martedì 26 maggio 2020

LA PANDEMIA, LA PAURA E IL VASO DI PANDORA

RUBRICA DI ARTE E LETTERATURA


"Mito, mistero e realtà"





Rubando il fuoco della conoscenza agli dèi per donarlo agli uomini, Prometeo, fece andare Zeus su tutte le furie. Il re dell’Olimpo non si limitò a punire il titano e decise di estendere la punizione anche sugli umani, ma senza apparire come un dio crudele. Così Zeus ordinò ad Efesto, dio del fuoco, di creare con argilla e acqua l’esemplare femminile della specie umana ancora inesistente: la donna.
Il fabbro degli dei con dita sapienti plasmò un volto soave ispirato a quello delle dee e una volta cotta, tinse la statua di tenero rosa dandole come anima una scintilla del fuoco divino.  Fu Atena a completare il  capolavoro di Efesto, soffiando sull’opera plastica, conferendole lo spirito vitale e solo allora la donna aprì gli occhi, sorrise e tutti gli dèi le omaggiarono dei doni:

Atena fornì la donna di una splendida e candida veste decorata di gemme, le cinse i fianchi di perle e le pose sul capo una corona istoriata con le sue mani.
Le grazie le adornarono il petto e le braccia con monili scintillanti; Afrodite sparse sulla testa della fortunata ragazza, tutte le arti della bellezza e della seduzione, mentre le Ore dalle lunghe chiome dorate, acconciarono i capelli della donna con serti di fiori profumati appena raccolti. Ermes, il messaggero degli dèi, rese scaltra la sua indole instillando sulle curve delle sue labbra, discorsi affascinanti ma ingannevoli.
Anche Zeus constatando che la bellezza della donna umana era superiore ad ogni elogio, volle offrire il suo dono prima di mandarla fra gli uomini. La chiamò Pandora (dal greco "pan doron = tutto dono”) poichè tutti gli dèi le avevano donato qualcosa e le offrì in dono un vaso con l’ordine di non cedere mai alla tentazione di aprirlo.

Zeus affidò la fanciulla ad Ermes perché la portasse in dono ad Epimeteo che si innamorò di lei e l’accettò come sua sposa.
Ma poco a poco la curiosità diventò un tarlo nella testa della fanciulla: che cosa dunque conteneva il prezioso vaso intarsiato donatole da Zeus? E se avesse aperto appena un pochino il coperchio e avesse curiosato con precauzione da uno spiraglio?
La donna sollevò il coperchio e infilò il viso nella breve fessura, ma ciò che avvenne la costrinse ad indietreggiare inorridita. Un fumo antracite uscì a folate dal vaso e mostruose creature iniziarono ad innalzarsi nel cielo ricoprendo di tenebre l’intero mondo.

Dal vaso, rapidamente e irrefrenabilmente, uscirono come fulmini tutti i mali estranei all’umanità: l’odio, il dolore, l’invidia, la malattia, la violenza e la pazzia, le brutture, i vizi, la vecchiaia, la morte e così via.
Invano Pandora, cercava affaticata e terrorizzata di chiudere il vaso, di trattenere i mali rimediando al disastro ma la vendetta di Zeus si era compiuta e da quel giorno la vita degli esseri umani fu desolata da tutte le sventure. Quando tutto il denso fumo svaporò nell’aria e il vaso parve vuoto, Pandora guardò all’interno dove svolazzava ancora un grazioso uccellino azzurro; era Elpis la Speranza. 

Cosi fu punito il genere umano dalla regale divinità di Zeus, per non aver rispettato il volere del sovrano del mondo e di tutto ciò che lo abita. I mali più feroci erano e sono ancora liberi per il mondo, ma per porre sollievo a tutto questo, Zeus ci fece dono di un dolce azzurro conforto: la Speranza che non abbandona mai nessuno.


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La centralità del mito è occupata dalla creazione artistica della donna che viene modellata con argilla, e ciò che avviene in questo mito è, a parer mio, il sogno di ogni artista, ovvero quello di  vedere le proprie opere prendere vita.

