sabato 22 luglio 2023

FUNERALI VINCENZO CELIA

 Carissimi fratelli e sorelle, 

 

 

         Con affetto sincero saluto i carissimi confratelli giunti per condividere con noi questo momento duro, l’ennesimo che viviamo quest’anno: Don Giovanni che è legato a Vincenzo da vincoli di parentela, don Antonio vicario del nostro vescovo per questa forania di Scalea, don Dominique. Saluto loro e li ringrazio: la loro presenza è segno di una Chiesa più grande dei confini parrocchiali che non solo gioisce insieme nei momenti di festa, ma anche sa soffrire insieme nei momenti del dolore. 

 

         A loro si uniscono, pur impossibilitati ad essere fisicamente presenti, don Mario, parroco di Verbicaro, don Guido, docente dell’Istituto in cui Vincenzo aveva studiato e don Paolo che da subito ha manifestato la sua vicinanza ed il suo affetto per la famiglia e per la comunità. Questa mattina, poi, appena appresa la notizia, anche il Vescovo ha voluto esprimere la sua prossimità a tutta la comunità e, in modo particolare alla famiglia di Vincenzo: in questo momento ci assicura la sua preghiera ed il suo sostegno.

 

         Saluto poi tutti quanti siete convenuti per accompagnare al cielo Vincenzo e manifestare affetto alla sua famiglia: l’amministrazione comunale che ha ben inteso di voler disporre il lutto cittadino,  i parenti, i docenti e gli amici. 

 

         In un momento del genere non è facile prendere la parola. Capisco adesso in modo forte cosa volesse dire il profeta Geremia quando scrisse: Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere (Ger  14,18). 

 

         Scegliere parole adeguate per accostarmi al vostro dolore, al nostro dolore è davvero difficile. Perdonate, dunque, se la scelta poteva essere migliore. Forse occorrerebbe fare come quando si entra in un santuario: rimanere in silenzio ed affidare a Dio ogni domanda, lasciare – come abbiamo sentito nella seconda lettura – che lo Spirito Santo di Dio parli per noi, faccia arrivare i nostri gemiti di dolore fin dentro al Cuore di Gesù. 

 

         Eppure … se rimanessi in silenzio tradirei quanto l’apostolo Paolo raccomanda a coloro che hanno ricevuto il ministero di evangelizzatori: 1Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: 2annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno.

 

         Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato viene narrato di un campo, il mondo, ben creato da Dio e curato con dovizia e generosità di semina. In questo campo, però, compare un seme cattivo, qualcosa di malvagio che fa soffrire coloro che lo vedono e che subito si rivolgono al Signore del campo con questa domanda: Non hai seminato del seme buon nel campo? Da dove viene questo seme cattivo?

 

         Forse è la domanda che portiamo nel cuore oggi, forse anche noi ci rivolgiamo a Dio con questo grido: Signore, non sei tu che hai creato tutto bene? Da dove viene questo dolore? Di chi è la colpa?

 

         La risposta è quanto mai sorprendente: la colpa non è di nessuno di noi. Certo nel male che quotidianamente sperimentiamo – a vario titolo – c’è una responsabilità anche nostra, come può essere anche in un incidente stradale, ma la colpa, l’origine di questo male non ci appartiene.

 

         Se oggi siamo qui a piangere per la dipartita di Vincenzo – occorre che sia chiaro a tutti – non è colpa di nessuno. Nessuno avrebbe voluto questo. E il mio pensiero in questo momento – consentitemelo – va a Domenico, l’amico di Vincenzo, con il quale si stava recando a lavorare. Due ragazzi che si volevano bene, due ragazzi per bene che, come tanti altri, al posto di perdere tempo per strada avevano deciso di dedicare questo tempo al lavoro, al sacrificio, coltivando chissà quali desideri e quali sogni. 

 

         Lo ripeto – perdonatemi – non è colpa di nessuno! Si ha colpa quando qualcosa la si desidera, la si vuole, la si programma, la si causa volontariamente. Può esserci qualche responsabilità, qualche distrazione, ma non colpa. 

 

         C’è un male, un dolore che non è voluto, né desiderato dall’uomo, men che meno da Dio. Un male che, anche se ti comporti bene, non puoi impedire. Un male che Dio non aveva pensato per noi, come quello della morte. Attribuircene la responsabilità o attribuirla ad altri non fa che acuire il dolore e peggiorare la situazione. 

 

Continua, infatti, la risposta nel testo appena proclamato: Un nemico ha fatto questo. , C’è un nemico che in questo momento vuole parlare al cuore di ciascuno di noi seminando inutili sensi di colpa, sentimenti distorti o risentimenti. È un nemico al quale non bisogna prestare ascolto per quanto – lo sappiamo bene – è molto difficile perché alla fine, piuttosto che sentirci impotenti e basta, preferiamo sempre sentirci colpevoli o trovare un colpevole.

