venerdì 26 novembre 2021

I Anniversario della nascita al cielo di Eugenio Pepere

 Carissimi,

 

          a distanza di un anno ci ritroviamo in questa Chiesa per pregare, ancora una volta, per Eugenio e con Eugenio. Sono molto felice di poter presiedere questa eucarestia e per questo ringrazio e saluto Don Loris che mi ha chiesto di portare i suoi saluti, il suo affetto e la sua preghiera. Purtroppo per impegni precedentemente presi, a malincuore, è assente. Con lui saluto anche il carissimo don Mario che ben conosceva Eugenio per il suo ministero svolto per tanti anni a Buonvicino. 

 

Bene … a distanza di un anno siamo qui con diversi sentimenti nel cuore: certamente ci sarà la mancanza causata dall’assenza fisica di Eugenio, probabilmente ancora tanto dolore, smarrimento.

 

Forse non esiste un’immagine più adeguata di quella che abbiamo ascoltato nella prima lettura: abbiamo l’impressione di stare dinanzi ad una di queste bestie descritte, la morte, che ha fagocitato e distrutto la presenza del nostro caro Eugenio con arroganza, forza e sentenza inappellabile. 

 

Tante volte di fronte all’esperienza della morte ci sentiamo proprio così: inermi. Durante la nostra vita scappiamo, corriamo, ci agitiamo, ci facciamo domande e ci diamo anche le risposte (in una sorta di Marzullo mood); dinanzi all’esperienza della morte, però, avvertiamo tutta la nostra impotenza. 

 

Di recente ho visionato questa nuova serie Netflix, “Strappare lungo i bordi”. L’autore – un genio assoluto – ha saputo ben descrivere questa esperienza: scappi lungo tutta la tua vita, pensi di rigare diritto, non ti accorgi che a volte fai tante cose e non costruisci niente, ma quando arriva la morte vieni completamente messo a contatto con una realtà: il problema non è morire, ma quanto male vivi!

 

Il problema non è capire perché si muore – il protagonista è a contatto nell’ultima puntata con il suicidio della ragazza che ha sempre amato e non ha mai avuto il coraggio di ammetterlo – il problema è che prima di quel momento lui ha sprecato tanto.

 

In questo anno ho parlato tanto di Eugenio: ne ho parlato ai bambini, agli adulti, anche agli anziani. E sempre … sempre … raccontare la storia di Eugenio ha portato tanta vita, voglia di riappropriarsi della propria esistenza, di guardare alla propria storia con occhi più profondi, con quegli occhi che Eugenio aveva guadagnato nel periodo della malattia: gli occhi di Dio. 

 

Ho pensato anche al tempo che avrei potuto dedicargli in più. Al fatto che ci eravamo persi e che è venuto lui a cercarmi e che all’inizio gli ho dato poca retta perché ero preso da mille impegni. 

 

Ecco allora l’immagine del Vangelo: da un lato ci siamo noi che spesso sprechiamo vita e dinanzi alla morte ci sentiamo rasi al suolo e da un altro c’è chi, come Eugenio, dinanzi alla morte, e prima ancora dinanzi alla vita, è saputo stare come sta un agricoltore dinanzi ad un albero che diventa tenero: vede che il suo tempo è giunto e non se ne duole, ma sa abbracciarlo. 

 

Eugenio aveva visto il suo tempo arrivare, il ramo del suo corpo era diventato ormai tenero, ovverosia fragile, e aveva capito che era il momento di dare frutto, proprio come il fico che prima di dare frutto diventa più tenero, più fragile. 

 

Il momento della sua morte è stato il momento massimo della sua esplosione di vita. Non dimenticherò mai i giorni successivi al suo funerale: ho passato ore a rispondere a messaggi di ragazzi, di molti di voi, che mi chiedevano un colloquio, una confessione, una preghiera. 

 

Il funerale di Eugenio è riuscito molto meglio di chiunque altro prete o di qualunque altra predica a farvi sentire che questa vita ha un senso superiore, anzi che questa vita e questa morte hanno senso solo se c’è qualcosa di più grande.

 

Tra questi che mi scrivevano c’era gente che non era mai entrata in chiesa, gente che non partecipava ad una messa da decenni, gente che pensava di essere arrivata e invece si è ritrovata, dinnanzi alla statura monumentale di eugenio, nel mezzo di una crisi benedetta. 

 

In Eugenio si è ripetuto – e continua a ripetersi – il miracolo della Pasqua: è quanto sono debole che sono forte. Nel momento della sua massima debolezza lui ha concesso a ciascuno di noi una forza di vita straripante. 

 

Voglio consegnarvi quello che ci scrivemmo il 15 Luglio. Scriveva:

 

un detto popolare dice “Aiutati che Dio ti aiuta” però io ho sempre aggiunto: “ma tu aiutati però”. Io ci provo e non ho intenzione di mollare! Veramente dico, non voglio siano solo parole. Voglio continuare a stare con questo mio spirito convinto che sarà solo un passaggio che debba insegnarmi qualcosa di vero e di cui oltre a farne tesoro, deve essere una testimonianza.

 

Gli rispondevo:

 

Prego perché queste tue parole trovino conferma. E, se qualcosa andrà diversamente, che tu possa capirne a fondo il senso per vivere la tua vita come testimonianza.

 

Concludeva: vediamo come andrà.

 

Penso che né io né lui sapessimo quanto fossero vere le parole che ci stavamo scambiando in quel momento. Lui ha parlato di passaggio per capire qualcosa che avrebbe voluto testimoniare.

 

Sapete come si dice passaggio in ebraico? Pasqua! Eugenio ha celebrato la sua Pasqua e ha testimoniato a noi, e continua a farlo ancora oggi, il senso della vita e della morte: passare, fare pasqua, da una vita vissuta per le cose banali di questa terra, ad una vita, che anche se muore, sa dare frutti eterni agli altri. 

 

Sì, Eugenio è una luminosa testimonianza di Pasqua. Badate bene, però, le testimonianze servono a poco se non ti cambiano dentro. 

 

Se ora torni a casa e continui la vita di prima: banale, mediocre, fatta di cose piccole, di egoismi, rimpianti, rimorsi … questo sarà stato solo un momento per piangere insieme. 

 

Se torni a casa e da questa testimonianza porti nella tua vita la forza che in Eugenio è brillata, tu già oggi celebri Pasqua perché passerai da una vita troppo terrena ad una vita divina: la vita di Cristo e quella di Eugenio in te torneranno attuali, saranno prolungate! 

 

Sapete … ci vuole coraggio per questo! Ci vuole il coraggio di Eugenio! Io spero che ci sia qualche coraggioso qui dentro, che ci siano qualcuno che sia davvero stanco di una vita mediocre, grigia, sgonfia. Qualcuno che abbia il coraggio di vivere, e anche di morire, com’è morto Cristo e com’è morto Eugenio! 

 

Chissà se c’è qualche coraggioso, Eugè?


Si … si … lo so …. Me lo hai già scritto quel 15 Luglio: vediamo come andrà!  





Don Giuseppe Fazio