lunedì 27 aprile 2020

HO PAURA DELLE CRISI


 RUBRICA DI ATTUALITÀ


"Pensare fuori dalle Righe"






Ho paura delle crisi. Di tutte le crisi. Quelle di amore, quelle di lavoro, quelle di fede … ho paura delle crisi perché mettono in dubbio le mie certezze. Quelle deboli certezze che mi permettono di salire su quei fragili e scricchiolanti piedistalli che mi consentono di scendere dal letto quando ogni giorno mi sveglio. 

Ho paura delle crisi perché arrivano senza chiederti il permesso. Senza delicatezza o “politicamente corretto”. Arrivano quando e come meno te lo aspetti. Mi fa rabbia il senso di irriverenza della crisi che, non solo scombussola, ma anche emette un giudizio sulla mia fragile inconsistenza.

Ho paura del rumore della crisi che, quando arriva, seppur in silenzio, è assordante. Un rumore difficile da addolcire, da evadere, perché ha le connotazioni di un Dio: infinito ed incondizionato. 
È un rumore silenzioso, innaturale e insopportabile. 

Mi fa paura questo rumore al quale non so arrendermi e che per sovrastarlo mi costringe a fare stupidaggini: ad affermare quegli ormai inconsistenti piedistalli in cui, forse, non credo più nemmeno io. “Non lo so se mi conviene” (Diodato), ma quanto rumore fa!

Mi fa paura persino la luce della crisi, quella luce che è nascosta nel nulla che essa sembra propormi con un certo sarcasmo, come alternativa alla mia inconsistenza. Sarà per questo che questa Quarantena fa così tanta paura.

È un paradosso: mi fa paura, ma non posso farne a meno.

Lo so che non posso farne a meno, se voglio crescere, maturare, scendere nelle profondità di quell’amore che mi si è rivelato nello scandalo della crisi più sconvolgente a cui il creato abbia mai assistito: la morte di Dio.

Non posso farne a meno, proprio come quei due discepoli che, sulla via per Emmaus, furono addirittura inseguiti da quella crisi; inseguiti e trasfigurati.

Vorrei fuggire, andare, “senza un posto a cui arrivare” (Diodato), ma resto impietrito dalla mia coscienza che mi chiede di rimanere lì, come quella donna che stavain silenzio ai piedi di una crisi insopportabile per una madre: la perdita del figlio.

Davvero … è straziante: vorrei fuggire, ma “ho capito che, per quanto io fugga, poi torno sempre a te” (Diodato), cara crisi. E così mi ritrovo come in una prigione dalla quale da solo non posso tirarmi fuori.

È in questo controsenso esistenziale, stampato nella mia fragile contingenza, che non mi rimane altro: alzare gli occhi al cielo che è altrettanto infinito ed incondizionato.

È proprio un paradosso: vorrei allontanare la crisi, ma dentro di me l’invoco disperatamente, affinché finalmente quel bellissimo rumore diventi dolce musica nella memoria mia, come tante altre crisi diventate Pasqua.



Don Giuseppe Fazio
gfazio92@gmail.com




sabato 11 aprile 2020

CORONA-PASQUA


RUBRICA DI ATTUALITÀ


"Pensare fuori dalle Righe"








Carissimi,


              Siamo ormai giunti a questa inedita Pasqua 2020. Ci giungiamo con il cuore appesantito da tante sofferenze, da tante preoccupazione, da tanti necessari sacrifici.

Sembra davvero che le scene che il Libro dell’Esodo racconta, quando descrive il viaggio del Popolo nel deserto, siano diventate a noi molto più familiari di quando le sentivamo nelle catechesi o nelle celebrazioni.

Ci sentiamo davvero come il popolo che grida a Mosè: “Fino a quando? Siamo nauseati di questa vita”. 

Eppure – lo sappiamo bene – il cammino del popolo termina, anche se non senza morti, nella Terra Promessa. Una terra che al momento non si vede, se non in lontananza. Come poter, dunque, trovare un po’ di gioia per celebrare questa Pasqua?

Vorrei con voi prendere un’immagine tratta dal celebre “Signore degli Anelli” di Tolkien e resa con grande maestria nel terzo film ad esso ispirato.

Frodo, che è portatore dell’anello del potere che deve essere distrutto, ha appena adempiuto al suo compito gettando il monile nella lava del monte Fato. Stremato da un viaggio terribile, ormai si accascia e, con il suo fidato amico Sam, mentre il monte auto implode, si rassegna alla morte.

Mentre tutto sembra perduto e le mani di sorella morte sembrano ormai aver presa sui corpi dei due Hobbit, ecco che giunge un aiuto dall’alto: le Aquile, capitanate da Gandalf, recuperano i corpi dei piccoli eroi, portandoli in salvo.

Mi sono commosso nel rivedere questa immagine che davvero descrive con forza, come solo la letteratura sa fare, la profondità del mistero pasquale che non è un “eliminare i problemi”, ma un aiuto che, giungendo dall’alto, ti porta oltre … sì, come la mano del Padre che porta oltre la morte il Figlio, risuscitandolo a vita nuova.

La Pasqua, la Pasqua che celebriamo noi cristiani, è questa cosa qui. Credere che, alla fine dei nostri sacrifici, c’è qualcuno che ci porterà in alto. Non è qualcosa che ci guadagniamo perché siamo stati bravi, ma il normale epilogo che, dalla morte di Cristo in poi, è offerto ad ogni uomo, a patto che si lasci afferrare.

Se così fosse (e così è!), possiamo celebrare la nostra Pasqua con questa certezza nel cuore: arriverà la mano di Dio a risollevarci. Quando? Lo sa Lui e Lui non arriva mai in ritardo, arriva al momento giusto.

Arriverà, anzi è già arrivato, per portarci oltre; non semplicemente oltre al corona virus, ma oltre a tutte quelle condizioni di egoismo che minacciano la nostra vita eterna.

Con questi sentimenti nel cuore voglio fare i miei più sinceri auguri a tutti voi, lettori del blog, ai miei parrocchiani, alle famiglie e al consiglio e all’equipe di Azione cattolica della mia diocesi. È Pasqua! Cristo è veramente Risorto!


Don Giuseppe Fazio