi di prudenza e di pazienza. Ma ancor di più lo ringrazio per l’esempio di umiltà che mi ha consegnato: sempre prima di fare qualcosa ha voluto sentire il mio parere e diverse volte, in base a quanto dicevo, ha rimesso in discussioni anche il suo punto di vista. Questo atteggiamento, non solo mi è stato di esempio, ma lo custodisco in modo prezioso nel mio cuore, nella consapevolezza che non è usuale trovare in un adulto tale disposizione verso un ragazzo di molto più giovane ed inesperto. Sono sicuro, caro don Giovanni, che il Signore vi ricompenserà abbondantemente!

 

Penso che nessuno si offenderà se dico che la più bella opera pastorale che ho imparato a vivere in questi anni è stata la collaborazione sacerdotale. Tante volte, purtroppo, proprio noi preti mostriamo un presbiterio diviso, invece, qui ho sperimentato la gioia della fraternità, non senza diversità o incomprensioni, ma sempre nella verità e nella misericordia. 

 

Dovrei adesso ringraziare tutte le realtà parrocchiali: il diacono e ministri straordinari, il gruppo liturgico, l’azione cattolica, la caritas, le confraternite, il coro, i catechisti, il gruppo adulti della catechesi … capite che non ne usciremmo più e sicuramente finirei per dimenticare qualcuno.

 

Ringrazio allora di vero cuore tutti quanti: ognuno di voi ha portato nel mio cuore un valore aggiunto. Vi ringrazio singolarmente e comunitariamente per quanto mi avete testimoniato. In modo particolare per tre aspetti:

 

1.     In primo luogo, come ho scritto nell’annuncio del mio trasferimento, per “la voglia della Parola di Dio” che ho trovato in questa comunità. Quando arrivai 4 anni fa, in una omelia, dissi: “dai preti tante volte si viene per cose inutili. A noi preti, invece, dovreste chiedere tempo per le cose più profonde, più importanti, per la vita spirituale! Per questo dovreste toglierci il sonno!” Non pensavo che queste parole potessero essere accolte così profondamente. La maggior parte del mio tempo qui in mezzo a voi l’ho passato seduto ad una sedia ad ascoltare confessioni e colloqui. E ogni volta sono stato spettatore di quanta grazia Dio opera nei cuori di chi sinceramente si dispone a cercarlo. Grazie per avermi fatto entrare nelle vostre storie di sofferenza, di speranza, di gioia e di conversione. 

 

2.     In secondo luogo, vi ringrazio per la generosità. Per la generosità che avete usato nei miei confronti. Non c’è stato un momento che non mi sia sentito a casa. Mi bastava dire “a” e subito qualcuno era a disposizione. Non mi è mai mancato niente. Ne è prova il fatto che – anche se lo nascondo bene - parto da Belvedere ingrassato, ed è quanto dire! Ma vorrei anche ringraziarvi per la testimonianza di generosità verso i bisogni della comunità di cui sono stato testimone, attraverso il gruppo della caritas. Con le vostre offerte assistiamo numerose famiglie della nostra comunità, abbiamo accolto la bontà delle ACLI che hanno messo a nostra disposizione la loro convenzione con il banco alimentare, abbiamo rimesso in moto il pulmino parrocchiale utile per fare il carico e la distribuzione degli alimenti e abbiamo sopperito ad altre esigenze di alcuni bisognosi. Grazie! Se è vero che Dio ama chi dona con gioia, questa comunità credo sia tanto amata da Dio.

 

3.     In terzo luogo - Non bisogna negarlo - ci sono stati i momenti in cui alcuni atteggiamenti o situazioni hanno reso la quotidianità meno leggera, eppure sento di volervi ringraziare anche per questo: in quelle situazioni ho compreso più a fondo quanto io ancora abbia bisogno di convertirmi; ho capito che per essere un buon padre bisogna imparare ad amare anche le pieghe meno belle dei figli che il Signore ci affida, senza troppo infastidirsi o arrabbiarsi. Vi ringrazio anche perché è lì che ho capito che con me siete stati veri, nel bene e nel male, con i vostri pregi e difetti. Dove questa verità non si è nascosta alla fine ci siamo ritrovati più maturi e ricchi. 

