lunedì 29 aprile 2019

PICCOLI SEMI DI SPERANZA CONTRO LE PILLOLE DI VELENO DELLA 'NDRANGHETA


RUBRICA DI ATTUALITÀ
"Pensare fuori dalle Righe"



Venerdì scorso presso l’Istituto Santa Caterina da Siena in Paola (Cs), grazie all’invito della Prof.ssa Paola Serranò, ho avuto la possibilità di gustare, ancora una volta, la bellezza della speranza. Preparati dalla lettura del libro di Bruno Palermo dal titolo "Al Posto sbagliato" (libro che racconta l'assassinio di 108 bambini in tutta Italia per mano della 'Ndrangheta), insieme a don Ennio Stamile, referente regionale di Libera in Calabria, e a tanti ragazzi, abbiamo potuto ascoltare le testimonianza dei genitori di Domenico Gabriele, ucciso dalla ‘Ndrangheta “per sbaglio” a soli 11 anni (vedi qui per maggiori notizie: http://vivi.libera.it/storie-891-domenico_gabriele) e di Chiara Maiorano, giovane ragazza di Paola, anch’essa figlia di un uomo, Tonino, ucciso nella cittadina del cosentino perché scambiato per un boss (vedi qui per maggiori notizie: http://amicidilibera.blogspot.com/2018/07/non-uccidiamoli-una-seconda-volta_21.html).
Anche se sono diversi anni che mi occupo di organizzare giornate del genere nei licei, soprattutto in quelli di Cetraro, l’evento avvenuto qualche giorno fa, ha riempito il mio cuore di piccoli “semi di speranza”. Ho visto negli occhi dei ragazzi e nella loro voglia di porre domande, di avere risposte,  un desiderio di riscatto, di rivalsa; la voglia di mettersi in gioco per avere una società migliore. 

Dinanzi alle parola di Giovanni e Francesca Gabriele e di Chiara Maiorano, i quali che semplicità e profondità, hanno mostrato che è possibile percorrere un’altra via, quella della pace e della vita, anche quando la morte ti viene appiccicata addosso con violenza e brutalità, abbiamo percepito tutti quanti un senso di bellezza e speranza che va al di là delle povere parole con le quali potrei provare a descrivervi la giornata. Essi ci hanno mostrato con la loro testimonianza che c'è un'alternativa alla morte, al dolore, e all'ingiustizia. Forse non a caso (chi crede non può accettare il caso come giustificazione della vita) questo incontro è caduto nell'Ottava di Pasqua, giorno solenne nel quale celebriamo l'alternativa di Dio alla morte e all'ingiustizia. 

E allora, oltre al video di La Cnews24, voglio lasciare la parola ad una di quelle tante ragazze che erano presenti. Parole belle, sapienti, intelligenti, quelle di Francesca de Seta. Piccoli semi di speranza dinanzi alle tante pillole di veleno che la ‘Ndrangheta, neanche troppo silenziosamente, costringe ad ingoiare quotidianamente. Semi di speranza che illuminano il cuore, allargano gli orizzonti, fanno tornare il sorriso.


Sono calabrese, e ne sono fiera, ma spesso, troppo spesso, me ne vergogno... La Calabria, quant'è bella, con quel mare così limpido sembra quasi il giardino dell'Eden, ma anche qui c'è un albero con delle mele avvelenate che rovina tutto ciò che c'è di bello e di buono. Per usare una frase di Domenico Modugno, la mia terra è "amara e bella". È come una mela rossa, bella e succulenta che vuoi mordere, ma appena dai il primo morso trovi un piccolo infido verme che rovina quel bel frutto. Il verme qui da noi si chiama Ndrangheta, però non esiste solo in Calabria, ma in tutta Italia, anche se con nomi diversi. Tutti qui sono succubi di essa, alcuni non hanno la forza di dirle "NO" perché impauriti, ma altri la acclamano perché gli conviene. 

Qui ormai per noi giovani, o per tutti quelli che hanno un sogno, non c'è posto, ma se si trattasse solo di questo, forse saremmo già un passo avanti. Quanti morti, quante vite innocenti, quanti che hanno avuto la forza di combatterla, ma sono stati sparati, murati, sciolti nell'acido o morti in strani incidenti solo perché avevano un pensiero diverso e il coraggio di opporsi. 

Molte volte ci dimentichiamo di queste persone che hanno contribuito a rendere questo posto migliore e, buttandole nel dimenticatoio, facciamo si che siano morte invano, quando invece dovremmo essergli grati e fare in modo che continuino a vivere nelle nostre parole e nelle nostre gesta. 