L’arte contemporanea, ci propone un’opera di Patricia Watwood, adatta ad accompagnare questa riflessione. Nella raffigurazione di Patricia, la vicenda di Pandora si svolge in un mondo distopico, non troppo distante dal nostro, dove la giovane è nuda e sembra contemplare la schiusa del vaso appena avvenuta, riversando sul mondo le più drammatiche conseguenze della tecnologia e dell’inquinamento.

Il retro di un vecchio video registratore (oramai in disuso) sulla quale Pandora è seduta, rende molto bene l’idea della repentina evoluzione della tecnologia. Fermatevi qualche minuto ad osservare anche i piccoli dettagli che arricchiscono l’opera di significati, come i cavi spezzati, la plastica, le sigarette, l’aereo o il colore di Elpis che si rifà alle tinte del cielo. Tra i simboli selezionati affinché nutrano l’opera di messaggi celati vi sono i papaveri, il rossore sanguigno del cielo che insieme al teschio conferiscono nell’immaginario una sorta di memento mori.

Ciò che è incredibile è scoprire che i greci fin da allora  avessero intuito il secondo principio della termodinamica. Cosa dice il secondo principio della termodinamica?  
Ogni qual volta la materia si trasforma in energia una parte di questa materia diventa inquinamento e disordine. Non solo, ma questo disordine, questa parte “non buona” è sempre più grande  del buono che crediamo di aver fatto. L’esempio eclatante possiamo trovarlo nel petrolio, che noi tramutiamo in carburante per automobili, una parte di questo petrolio diventa anidride carbonica, che  disperdendosi nell’ambiente, genera come ben sappiamo vari scompensi. Noi crediamo di aver fatto una buona cosa, inventando l’automobile, l’aereo, l’energia nucleare per poi ritrovarci avvolti in una pandemia fuoriuscita dal vaso con una forza incontenibile. 

L’opera di Watwood dipinge la realtà, enfatizzandone i nefasti aspetti che tutti noi abbiamo paura di riscontrare quando ci accorgiamo di aver aperto un vaso che doveva restare chiuso.  La verità è che per vivere abbiamo bisogno sia del bene che del male; senza il male il bene non avrebbe senso e viceversa. Abbiamo paura di confrontarci con il nostro male e sfruttiamo energie per tenerlo al chiuso dentro il vaso, quando sarebbe più facile lasciarlo fuoriuscire per affrontarlo e controllarlo.
La realtà che stiamo vivendo nel presente, ha a che fare con una pandemia, un conseguente distanziamento sociale e preoccupanti dubbi che rendono il futuro incerto sotto svariati aspetti: possiamo però convenire sul fatto che questo male abbia in un certo senso contribuito ad unirci o quanto meno a valorizzare tantissime cose che prima davamo per scontate? Come lo stare a casa, in famiglia o soli con sé stessi, recuperando vecchi ricordi guardando all’interno del proprio vaso.



Francesco Fiorentino
a.francescofiorentino@gmail.com






domenica 24 maggio 2020

SE UN SINDACO DEPONE LA FASCIA E GLI ALTRI DORMONO…


 RUBRICA DI ATTUALITÀ


"Pensare fuori dalle Righe"






Non faccio mistero del fatto che da tempo ormai la politica mi ha deluso e ha reso il mio cuore un po’ disattento alle questioni di partito. Purtroppo, da tempo ormai, in Italia, infatti, la politica ha smesso di curarsi del “bene comune”. Stolta e distratta si è piuttosto innamorata di se stessa prendendo a cuore le questioni “di partito appunto”. 

Esistono, però, persone impegnate in politica che manifestano ancora qualche rantolo di quella Politica bella, intesa quale servizio; quella Politica con la “P” maiuscola alla quale Papa Francesco richiamava l’Azione Cattolica proprio nel 150° anniversario della sua nascita.

Sono uomini e donne capaci di rinunciare al loro posto quando questo diventa luogo del ricatto e del compromesso piuttosto che del servizio e della donazione. Uomini e donne semplici, che non fanno rumore. Uomini e donne, certo, pur con i loro limiti, ma che ancora manifestano qualche segno, forse pur debole, di una politica diversa.

Sono pochi appunto, rarissimi. Lo costatiamo ancora una volta dinanzi alle minacciata consegna della fascia tricolore del sindaco di Cetraro per la questione, quasi diventata barzelletta, del punto nascita dell’ospedale di Cetraro.