 

 

Credo che rimanga ancora una parola doverosa: una parola di scuse. Avete avuto tanta pazienza anche con i miei difetti, con la mia schiettezza a volte troppo diretta (e il troppo storpia, sempre!), con la mia “inafferrabilità”, non poche volte qualcuno mi ha detto: “corri sempre”; ma anche con la mia apparente freddezza che spesso non fa trasparire le emozioni più profonde e nascoste nel fondo del cuore. 

 

Se qualcuno ho ferito o trattato male chiedo sinceramente perdono, ma sappia anche che non è mai stato fatto con cattiveria, parzialità o altro. Sono semplicemente un ragazzino e devo crescere ancora molto.

 

Alla fine … parto per Marcellina carico di tanti volti ed esperienze. Qui ho vissuto il periodo drammatico del primo lockdown. Come potrò dimenticarlo?


Che altro mi porto? Una pietra … qualcuno mi ha chiesto: “Don Giuseppe, quella pietra davanti casa tua che ci fa?”

 

Non ho mai capito il perché, ma una notte qualcuno ha voluto intimidirmi lanciando diverse robuste pietre contro la porta della mia abitazione. Ringrazio di godere di sonno profondo così ho evitato almeno la paura del momento. Al mattino dopo quando le stavo raccogliendo, mi è venuta in mente un suggerimento: “lasciala davanti alla porta; entrando e uscendo, ti ricorderai che, facendo il prete, potrai rischiare antipatia e violenza”. E così quella pietra, ad ogni ora del giorno, mi ha ricordato la serietà dell’amore. Era un po’ come se mi ripetesse: “se vuoi amare questa comunità devi rischiarti tutto”. Quella pietra la porto con me a Marcellina e sarà un po’ la vostra voce quando le cose sembreranno un po’ dure; mi ricorderò che nella durezza di quella pietra lanciata contro la porta, sono fioriti comunque tanti bei rapporti di amicizia e simpatia.

 

A voi cosa lascio? Il mio affetto, la mia preghiera e che altro? Il gatto – Pino – trattatemelo bene! 

 

Posso dire ancora questo: in questi quattro anni ci siamo “addomesticati reciprocamente” – sapete addomesticare letteralmente vuol dire “portare a casa” – ci siamo portati reciprocamente ognuno nella casa del cuore dell’altro, e, proprio per questo, forse, questa sera è segnata un po’ dal dispiacere. 

 

E tuttavia Ringraziamo insieme Dio perché è Lui che realmente ci sta addomesticando, cioè ci sta portando, giorno dopo giorno, nella casa Sua.

 

Un’ultima parola voglio dirla su alcune frasi che ho sentito in questi giorni. Frasi del tipo: “ora che va via don Giuseppe non vengo più in Chiesa”; frasi che – lo ammetto – un po’ mi hanno fatto soffrire.

 

Sapete quand’è che si vede se un prete ha lavorato bene? Quando se ne va. Se la gente non si allontana dalla parrocchia, ma rimane con più entusiasmo, vuol dire che quel prete ha lavorato bene. Altrimenti vuol dire che ha legato le persone a sé stesso. Ecco … spero che da domani in poi possa vedersi che qualcosa di buono sono riuscito a trasmetterla.

 

Alla fine, Mi piace concludere con le parole che Paolo scrive alla comunità dei Filippesi: 

 

Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi.La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti;e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. (Fil 4,4-7)

 

 Il Signore vi ricompensi di tutto il bene che mi avete abbondantemente e gratuitamente donato! Grazie!





Don Giuseppe Fazio






sabato 1 maggio 2021

MA VOI ... VE NE SIETE ACCORTI?