La criminalità organizzata è un cancro che ti logora dall'interno, ci condanna e ci guida con i suoi fili da burattinaio, ti piega al suo volere e ti toglie tutto, non ti fa esistere. Tutti quelli che la sostengono ormai sono persone che non esistono, non pensano, non sono liberi. Tutti noi, anche nel nostro piccolo, dobbiamo ribellarci, dobbiamo essere più forti ed essere uomini e donne che possano essere definiti tali. 

Io, oggi, con questo piccolo e insignificante pensiero, che non dice molto è vero, voglio dare un semplice ma importantissimo messaggio: dire "BASTA", dire di "NO" e unirci per distruggere questo organismo malato, perché: "Io credo che occorra rendersi conto che questa non è una lotta personale tra noi e la mafia. Se si capisse che questo deve essere un impegno straordinario nell'ordinarietà di tutti nei confronti di un fenomeno che è indegno di un paese civile, certamente le cose andrebbero molto meglio" (Giovanni Falcone), e le cose potranno cambiare solo sei noi giovani vogliamo farle cambiare, la voglia  di cambiamento deve partire da noi, infatti "Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo" (Paolo Borsellino).


Don Giuseppe Fazio
gfazio92@gmail.com








martedì 16 aprile 2019

FUOCO CHE DISTRUGGE O PURIFICA?


RUBRICA DI ATTUALITÀ
"Pensare fuori dalle Righe"



Le immagini che sono andate in onda ieri sera hanno colpito il cuore di ciascuno di noi. Infatti, vedere bruciare la cattedrale di Notre Dame, resa nota dal celebre testo di Victor Hugo del 1831, ha un po’ ferito il cuore di ciascuno di noi, come giustamente ha anche detto il Presidente Conte. Quella Cattedrale, infatti, non solo è uno dei simboli della cultura europea, quella feconda, capace di generare bellezza, ma anche un significativo monumento della nostra cristianità nella quale, che piaccia o meno, la nostra Europa affonda le sue radici. 

Mentre quelle immagini scorrevano, rimandandomi al triste giorno dell’11 Settembre 2001 che s’impressero nella mia memoria di bambino, e mentre già si rincorrevano le ipotesi di incendio doloso, di attentato, di fatto premonitore, nel mio cuore sorgeva una riflessione. 

Cosa potrà voler dire questo capolavoro di arte e storia che brucia? Certamente non è un bruciare che produce incenso, ma una densa nube di fumo che tutto avvolge e stritola, finanche la famosa guglia che, crollando, non ha resistito. Senza voler essere apocalittici, a me sembra che questo fuoco somiglia un po’ al cristianesimo che la Nostra Europa vive adesso: apparente, superficiale, di facciata che però è destinato a bruciare e a produrre fumo, senza arrosto. 

Il cristianesimo delle grandi cattedrali, frutto della pietà e della religiosità di un popolo – questo lo dobbiamo ricordare! – sembra ormai svanito sotto le ceneri di grandi incendi che hanno mostrato – è quanto mai evidente, che piaccia o no l’ultima riflessione di Benedetto XVI – una società senza Dio.

Improvvisamente, però, questo evento drammatico ha anche mostrato altre immagini, di un altro fuoco: tanta gente si è radunata dinanzi a quello spettacolo terribile per pregare. È stato come un sussulto poter vedere quella folla che, quasi come richiamata, si rivolgeva alla “Notre Dame”, alla Nostra Signora, Maria Santissima. Con un po’ di commozione questa volta nel mio cuore si è composta un’altra immagine, quella che ci consegna il Libro della Genesi: il Roveto ardente. Un altro fuoco che brucia, ma non consuma. Un fuoco che custodisce la bellezza dell’incontro con Dio, origine e sorgente di ogni altra bellezza, che, a sua volta, rimanda ad un altro fuoco: quello dell’amore di Dio appeso ad una croce che consuma il Figlio, ma non lo annienta, anzi lo glorifica. 

Allora vorrei, attraverso queste poche righe, formulare a tutti voi, che con pazienza e costanza leggete questo blog, i miei più “calorosi” auguri per una Santa Pasqua. 

