lunedì 14 agosto 2023

OMELIA SAN MARCELLINO 2023

 




Carissimi fratelli e sorelle, 

 

         con gioia ci troviamo oggi a celebrare la festa del nostro protettore, san Marcellino. Lo facciamo al termine di un triduo breve, ma intenso, che si è concluso ieri con la celebrazione con i nostri bambini e le mamme in attesa e la bella testimonianza di quattro giovani ragazzi convertiti che, attraverso la musica, ci hanno annunciato la gioia e la freschezza del Vangelo.

 

         Con questa gioia nel cuore saluto le autorità presenti: l’amministrazione comunale, il corpo dei carabinieri, la polizia municipale e tutti voi, cari fratelli e sorelle.

 

         In questo triduo, don Giuseppe – l’altro -, ci ha parlato dell’intreccio delle paure e dei desideri che lottano un po’ nei nostri cuori. Noi siamo un po’ la risultante di questa lotta spietata che ha come terreno di battaglia il nostro cuore.

 

         Ecco … oggi approdiamo a questa celebrazione in cui la Liturgia della Parola ci ha parlato di un’esperienza che San Pietro, un altro papa come san Marcellino, anzi il primo papa, ha dovuto fare. 

 

         Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, mentre tutti erano contenti ed entusiasti di Gesù e i discepoli gongolavano, Gesù ha una intenzione stranissima: obbliga i discepoli a salire in barca, anzi li costringe e li costringe subito, dice la scrittura. Nemmeno il tempo di godersi il successo, gli applausi, niente. Gesù li costringe ad andare via. Perché? 

 

         Intanto perché questi erano pescatori e sapevano che di notte nel lago non si va: è pericoloso, si rischia la morte. E qual è la paura più grande di un pescatore se non morire in acqua? Questi proprio non vogliono, eppure … li costringe ad andare incontro a ciò che puntualmente accadrà: il mare si agita e la barca rischia di affondare.

 

         Strano questo Gesù che non si gode i successi, ma spinge i suoi verso un’esperienza dolorosa. Per altro lui non va in barca con loro, anzi si ritira sul monte, dal lato opposto. Perché tutto questo?

 

Quante volte anche a noi capita di fare questa esperienza: nemmeno il tempo di goderci un successo che subito ne capita una. Tante volte per questo motivo abbiamo paura di dirci felici perché abbiamo paura che succeda qualcosa, magari ca ancunu ni pigli ad uacchiu. 

 

Che tipo strano Gesù … lui deve verificare una cosa. Sapete che vuol dire verificare?  Verificare letteralmente può assumere il senso di far diventare vero qualcosa, in questo caso un atteggiamento del cuore: la fiducia in lui. 

 

Nel momento della gioia è chiaro che siamo tutti mood: Tu sei la mia vita altro io non ho …Dio ti amo, etc … ma bisogna che questa parola si avveri, si verifichi, accada nel nostro cuore.

 

Ecco … E allora ai discepoli che erano contenti del successo deve far capire una cosa: non conta il risultato, ma di chi ti fidi e con chi cammini.

 

Nella vita è chiaro: si possono raggiungere grandi risultati, ma da soli e a che servono? O peggio: in cattive compagnie. Non c’è alcun guadagno in questo. 

 

E allora li costringe… ed emerge già qui qualcosa: non ci fidiamo di quello che ci chiedi è pericoloso e tu non lo capisci. Quante volte la vita, anzi Dio, ha chiesto a ciascuno di noi scelte coraggiose, pericolose, compromettenti e anche noi ci siamo tirati indietro, abbiamo avuto paura. Proprio come San Marcellino che, davanti all’imperatore, non si è fidato di Dio, ha avuto paura e ha probabilmente rinnegato la fede.

 

Nel mezzo della tempesta, però, la sorpresa: Gesù arriva camminando sul mare, su quelle paure. I discepoli non lo riconoscono e Matteo riferisce che Gesù disse subito – ancora una volta subito – Coraggio, sono io.

 

Ed ecco Pietro che mostra tutta la sua mancanza di fiducia: se sei tu … come a dire vediamo se davvero sei tu il maestro che cammina sulle mie paure. Se sei tu … dì che io cammini su queste acque. 

 

Dove è ancorata la nostra paura? All’idea di rimanerci sotto, che nessuno mi capisca, che nessuno mi tiri fuori … con grande interesse due sere fa ho ascoltato la presentazione del libro di Italo Arcuri (e lo leggerò). Nella lettera che abbiamo ascoltato si sentiva – chiaramente in uno sfogo fraterno – la paura del caro don Italo che non fosse capito dai suoi cittadini, la paura tutta umana di affondare nella calunnia e nella maldicenza, nel dolore.


 

Non sono i nostri stessi sentimenti oggi? Stiamo attraversando un anno che sta lasciando segni notevoli sulla pelle di questa comunità:

 

-       I funerali di Luigi quasi mio coetaneo; 

-       I funerali di Giuseppe e di Maria circa cinquant’anni

-       Ultimi i funerali di Vincenzo appena 19 anni

-       Per di più in un tempo di incertezze e di guerre, subito dopo una Pandemia.

 

Forse anche noi, come San Marcellino, e come San Pietro stiamo sperimentando di essere su una barca che ci sembra affondare e anche noi fatichiamo a riconoscere il Signore che ci viene incontro. E abbiamo paura di rimanerci sotto, paura di non riuscire ad essere più felici, paura di non farcela.