Io vorrei solo sapere se ve ne siete accorti. Se ve ne siete accorti anche voi uomini di politica, uomini delle istituzioni, uomini di Chiesa (non parlo semplicemente di noi preti, ma di tutti).

 

Mi piacerebbe – dico sul serio – sapere se ve ne siete accorti. Di cosa? Un attimo. Ora ve lo dico.

 

Ecco …  ieri nel mio paese hanno distrutto una lapide commemorativa di un ragazzo, un padre di famiglia, una persona che tutti ricordiamo con affetto. Un gesto da definire come? Barbaro, incivile, stolto … ma metteteci l’aggettivo che volete. 

 

Però, la domanda è ancora quella: ve ne siete accorti?

 

Dico … se si compie un gesto di violenza ai danni di un defunto e la persona che l’ha compiuto è un anonimo, probabilmente un ragazzo o comunque un deficiente (fate una ricerca sul significato letterale), tutti vomitano la loro indignazione anche con una certa forza e, a tratti, anche una certa violenza. Ho letto una frase del tipo: “Non sei degno di questa comunità”. 

 

Ma voi ve l’immaginate se avessero sparato due colpi di pistola contro la macchina di Roberto magari ancora vivente (magari!)?

 

Probabilmente si sarebbero rincorse le voci sul social più antico del mondo “la piazza”: “Chissà che ha combinato …”; “avrà dato fastidio a qualcuno”; “se l’è cercata”, “forse ha infastidito la ragazza sbagliata” … e baggianate del genere. 

 

Probabilmente avrebbero scritto una parola sempre i soliti, quelli che “cavalcano l’onda”, come dicono alcuni. E poi? Tomba.

 

Quindi la domanda: ma sono solo io a notarlo o ve ne siete accorti tutti?

 

È sempre così … a vomitare indignazione (e anche odio) contro in una situazione che non comporta rischi c’è una fila immensa (ed è doveroso, per carità!).

 

Però … mi viene anche da dire che se questo anonimo signore non è degno della nostra comunità, non lo sono anche quelli che prestano soldi a strozzo, non lo sono gli spacciatori, non lo sono i raccomandati che per essere eletti si vendono gli appalti, non lo sono gli amici degli amici insomma tutti quelli che hanno perpetrato e continuano, forse indisturbatamente, a propagare una cultura di cui questo gesto è solo la punta di un iceberg.

 

Sì, perché se in una comunità si arriva a gesti di così grande inciviltà, vuol dire che c’è un sostrato che da troppo tempo tutti quanti ignoriamo colpevolmente. C’è una differenza: in questo caso è stata profanata una lapide, negli altri casi vengono profanate le vite di tanti uomini e donne sofferenti.

 

C’è una frase che mi è piaciuta tanto: “Avete distrutto voi stessi, ma non la nostra memoria”.

 

Verissimo. La nostra memoria non può essere distrutta: Roberto, come tutta la sua famiglia, sta nei nostri cuori, nel nostro affetto che vogliamo far arrivare anche attraverso queste parole.

 

Ma la cosa amara è che forse noi “abbiamo distrutto noi stessi” perché questi personaggi sono frutto della nostra collettività e di quella tanta superficialità che per troppo tempo ci ha portato a girare il capo dall’altro lato. Se vogliamo che gesti ignobili come questi non si ripetano dobbiamo iniziare a rigettare mali ben più profondi per educare la collettività al rispetto. Perché, la storia ce lo insegna, se non si rispettano i vivi, non si rispettano neppure i morti.


Roberto a te e alla tua famiglia va il nostro più affettuoso abbraccio nella certezza che tu dall'alto starai guardando tutti noi con quel sorriso che caratterizzava il tuo volto, finanche mentre correvi. Ora, dalla meta delle mete, il cielo, ci guardi, sorridi e ci incoraggi ad andare avanti, nella speranza che alla tua città non si fermi il cuore nella corsa più importante che abbiamo da correre: quella dell'amore.