 

         Il testo continua: i servi allora dissero: Vuoi che andiamo a raccoglierla? “No”, rispose, “perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura”.

         

Non solo, dunque, non c’è nulla da dire, ma nemmeno nulla da fare; neppure si può intervenire. Bisogna stare fermi. Quanto è doloroso Accettare che ci sia un male, come la morte, dinanzi al quale bisogna saper stare fermi. Non significa far finta che non ci sia, non riconoscere il dolore, ma ammettere un limite. Un limite che non può essere varcato con le nostre forze, rimosso o dimenticato. Sta lì per ciascuno di noi.

 

         Oggi celebriamo la festa liturgica di Maria Maddalena, la prima ad aver visto il Signore Risorto perché, contrariamente agli Apostoli, rimase ferma a piangere davanti al sepolcro. Quando non c’è soluzione il cuore dell’uomo, consigliato dal demonio, si dispera, imbocca strade sbagliate, tal volta violente, perché dimentichiamo che se anche noi siamo fermi, bloccati, paralazzati, inermi, così non è Dio. È Lui che deve venirci ora incontro, è Lui che certamente ora bussa alle porte del nostro cuore affranto. Noi dobbiamo rimanere fermi, senza scappare via, guidati magari dal dolore, dalla tristezza o da chissà cos’altro. Abbiamo sentito, infatti, ancora: al momento della mietitura dirò io ai servi di raccogliere la zizzania e bruciarla. 

         

         E così ora una parola vorrei rivolgerla alla famiglia tutta di Vincenzo, agli amici, conoscenti, e ai suoi coetanei. Forse vi sentite paralizzati anche voi dal dolore assurdo di una morte così prematura, forse in qualcuno di voi si affaccia qualche senso di colpa: “Potevo dire quella parola”, “potevo avere quella attenzione”, “potevo dedicargli un po’ di tempo in più” o forse il contrario “potevo non dire, o fare quella cosa lì”.

 

         Forse anche voi vorreste, come i servi, fare qualcosa. Eppure … forse …  questo, invece, è il momento di rimanere fermi, di guardare nel proprio cuore e di gridare a Dio tra le lacrime: Signore perché la nostra vita che dovrebbe essere bella viene segnata da tante sofferenze, dolori ed errori?

 

Come la Maddalena anche voi, Gridate a Dio perché è ingiusto che la vita, la vostra vita – un dono stupendo che può terminare anche precocemente - sia tal volta sprecata non per cattiveria, ma per superficialità. È ingiusto che i sogni di bellezza, di purezza e giustizia dei più giovani, tal volta per la distrazione di noi adulti, almeno anagraficamente, si perdano e si dissolvano in tante distrazioni che, a conti fatti, davanti alla bara di un amico, contano niente

 

Gridate a questo Dio che non vede l’ora di venirvi incontro per mostrarvi che anche se noi nella morte siamo impotenti, Lui ha un’alternativa da mostrarci; ha un altro stile da insegnarci dinanzi a quelle difficoltà quotidiane che al posto di unirci, a volte ci dividono e ci imbruttiscono.

 

         Gridate a Dio e, se lo volete, gridate anche al vostro parroco. Del resto, questa è la missione di noi sacerdoti: noi non siamo in mezzo a voi per organizzare questo o quello, ma per raccogliere queste grida che ognuno di noi porta nel cuore e con questo imparare ad ascoltare che c’è Qualcuno che queste grida non le lascia andare, ma sa raccoglierle ed reindirizzarle. 

 

         Carissimi, continuiamo insieme questa celebrazione esprimendo nel canto e nella preghiera tutto quello che portiamo nel cuore, sapendo che, come Padre Tenero, Dio raccoglie ciascuno di noi tra le sue braccia e ci indicherà il cammino da seguire da oggi in avanti. 

 

         Mentre, infatti, Vincenzo ora termina il suo pellegrinaggio e arriva a casa da dove ci aspetta, il nostro cammino deve continuare. Come dovette continuare il cammino di Maria Maddalena che, non volendo più andare via dal cimitero, si sentì dire dal Signore: Non mi trattenere, ma và dai tuoi fratelli.

 

Anche noi forse vorremmo rimanere qui fermi a piangere in eterno senza dover fare i conti, da domani in avanti, con l’assenza di Vincenzo ed è per questo che anche a noi viene rivolto questo invito a riprendere il cammino sapendo che un giorno, come abbiamo ascoltato, insieme a Vincenzo brilleremo lì dove ogni zizzania, dolore, errore verrà totalmente distrutto e bruciato da quel Dio che con noi e per noi soffre e ci sostiene. 


Don giuseppe Fazio