sabato 2 maggio 2020

LA LUCE DI PROMETEO NEL BUIO DELLA QUARANTENA

RUBRICA DI ARTE E LETTERATURA


"Mito, mistero e realtà"





Il mito narra che gli dei stanchi di vedere la terra desolata, incaricarono Prometeo (colui che pensa prima) e suo fratello Epimeteo (colui che pensa dopo) per creare gli esseri viventi destinati ad abitarla. 
Prometeo, il Titano molto apprezzato dagli dei dell’Olimpo, con creta ed acqua creò la razza umana, modellando le statue ad immagine e somiglianza degli dei. Plasmati gli uomini e gli animali, constatò quanto però fossero nudi e indifesi, decise allora di completarli con qualche piccola aggiunta, affidando a suo fratello Epimeteo, il compito di munirli di risorse per la sopravvivenza. 

Epimeteo raccolse in un sacco le virtù offerte dagli dei: artigli, pinne, ali, zanne, pellicce, agilità, grandezza, forza e tutte le varie doti necessarie alla sopravvivenza, che, alternate tra loro, rispondevano a sottili equilibri di comparazione. Distribuiti tutti i mezzi di salvezza in modo tale che nessuna specie potesse estinguersi, Epimeteo si rese conto di essersi dimenticato degli uomini, lasciando questi ultimi  privi di ogni attrezzatura per affrontare gli animali feroci o le intemperie stagionali provenienti da Zeus.

L’uomo era nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi. Intanto era giunto il fatidico giorno, in cui le statue sarebbero state chiamate alla vita. Prometeo disperava per il breve destino infelice che spettava all’uomo senza alcuna arma. Vedendo gli uomini soffrire il gelido freddo notturno, non volle starsene con le mani in mano, e mosso da un estrema fiducia nei confronti degli uomini, commise un vero e proprio furto. Entrò di nascosto nella casa comune di Atena ed Efesto, dove i due lavoravano insieme e rubò la scienza del fuoco di Efesto e la perizia tecnica di Atena per donarle all’uomo.
La punizione di Zeus per la sua disobbedienza fu terribile. Zeus ordinato a Cratos (la forza), e Bia (la violenza) che il titano venisse incatenato ad una rupe del Caucaso. Comandò ad un Aquila di rodergli il fegato, dall’alba al tramonto e, affinché il supplizio fosse eterno, fece si che il fegato di Prometeo ricrescesse durante la notte. Sarà Eracle, figlio di Zeus, dopo moltissimo tempo ad uccidere l’aquila e, con il consenso del padre, a liberare Prometeo da quell’orribile supplizio.

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 La versione neoclassica del miniaturista e incisore tedesco Heinrich Friedrich Füger, riesce in una singola opera a fondere gli ideali estetici di pittura e scultura. Füger da buon romantico individua e raffigura il momento più delicato del mito, ovvero quello in cui Prometeo, con in mano la fiaccola, che nella mitologia greca simboleggia forza divina e conoscenza, sta per donare lo spirito vitale alla statua umana, inerte e senza vita. 

La scelta del contrasto cromatico è raffinata e carica l’opera di emozione. Prometeo tinteggiato da colori caldi e luminosi è appena atterrato sulla terra dopo il fatidico furto, e invita lo spettatore a fare silenzio, mentre lo sguardo rivela tutta la pericolosità del rischio che il gesto d’amore per l’uomo lo ha spinto a fare. 

Il suo corpo riempie l’intera opera perché è lui il protagonista, ma un dettaglio importante e affascinante lo nel contatto tra i due soggetti. L'alluce di Prometeo si allinea a quello della statua umana fatta di argilla, rendendola un’estensione di se stesso.

L’arte ha considerato Prometeo come il simbolo del coraggio e dell’amore, rappresentando il meglio dell’uomo, elevandolo al di sopra della sfera materiale con la creatività, il genio, l’ispirazione poetica e la tensione spirituale.

In questo mito viene raccontato il rapporto tra l'umano e il divino: un rapporto fatto di inganno e di fiducia, di furti e di doni, di compassioni e di supplizi e ciò che ci colpisce probabilmente è come già all’epoca, fosse così chiaro l’ambiente contrastante in cui ebbe origine la natura umana, non a caso plasmata da due anime legate e opposte, due fratelli che incarnano, il PENSIERO PREVIDENTE (Prometeo) e il SENNO DEL POI (Epimeteo).

Attraverso Prometeo si può ragionare, in maniera suggestiva sull’inizio dell’umanità sapiente, la quale, attraverso la memoria e lo sviluppo della tecnica dell’agricoltura, inizia per la prima volta a civilizzarsi mettendo da parte qualcosa (il raccolto), adattandosi ai tempi e alle regole della natura, formulando un linguaggio di comunicazione e capendo che l’unione fa la forza (nella caccia), anche se, al contempo, può generare attriti tra i pari.

Stiamo vivendo un particolare momento storico in cui ci sentiamo tutti come Prometeo legati ad una rupe, spenti, angosciati e soprattutto soli, nella continua aspirazione al bene di un mondo abbandonato nell’oscurità dagli dei. 
Questo senso di impotenza, richiede da noi  oggi il “titanico” sacrificio di vedere l’aquila arrivare ogni mattino al nostro fegato. L’inclinazione e l’impulso alla resa a questa paura rapace, è instillata dalla natura “epimeteica”che risiede in ognuno di noi. L’amore  per l’attività eroica intesa anche come volontà, deve essere fatta nascere, lottando pur prevedendo il sacrificio che esso richiede seguendo l’esempio “prometeico”. Queste due forme sono in tutti noi, e a tutti noi sta la possibilità e la scelta di come affrontare questo “supplizio”.

Noi non abbiamo le mani legate ad una colonna dorica nel mezzo di una rupe. Non siamo prigionieri. Siamo protetti, invitati a proteggerci e possiamo allontanare l’aquila utilizzando il magico fuoco della saggezza, che tutti abbiamo dentro. 
Il supplizio è davvero eterno o arriverà la salvezza? La vera salvezza arriverà tramite un compromesso o tramite una sconfitta? 
I miti non danno risposte, ma pongono domande, quel che è certo è che, chi “utilizzerà la torcia” vedrà. Noi umani, grazie a Prometeo, avremo sempre la capacità di scegliere da quale parte stare.



Francesco Fiorentino
a.francescofiorentino@gmail.com

1 commento:

  1. Un bel salto tra mito e storia che riconduce alla Scelta che ora come allora si ripete confidando nella saggezza e nel buon senso.
    Un bellissimo parallelismo, complimenti!

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