Ma voi ... ora vi prego, ditemelo: ve ne siete accorti anche voi?



Don Giuseppe Fazio







venerdì 30 aprile 2021

SEGUI LA TUA VITA

 

RUBRICA DI LETTERATURA



"Sulle spalle dei giganti"



“La vita funziona se obbedisce ai suoi ritmi. [...] 

Non si può ricostruire la vita senza accettare che per se stessa chieda di essere rispettata come qualcosa che ha il suo ritmo interno, che non può essere inventato, che deve essere accettato. 

(Fabio Rosini, L’arte di ricominciare, 81-82)




Vi siete accorti di come la nostra vita sia scandita da tempi ben precisi?

Mi riferisco innanzitutto ai tempi della società: un progetto che va portato a termine entro la fine del mese per non perdere il lavoro, gli esami che bisogna dare entro la fine della sessione per non perdere l'anno, il numero di persone che si devono frequentare per non essere definiti degli asociali e tutti i traguardi che si devono raggiungere- casa, macchina, famiglia, viaggi, soldi, esperienze, carriera- entro una certa età perché la propria vita non venga considerata un fallimento.

Se ci guardiamo intorno lo vediamo chiaramente: la società ci vuole scattanti, frenetici ed anche euforici per una vita alla rincorsa e iperstimolante.


Poi ci sono i nostri di tempi, che finiscono quasi sempre per combaciare con quelli serrati della società in cui siamo immersi: mi riferisco, ad esempio, ai tempi che ci diamo dopo la fine di una relazione per stare male e poi riuscire velocemente a riprenderci, a quelli che ci diamo per trovare un buon lavoro o anche solo per fare tutto ciò che avevamo prestabilito entro la fine della giornata.


La società ci dà delle scadenze, noi stessi ci diamo delle scadenze e sulla base di queste non facciamo altro che programmare la nostra vita, senza voler accettare in nessun modo l'esistenza di un altro ritmo, il più importante, quello che riconosciamo solo quando tutti gli altri strumenti smettono di suonare, mi riferisco al ritmo della vita stessa, che non segue le nostre logiche né quelle della realtà in cui viviamo e che non chiede "scusa, posso?" ogni volta che manda all'aria i nostri piani e ci rimescola le carte.


Cosa succede, allora, quando ciò accade? Quando, nonostante tutti gli sforzi, siamo costretti a riprogrammare e riprogrammarci per ciò che, inaspettatamente, la nostra stessa vita ci mette di fronte? Ecco, possiamo dire che succede come in un videogioco. Avete presente quando, in quei videogiochi a livelli, ti trovi al livello più difficile con una sola possibilità e poi, proprio mentre sei preso dall'euforia per una vittoria quasi certa, perdi inesorabilmente? Il gioco ti riporta al primo livello, ti chiede di ricominciare, ma tu sei sbigottito e, preso dalla rabbia e dallo sfinimento, ti alzi di scatto e spegni tutto. 


Credo sia proprio così che ci comportiamo quando la vita sembra sfuggirci di mano, quando ci impone i suoi ritmi e ci chiede a volte di ricominciare mentre noi stavamo già correndo al livello successivo: rimaniamo increduli, vorremmo soltanto chiudere tutto ma non possiamo perché questa è la realtà, senza schermi con pulsante di spegnimento, e allora ci rimane la rabbia, la frustrazione, il senso di smarrimento, come se la nostra vita avesse senso solo se segue le nostre direttive, solo se va nella direzione che abbiamo deciso noi, nei luoghi e con le persone e le caratteristiche che noi avevamo già prestabilito. Nel momento in cui la vita segue i suoi meccanismi a noi sembra soltanto che abbia smesso di funzionare. Accettiamo i ritmi estenuanti della nostra quotidianità presi dal delirio di onnipotenza e poi ci sentiamo sconfitti non appena la vita ci chiede, anzi, ci impone di fermarci o di camminare in un'altra direzione. 