 

Questi sentimenti sono raccolti anche nell’infiorata – pur ridotta proprio a causa di questo dolore ancora fresco – e sono stati felicemente rappresentati in san Marcellino e un ragazzo che cammina verso la luce, lasciandosi alle spalle le ombre.

 

Questo cammino che anche noi stiamo compiendo è un cammino che – lo dobbiamo ammettere - ci vede spesso fare passi indietro. Passi dolorosi che spesso portano alla confusione, ai fraintendimenti, ai sospetti, ai dubbi … proprio come una ciurma che sta per affondare e ormai non è più una compagnia, una famiglia, ma un branco di animali impauriti. 

 

Eppure, rimane un terzo subito che l’evangelista ci consegna. Quasi a dirci che Gesù, quando lo si invoca per davvero e con tutto il cuore, non tentenna perché lui è serio con noi. 

 

Pietro scende dalla barca, cammina sulle acque, ma ancora una volta ha paura, dubita e quindi affonda. Dice in questo momento l’evangelista che Gesù, al grido di Pietro, subito gli tese la mano e lo salvò.

 

Questa è l’esperienza di Marcellino:

 

-       Dopo un momento di successo del suo ministero dovuto alla sua grande carità subito fece l’esperienza della persecuzione; 

-       Rinnegò il maestro che subito gli venne incontro;

-       Subito gli tese la mano aiutandolo a rimettersi in piedi e ad andare fino in fondo.

 

Forse qualcuno di noi in questo momento si trova al primo punto, si sente costretto ad affrontare qualcosa che vorrebbe fuggire, forse altri staranno lì in mezzo e devono accogliere il Signore che viene incontro o forse altri ancora stanno lì sul punto di dover andare fino in fondo e accogliere la mano tesa del Signore.

 

Per ognuno di noi – questa è la notizia consolante – Dio è pronto a venirci incontro. Dio ha una soluzione, Dio ha una buona notizia. A noi servono due cose:

 

-       L’onestà del dire: è vero io mi fido più di me stesso, delle mie forze che di Dio. Quel rimprovero di Gesù a Pietro è rivelativo: uomo di poca fede, perché hai avuto paura? La paura è figlia della poca fiducia nell’amore sconfinato che Dio ha per noi. Lasciatemi dire che sogno una comunità parrocchiale in cui la si smette di giocare a fare i primi della classe, sempre impettiti, inappuntabili, dove l’errore è visto come un fallimento ingiustificato. Sogno una comunità parrocchiale in cui ognuno di noi si senta libero di mostrare le proprie fragilità, si senta libero di esporle, di manifestarle perché consapevole che in una comunità di discepoli di Cristo le proprie fragilità saranno accolte e sostenute! Quale liberazione sarebbe poter abbandonare quegli atteggiamenti di rigidità, di agitazione, di falsità che ci mettiamo addosso per nascondere le nostre fragilità e le nostre incertezze!!!

 

-       E poi? Cercare, fosse anche disperatamente, la sua mano già tesa.

 

Carissimi con affetto fraterno e anche paterno, 

 

         sento questa sera di rivolgervi un accorato invito a tutta la comunità: non fidiamoci delle nostre forze. Ognuno di noi ha il suo mare agitato, le sue paure. Il parroco ha le sue paure, le sue insufficienze, così i governanti, i vescovi e chi più ne ha ne metta.

 

Ciò che conta nella Chiesa non è essere efficienti e ben riusciti, ma afferrare la mano di Dio che ci salva e riconoscerlo.

 

Dove approda questo testo. Come si conclude infatti? Quelli che erano sulla barca dissero: Davvero tu sei il Figlio di DioAdesso credono e si fidano …Dav-vero, per davero…. La parola si è verificata.

 

Noi non siamo chiamati ad una vita senza onde, senza pericoli, senza fraintendimenti, senza che altri ci facciano soffrire, senza che la morte e la MALATTIA ci feriscano … no … noi siamo chiamati a riconoscere che in tutto questo mare c’è un punto fisso, una stella – come diceva don Giuseppe – e per questo possiamo andare avanti con fiducia e con speranza e possiamo andare fino in fondo.

 

San Marcellino, come San Pietro, sarebbero potuti rimanere a leccarsi le loro ferite e, come loro anche Maria Santissima Addolorata per la morte del Figlio, invece ci consegnano uno stile nuovo di stare nel dolore, non pietistico: rimanere insieme, vicini perché, mentre si è insieme, sempre e di nuovo Dio ci viene incontro e ci permette di fare il salto nella vita piena. 

 

Chiediamo per intercessione del nostro protettore di poterci fidare sempre di più di Dio, di saperlo riconoscere nella nostra storia personale e comunitaria non per essere impeccabili e precisi, ma per procedere nonostante il mare delle nostre inefficienze e fragilità ed arrivare alla meta del cielo.

 

Perché questo è il vero problema: non aggiustare le cose della terra, ma arrivare al cielo


Veglino sul nostro cammino San Marcellino, Luigi, Maria, Giuseppe e Vincenzo per i quali e con i quali oggi preghiamo; loro che hanno superato il mare agitato dell’esistenza terrena perché, in un modo o in un altro, hanno saputo afferrare il braccio di Dio e oggi ricordano a noi che c’è un solo modo per affrontare il buio della croce, sempre lo stesso: la luce della Pasqua, la luce della Risurrezione, la luce di un Padre che ha per noi un amore sconfinato. 



Don Giuseppe Fazio