Vi auguro di poter passare con più profondità dal fuoco dell’apparenza che genera solo fumo e distruzione al fuoco della profondità e della spiritualità che il Padre ci consegna, attraverso il Figlio, nello Spirito Santo. 
Auguro a ciascuno di voi, delle vostre famiglie, che nei vostri cuori bruci, nella notte santissima di Pasqua, la fiamma del cero pasquale che, ancora una volta anche quest’anno, accenderemo nella Solenne Veglia; fiamma che illumina e purifica, fiamma che santifica e custodisce. 

Ammettiamolo: abbiamo bisogno di essere purificati nel profondo per scoprire l’autentico senso della nostra vita che non è un teatro fatto di gesti e di apparenze, ma il bellissimo dramma della relazione con il Padre che mai si stanca di cercarci e, attraverso il Figlio che muore per noi, ci rincorre, ci raggiunge e ci fortifica con il dono dello Spirito Santo, fuoco sempre bello, che sempre rinnova lo straordinario miracolo della creazione.  


Don Giuseppe Fazio
gfazio92@gmail.com





venerdì 12 aprile 2019

BENEDETTO XVI vs FRANCESCO?



RUBRICA DI ATTUALITÀ

"Pensare fuori dalle Righe"




È di ieri il testo di Benedetto XVI che tenta da un lato di ricostruire l’esplosione dello scandalo della pedofilia all’interno della Chiesa, mentre da un altro offre una via di risoluzione che possa andare oltre alla semplice repressione o punizione dei colpevoli. 

Premettendo che questo testo un po’ mi ha sorpreso e anche spiazzato perché forse, in certo senso, viene meno all’iniziale intento del papa emerito di non parlare più, vorrei soffermarmi su alcune reazioni che ho potuto cogliere in queste ore. Peraltro si deve dire che se, come egli stesso dice, si è confrontato con il Segretario di Stato e Papa Francesco, la scelta di pubblicare questo intervento deve essere stata ben ponderata, magari a partire da motivazioni che a noi lettori non possono essere ovviamente (senza fare dietrologie) del tutto chiare. 

I commenti che ho potuto leggere finora (eccetto quelli che ideologicamente osannano Benedetto XVI, quasi contrapponendolo ad un Francesco considerato incapace di parlare) hanno colto tre presunti punti negativi di questo testo: 

  1. La questione del ‘68 come origine del problema della pedofilia nella Chiesa; 
  2. Un attacco al Concilio Vaticano II ed alla sua impostazione teologica;
  3. Uno sgambetto a Francesco. 


Inizierei dall’ultima perché mi sembra quella più facilmente confutabile.
Se ben leggo Papa Francesco è stato menzionato per tre volte nel corso di questa lunga riflessione: 
  1. a.In apertura quando, come accennavo, si afferma che l’idea di intervenire è stata sottoposta all’attenzione del Papa; 
  2. b.Alla fine della seconda parte quando Ratzinger afferma che la scelta fatta da Giovanni Paolo II e da lui stesso sostenuta, di dare la responsabilità sui casi di abusi alla Congregazione per la Dottrina della Fede, si rivelò da un lato necessaria, ma da un altro insufficiente. Per tale ragione, scrive il papa emerito, “papa Francesco ha intrapreso ulteriori riforme”.
  3. c.Alla fine del testo quando, con la sua solita semplicità, mostra tutta la gratitudine verso Francesco affermando che il suo magistero mostra a lui personalmente “che la luce di Dio non è tramontata”. 

Queste tre menzioni spalmate, non so se volutamente, all’inizio, in mezzo e alla fine del testo, mostrano che Benedetto XVI pensa se stesso, e anche i suoi pochissimi interventi, come sostegno ed incoraggiamento al suo successore che per altro non manca mai di ricambiare la stima e l’affetto.