Bene … mentre un sindaco tenta un atto disperato, intorno il silenzio. Su una questione di massima urgenza non ci sono altri sindaci capaci di seguire questo gesto disperato, ma forte. Che tristezza. Dicono che la sanità ormai si privatizza anche in Italia, a me sembra che si sia privatizzato il bene comune per cui, se un ospedale ricade nel territorio comunale di un sindaco, è solo affare suo. Poco importa se questo punto nascita, nei decenni, ha visto nascere bambini appartenenti a decine di svariati comuni.

Sento di scriverlo con pacifica e schietta franchezza, nessuno me ne voglia: se un sindaco depone la sua fascia e gli altri tacciono … io ho paura!

Mi fa paura questo silenzio perché urla ad alta voce come contino soltanto gli interessi privati e, magari, i consensi degli amici che nelle elezioni portano voti. 

Mi fa paura questo silenzio perché diventa contagioso … quando è rientrata in Italia Silvia Romano ogni sciocco ha perso tempo per parlare, alzare la voce; mentre una burocrazia asfissiante distrugge un ospedale, invece, a parlare sono sempre pochi, sempre gli stessi … di cui una buona fetta, forse, solo per solcare una passerella. 

E così, mentre la politica viene privatizzata dagli interessi di partito, la società, i singoli cittadini, leoni da testiera e micioni (per non dire un’altra parola) nella vita, rimangono intontiti a guardare la realtà come un miraggio lontano.

Pensavamo che la Quarantena avesse sbloccato i nostri cuori induriti e, invece, ci riscopriamo più assopiti di prima.

Sento, dunque, di esprimere la mia vicinanza al Sindaco di Cetraro, della mia Cetraro e, con affetto, anche se non ho fasce da deporre, io ti accompagnerò, sperando che il mio invito sia colto da tanti altri … magari quel giorno non sarai solo, come in effetti – è giusto dirlo – solo non lo sei mai totalmente stato. 


Don Giuseppe Fazio
gfazio92@gmail.com



sabato 2 maggio 2020

LA LUCE DI PROMETEO NEL BUIO DELLA QUARANTENA

RUBRICA DI ARTE E LETTERATURA


"Mito, mistero e realtà"





Il mito narra che gli dei stanchi di vedere la terra desolata, incaricarono Prometeo (colui che pensa prima) e suo fratello Epimeteo (colui che pensa dopo) per creare gli esseri viventi destinati ad abitarla. 
Prometeo, il Titano molto apprezzato dagli dei dell’Olimpo, con creta ed acqua creò la razza umana, modellando le statue ad immagine e somiglianza degli dei. Plasmati gli uomini e gli animali, constatò quanto però fossero nudi e indifesi, decise allora di completarli con qualche piccola aggiunta, affidando a suo fratello Epimeteo, il compito di munirli di risorse per la sopravvivenza. 

Epimeteo raccolse in un sacco le virtù offerte dagli dei: artigli, pinne, ali, zanne, pellicce, agilità, grandezza, forza e tutte le varie doti necessarie alla sopravvivenza, che, alternate tra loro, rispondevano a sottili equilibri di comparazione. Distribuiti tutti i mezzi di salvezza in modo tale che nessuna specie potesse estinguersi, Epimeteo si rese conto di essersi dimenticato degli uomini, lasciando questi ultimi  privi di ogni attrezzatura per affrontare gli animali feroci o le intemperie stagionali provenienti da Zeus.

L’uomo era nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi. Intanto era giunto il fatidico giorno, in cui le statue sarebbero state chiamate alla vita. Prometeo disperava per il breve destino infelice che spettava all’uomo senza alcuna arma. Vedendo gli uomini soffrire il gelido freddo notturno, non volle starsene con le mani in mano, e mosso da un estrema fiducia nei confronti degli uomini, commise un vero e proprio furto. Entrò di nascosto nella casa comune di Atena ed Efesto, dove i due lavoravano insieme e rubò la scienza del fuoco di Efesto e la perizia tecnica di Atena per donarle all’uomo.
La punizione di Zeus per la sua disobbedienza fu terribile. Zeus ordinato a Cratos (la forza), e Bia (la violenza) che il titano venisse incatenato ad una rupe del Caucaso. Comandò ad un Aquila di rodergli il fegato, dall’alba al tramonto e, affinché il supplizio fosse eterno, fece si che il fegato di Prometeo ricrescesse durante la notte. Sarà Eracle, figlio di Zeus, dopo moltissimo tempo ad uccidere l’aquila e, con il consenso del padre, a liberare Prometeo da quell’orribile supplizio.

