Dopo la clamorosa esclusione della
nazionale italiana dai tornei mondiali di calcio, la televisione, come i
giornali ed i siti internet, non di meno le bacheche facebook, sono stati
letteralmente intasati da opinioni, giudizi e riflessioni che avevano come
comune base una sola domanda: com’è possibile?
Questa domanda mi ha offerto una preziosa
occasione per riflettere. Da non esperto quale sono, guardando le partite
dell’Italia, è chiaramente emerso che tra i giocatori, e in particolar modo tra
i giocatori e l’allenatore, non ci fosse grande feeling. Prova di ciò è il
sorprendente rifiuto di De Rossi che, alla chiamata dei tecnici per entrare in
campo, ha opposto un fermo rifiuto.
Una squadra in queste condizioni
evidentemente non può dirsi squadra e per questo la fine, fatta dall’Italia,
credo sia quella più naturale. Ci vuole una visione comune, una collaborazione.
Ma … consentitemi una domanda: cos’è una
visione comune?
Di tanto in tanto sono preso dal forte
dubbio che, chi parla di visione comune, abbia in cuore la pretesa di far
diventare la propria idea comune, cioè accettata da tutti.
Quando si verifica questo fraintendimento
cosa succede? Che questi uomini, amanti della visione comune e della collaborazione,
diventano i “savonarola” di turno.
La cosa tragi-comica? Sotto la loro ghigliottina passano indistintamente tutti, anche coloro i quali fino al giorno prima erano i compagni (o gli schiavi da sfruttare) di lavoro. Salvo che questi non tornino ad essere utili: in quel caso la clemenza del Savonarola avrebbe la meglio dinnanzi alla “conversione” del dannato.
Generalmente poi questi tali sono
riconoscibili da un altro elemento: si circondano di tre o quattro amici di
merenda che, o per opportunismo, o per ignoranza, o perché si illudono in buona
fede, condividono l’idea proposta.
La visione comune, al contrario, ha
invece delle caratteristiche che non possono essere escluse:
1. La centralità del bene comune che non
ammette personalismi o presenzialismi di sorta;
2. L’umiltà che permette una sana
collaborazione utile a far sì che la visione comune sia composta dalle idee di
tutti;
3. La coerenza che non consente di
abbandonare i compagni di strada quando questi non sono più convenienti.
C’è un solo problema: una vera visione
comune, un vero collaborare, è molto più impegnativo, non guadagna facili “mi
piace” e spesso richiede di rimetterci di persona.
Per questo nel circo del qualunquismo è
più facile far passare la propria visione, il proprio modo di vedere le cose,
come “visione comune”
Così l’eliminazione dell’Italia dai
mondiali forse diventa per noi davvero un’occasione di crescita: non basta dare
ordini, sparare sentenze, apparire con un bel look, per formare una squadra.
Serve un buon cuore ed un ottima testa.