Ma, anche quando non c'è nessuno a motivarci e non troviamo alcuno stimolo in ciò che abbiamo intorno, dovremmo ormai saperlo che possiamo farcela, perché ce l'abbiamo fatta mille volte, dovremmo ormai saperlo che, come siamo capaci di afferrare e rimanere aggrappati, siamo capaci anche di lasciar andare, di farci trasportare, che come siamo bravi a costruire lo siamo anche a ricostruire quando ciò che avevamo è stato distrutto perché, se sommiamo gli anni e le situazioni vissute e i periodi interminabili che poi alla fine sono terminati, non possiamo che constatare come in realtà noi non siamo mai davvero distrutti perché la vita non si può autodistruggere, la vita si ricrea e si reinventa costantemente, in un movimento ripetitivo anche se in modo mai uguale perché neanche noi siamo mai uguali a prima ma siamo capaci, sempre. 


In un mondo che ci chiede continuamente di dare  o raggiungere qualcosa e ci fa sentire inutili quando non riusciamo a farlo, la vita, nel suo imporsi, ci chiede soltanto di accettare la nostra inutilità e proprio da lì ripartire, di mettere in pausa il nostro delirio di onnipotenza e di danzare al suo ritmo anziché correre dietro ai nostri stessi ritmi e a quelli di chiunque altro.





Ramo di Seta

(Per eventuali messaggi potete scrivere a gfazio92@gmail.com)











mercoledì 21 aprile 2021

OCCHIO E MALOCCHIO: VERITÀ O SUPERSTIZIONE?

  



 

È un argomento di cui si parla poco e male. C’è chi liquida la questione semplicemente dicendo che si tratti di superstizioni, retaggi medievali e chi, invece, vede il male ovunque.

 

Eppure, nonostante la nostra tecnologia, il grado di cultura media elevato, l’ateismo e l’anticlericalismo pare che la consultazione di maghi, fattucchieri, medium e cartomanti sia in costante aumento. La motivazione è sempre la stessa: “Mi hanno fatto qualcosa … non è possibile che mi vada sempre tutto storto”. 

 

Vale la pena precisare che spesso molte parabole esistenziali siano costellate da fallimenti perché prive di discernimento, attaccate al superficiale e con ideali bassi e in partenza orientati a grandi sofferenze. In questo caso, al più, si potrebbe parlare di azione ordinaria del demonio, ma non certo di maledizioni, possessioni o roba del genere che comunque rimane abbastanza rara.

 

Fatta questa premessa, dunque, vorrei esporre qualche riflessione dovuta alle ricorrenti domande che mi sono state poste nelle ultime settimane. Mi è sembrato, infatti, che ci sia tanta colpevole ignoranza (e la colpa è di noi preti). 

 

Contrariamente a quanto affermato, è possibile che realmente qualcuno possa patire un’influenza maligna straordinaria. Il male esiste. C’è poco da fare. Se togliamo il demonio dai vangeli, togliamo una buona parte di tutto l’insegnamento di Gesù. Nel nostro cuore esiste una radice di male che spesso noi stessi non riusciamo a spiegarci e che chiamiamo “tentazione” dicendo, quindi, che c’è una forza esteriore che agisce sulle nostre intenzioni. Possono verificarsi della situazioni in cui le forze esercitate sulla nostra vita superino l’ordinarietà per cui si parla di opera “straordinaria del demonio”. Roba che viene tecnicamente chiamata possessione, ossessione, vessazione o infestazione (sono fenomeni distinti che qui non abbiamo lo spazio di trattare approfonditamente).

 

Dinanzi a questa esperienza quali sono le soluzioni più praticate?

 

1.     Lo sfascino, l’occhiatura: molti, soprattutto nel sud Italia, si rivolgono alla nonna, alla zia, all’anziana del paese per farsi togliere il “malocchio”. La sorpresa? Funziona. Si sentono tanti dire: “Mi faceva male la testa e mi è passato”.