La seconda accusa, pur se a mio avviso grossolana, sembra essere un po’ più sottile. In questo intervento – secondo alcuni – Ratzinger attaccherebbe il Concilio mostrando che la debolezza della teologia morale degli ultimi decenni sarebbe adducibile al periodo conciliare.
Ora … non vorrei essere banale, ma questi tali, quando Joseph Ratzinger con la sua riflessione contribuiva alla realizzazione del Concilio, probabilmente non erano neppure nati. Allora mi verrebbe da consigliare loro di prendere in mano i due corposi volumi dell’opera omnia di Ratzinger in cui sono raccolte oltre 1900 pagine di contributi, riflessioni ed interventi tenuti durante e dopo il Concilio.
In questo testo il papa emerito sta semplicemente dicendo che una certa corrente di teologi, dagli anni sessanta in poi, si schierarono per una teologia morale di stampo “relativista” la quale non riconosceva più un male morale intrinseco. Ovverosia un’azione poteva e doveva essere ritenuta malvagia o buona a partire esclusivamente dalle circostanze in cui questa veniva posta.
Questo non è un pensiero di un anziano teologo inacidito, ma fu il pensiero di Giovanni Paolo II che all’epoca, come menziona il testo in esame, decise di scrivere e pubblicare la Veritatis splendor che, proprio per questo motivo, fu fortemente osteggiata.
Come si può affermare che Benedetto XVI indichi nella teologia del Concilio il crollo della teologia morale, quando egli stesso ha inteso il suo pontificato come prosecuzione del lavoro avviato dal Concilio? Forse toccherebbe andare a rileggere alcuni suoi discorsi tra cui quello, divenuto famoso, alla Curia Romana del 2005 in occasione dei tradizionali auguri di Natale, in cui l’allora Papa sosteneva che del Concilio si può e si deve parlare con un’ermeneutica della riforma, della continuità e del rinnovamento dell’unico soggetto Chiesa.

Di tutte le accuse, la terza (ovvero la prima nell’ordine sopraesposto) è quella più violenta. Il 68 causa della pedofilia? Ma la pedofilia non esisteva anche prima? È assurdo! È ideologico! Ecco lo spirito antimodernista di Benedetto XVI. Queste le voci che si rincorrono a più livelli.
Il testo, però, dice ben altro. Una frase fra tutte credo sia illuminante: 

Il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, da lungo tempo preparato e che è in corso, negli anni ’60, come ho cercato di mostrare, ha conosciuto una radicalità come mai c’era stata prima di allora.

Questa espressione che apre la seconda parte del testo offre una chiave ermeneutica sulla riflessione di Ratzinger sul ‘68. Egli è consapevole che non si può dire che la pedofilia sia frutto del ’68, sarebbe da pazzi. In queste battute egli si limita soltanto a cogliere un dato essenziale: ciò che significò la rivoluzione del ’68 portò ad un approccio alla sessualità certamente non illuminato dalla purezza, dalla trascendenza e dalla bellezza, cioè dai valori cristiani. Questo processo che, egli stesso sostiene iniziato già prima, trova negli anni sessanta una spinta in avanti notevole. Attenzione: questo discorso non vale solo per la società “laica”, ma anche e soprattutto per la Chiesa. Non a caso egli a questo punto del discorso menziona atteggiamenti di alcuni vescovi, di seminaristi e preti. Non si può chiudere gli occhi sull’evento epocale che fu il “fenomeno ‘68” e non solo in ambito morale, ma anche in ambito sociale e politico.

Ora questa analisi che Ratzinger offre non può essere letta a compartimenti stagno come alcuni, in modo tendenzioso, hanno fatto. La terza parte, infatti, rende ragione delle prime due. Il vero problema per Ratzinger è che il modo di intendere l’uomo (e in particolare la morale e la morale sessuale) distaccato da Dio, indipendente, autonomo (che risale in epoca moderna a Nietzsche e ad altri e che, però, è esploso negli anni ’60) ha condotto ad uno smarrimento progressivo dell’autentica comprensione dell’uomo. Così ancora Ratzinger: 

Un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso. Infatti, da dove proviene tutto quello che è? In ogni caso sarebbe privo di un fondamento spirituale. In qualche modo ci sarebbe e basta, e sarebbe privo di qualsiasi fine e di qualsiasi senso. Non vi sarebbero più criteri del bene e del male. Dunque avrebbe valore unicamente ciò che è più forte. Il potere diviene allora l’unico principio. La verità non conta, anzi in realtà non esiste. Solo se le cose hanno un fondamento spirituale, solo se sono volute e pensate - solo se c’è un Dio creatore che è buono e vuole il bene - anche la vita dell’uomo può avere un senso.

Ecco il vero punto … dagli anni sessanta in poi “Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica”. Per tale ragione “la frase «Dio è» diviene davvero una lieta novella, proprio perché è più che conoscenza, perché genera amore ed è amore. Rendere gli uomini nuovamente consapevoli di questo, rappresenta il primo e fondamentale compito che il Signore ci assegna”.

Sarò di parte, ma a me sembra che, nonostante l’inconsueto intervento di Benedetto XVI, si stia perdendo un’altra occasione per riflettere a fondo tirando da un lato e da un altro, a colpi di ideologie, questi due grandi doni che Dio ci ha fatto attraverso le persone di Joseph Ratzinger e Papa Francesco. 


Don Giuseppe Fazio
gfazio92@gmail.com