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 La versione neoclassica del miniaturista e incisore tedesco Heinrich Friedrich Füger, riesce in una singola opera a fondere gli ideali estetici di pittura e scultura. Füger da buon romantico individua e raffigura il momento più delicato del mito, ovvero quello in cui Prometeo, con in mano la fiaccola, che nella mitologia greca simboleggia forza divina e conoscenza, sta per donare lo spirito vitale alla statua umana, inerte e senza vita. 

La scelta del contrasto cromatico è raffinata e carica l’opera di emozione. Prometeo tinteggiato da colori caldi e luminosi è appena atterrato sulla terra dopo il fatidico furto, e invita lo spettatore a fare silenzio, mentre lo sguardo rivela tutta la pericolosità del rischio che il gesto d’amore per l’uomo lo ha spinto a fare. 

Il suo corpo riempie l’intera opera perché è lui il protagonista, ma un dettaglio importante e affascinante lo nel contatto tra i due soggetti. L'alluce di Prometeo si allinea a quello della statua umana fatta di argilla, rendendola un’estensione di se stesso.

L’arte ha considerato Prometeo come il simbolo del coraggio e dell’amore, rappresentando il meglio dell’uomo, elevandolo al di sopra della sfera materiale con la creatività, il genio, l’ispirazione poetica e la tensione spirituale.

In questo mito viene raccontato il rapporto tra l'umano e il divino: un rapporto fatto di inganno e di fiducia, di furti e di doni, di compassioni e di supplizi e ciò che ci colpisce probabilmente è come già all’epoca, fosse così chiaro l’ambiente contrastante in cui ebbe origine la natura umana, non a caso plasmata da due anime legate e opposte, due fratelli che incarnano, il PENSIERO PREVIDENTE (Prometeo) e il SENNO DEL POI (Epimeteo).

Attraverso Prometeo si può ragionare, in maniera suggestiva sull’inizio dell’umanità sapiente, la quale, attraverso la memoria e lo sviluppo della tecnica dell’agricoltura, inizia per la prima volta a civilizzarsi mettendo da parte qualcosa (il raccolto), adattandosi ai tempi e alle regole della natura, formulando un linguaggio di comunicazione e capendo che l’unione fa la forza (nella caccia), anche se, al contempo, può generare attriti tra i pari.

Stiamo vivendo un particolare momento storico in cui ci sentiamo tutti come Prometeo legati ad una rupe, spenti, angosciati e soprattutto soli, nella continua aspirazione al bene di un mondo abbandonato nell’oscurità dagli dei. 
Questo senso di impotenza, richiede da noi  oggi il “titanico” sacrificio di vedere l’aquila arrivare ogni mattino al nostro fegato. L’inclinazione e l’impulso alla resa a questa paura rapace, è instillata dalla natura “epimeteica”che risiede in ognuno di noi. L’amore  per l’attività eroica intesa anche come volontà, deve essere fatta nascere, lottando pur prevedendo il sacrificio che esso richiede seguendo l’esempio “prometeico”. Queste due forme sono in tutti noi, e a tutti noi sta la possibilità e la scelta di come affrontare questo “supplizio”.

Noi non abbiamo le mani legate ad una colonna dorica nel mezzo di una rupe. Non siamo prigionieri. Siamo protetti, invitati a proteggerci e possiamo allontanare l’aquila utilizzando il magico fuoco della saggezza, che tutti abbiamo dentro. 
Il supplizio è davvero eterno o arriverà la salvezza? La vera salvezza arriverà tramite un compromesso o tramite una sconfitta? 
I miti non danno risposte, ma pongono domande, quel che è certo è che, chi “utilizzerà la torcia” vedrà. Noi umani, grazie a Prometeo, avremo sempre la capacità di scegliere da quale parte stare.



Francesco Fiorentino
a.francescofiorentino@gmail.com