 

2.     I maghi: fa impressione sapere quanti maghi esistano nel proprio territorio. Capace che a breve avremo più maghi che preti. È, infatti, una professione che frutta fior di quattrini. Molta gente custodisce in casa ampolline, pietre di sale, sacchetti ripieni, forse a loro insaputa, di ossa di morti, sale e chissà quale altro intruglio. Tanti altri su consiglio di questi maghi assumono gocce o pasticche presentate come medicinali fuori dal commercio e altro ancora. Anche in questi casi spesso si dice: “Il problema me l’ha risolto. E conosceva in anticipo la mia situazione”. 

 

In entrambi i casi la questione può avere una duplice lettura:

 

1.     Avere a che fare con un impostore: uno che fa queste cose per soldi. Quindi l’unico rischio che corri è quello di essere frodato. Tutti quanti ricorderanno il processo alla famosa Wanna Marchi.

 

2.     In tanti altri casi, invece, potresti incappare in un operatore dell’occulto. Non bisogna, però, correre. Soprattutto nei nostri paesi molti anziani praticano questi riti per “ignoranza”. Da piccoli sono stati abituati a pensare che queste cose siano pratiche di preghiere. In effetti formalmente molti riti contro il malocchio prevedono la recita di preghiere (ave maria, padre nostro, etc …). E allora? Beh ... il problema è che se fossero semplici preghiere non ci sarebbe bisogno di persone speciali che abbiano imparato queste preghiere nel segreto, in una notte specifica (spesso la notte di natale o dei morti) e che non possa rivelare queste formule, pena la perdita del potere. Le cose di Dio sono sempre pubbliche. Certo si può dare il caso in cui solo alcuni siano autorizzati a compiere determinati riti (vedi la confessione o la celebrazione eucaristica), ma il rito è sempre pubblico e ben accessibile a tutti.                                     
Potresti domandarmi: sì, ma perché funzionano? Proverò a rispondere a questa ipotetica obiezione con un esempio. Se hai mal di stomaco perché hai un principio di tumore e prendi un antidolorifico all’inizio il dolore viene eliminato, ma il male ti rimane dentro. Chiedere ad un operatore dell’occulto di togliere il male è come prendere l’anestesia. Non si chiede al maligno di risolvere i problemi che lui stesso va causando. Dietro molti di questi personaggi, infatti, si trovano sette sataniche, riti satanici compiuti con sangue mestruato, ossa di morti e altre schifezze di vario genere.

 

E allora … ci sono altri rimedi?

 

Certamente! Noi abbiamo un’infinità di rimedi: la preghiera, le benedizioni (molte le possono dare anche i laici), la partecipazione attiva ai sacramenti. Tutte queste cose, come ricordano tanti esorcisti, sono i più efficaci rimedi contro il male perché chi rimane attaccato a Dio non può subire alcun male spirituale.

 

Prima di concludere queste battute vorrei dare un ultimo consiglio: se ti sei rivolto a maghi, fattucchieri, indovini o roba del genere e sei credente, vai da un prete. Consegna a lui tutto il materiale che hai ricevuto perché lo distrugga nel modo opportuno. Chiedi di fare una buona confessione e ascolta i suoi consigli. 

 

Alcuni, purtroppo, riferiscono: “sono stato dal mio parroco, ma mi ha liquidato superficialmente”. In questo caso sei autorizzato ad andare da un altro sacerdote. È vero, infatti, che molti casi segnalati in effetti sono semplicemente fissazioni, problemi psichici e che quindi richiedono l’intervento di un medico, ma l’ascolto serio, attento e misericordioso non si deve negare a nessuno.

 

Un’ultima nota vale precisare in conclusione: il male non è mai più grande del bene e per questo non bisogna fissarsi, come molti purtroppo fanno trattando la religione come una magia, un amuleto o un portafortuna. Non ci si attacca al bene, quindi a Dio, per paura del male. 

 

 

 

Don Giuseppe Fazio

gfazio92@gmail.com