giovedì 1 marzo 2018

DAI LORO FRUTTI LI RICONOSCERETE

RUBRICA "IL MONDO INTERROGA LA FEDE- LA FEDE INTERROGA IL MONDO"

“Ci domandiamo: Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? In realtà chi sei tu per Non esserlo? Siamo figli di Dio. Il nostro giocare in piccolo, non serve al mondo. […] Siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi. Non solo in alcuni di noi: è in ognuno di noi. E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso. E quando ci liberiamo dalle nostre paure, la nostra presenza automaticamente libera gli altri.” Nelson Mandela, La meditazione

In una società che si vuole sempre più desacralizzata sotto il pretesto di una definizione della libertà piuttosto ingannevole, l’essere umano ha sempre più difficoltà a rapportarsi a qualcosa di più alto e che non sia sé stesso. In mancanza di punti di riferimento e valori solidi e immutabili, egli costruisce grattacieli su sabbie mobili. Non di rado capita infatti di incontrare persone che pur godendo di buona salute, di una bella famiglia e di una realizzazione professionale soddisfacente, essi dicano di vivere una vita insipida, di non riuscire a provare il sapore della gioia, persino di non trovare alcun stimolo per andare avanti. Definiamo con rassegnazione la depressione come “il male del secolo” senza interrogarci come mai la solitudine, la sfiducia, lo sconforto colpiscano sempre di più, anche lì dove apparentemente non dovrebbero esistere i presupposti.
I dibattiti televisivi, le reti sociali, persino le chiacchierate di piazza oppure i momenti in cui si sta insieme come famiglia o comunità, diventano luoghi e occasioni in cui più che confrontarsi per crescere, si cerca di prevalere e di ostentare una qualsiasi superiorità. Ancor di più nei periodi pre e post elettorali, le persone sembra facciano a gara a chi di più tiri fuori il peggio di se stesso. La parola è diventata facile, è come se la stessimo profanando banalizzandola e caricandola di un odio non giustificato o di altri atteggiamenti di avversione. Essa non passa più attraverso il cuore, ma diventa voce degli istinti non controllati e che di certo non ci fanno onore. Le reti sociali ad esempio diventano specchio di questo mutamento nell’essere umano; “homo homini lupus”, come Plauto costatava al suo tempo, l’uomo che diventa lupo per l’altro uomo. Abbiamo perso la delicatezza di risolvere i conflitti personali lontano dagli sguardi altrui; si gode nel diffamare e nello squalificare pubblicamente il prossimo, qualche istituzione, la Chiesa stessa. E tutto ciò è altamente gratificante, tanto che qualcuno non riesce nemmeno a nascondere la soddisfazione che prova nel farlo. Ed è ancor più triste quando a sventolare con orgoglio tali atteggiamenti siano i cristiani stessi; non è di sicuro ciò che farebbe il Gesù che dicono di seguire: sbattere con rancore gli errori e le mancanze altrui sui muri dell’Agorà invece di soffrire e pregare per chi sbaglia, cercando di correggerlo in privato se si è capaci… E’ così che perdiamo l’umanità e la dignità, diventando sempre più grezzi e sempre meno capaci di amare e di costruire. Parlando di Cristo, Kierkegaard annotava: “(Egli) non ritenne mai un tetto tanto misero da impedirgli di entrare con gioia, mai un uomo tanto insignificante da non voler collocare la sua dimora nel suo cuore.” Quante volte noi, che pretendiamo di seguirlo, storciamo il naso di fronte alle richieste di accoglienza e di integrazione di coloro che riteniamo offensivo considerarli pari. Dai nostri frutti ci riconosceranno…
Senza un’unità di misura più alta, diventiamo la nostra propria unità di misura: così le nostre delusioni sono le più grandi, i nostri dolori i più invisibili, noi quelli sempre meno compresi o apprezzati nei nostri ambienti. Ripiegati su noi stessi ci carichiamo di ansie, frustrazioni, paure, anche di rabbia che poi liberiamo egoisticamente nei modi meno opportuni, ferendo anche coloro che ci vogliono bene. San Francesco offre una soluzione sempre valida: il ritorno alle origini, alla nostra vera essenza, guardando verso Colui che ci ha creati, guardando a come ci ha creati, riscoprendoci figli amati a prescindere dai nostri limiti, dalle nostre mancanze e dalle nostre clamorose cadute. Si tratta di una soluzione propulsatrice, che ci spinge ad andare oltre, a uscire da noi stessi per andare incontro alle necessità altrui, per cercare di curare le ferite altrui; è la soluzione che ci fa vedere chiaro come il nostro microcosmo sia contenuto in qualcosa di infinitamente più grande. C’è Qualcuno che più di due mila anni addietro ha pienamente incarnato nella Sua natura i disaggi che quotidianamente sperimentiamo e ci ha messo in mano gli strumenti per non lasciarci schiacciare dai loro pesi. Ci ha insegnato che la vita, ogni vita, abbia un valore che va oltre quel disperato provare a sopravvivere per arrivare “degnamente” alla fine. Essa va assunta attimo per attimo, ma questo non può avvenire se continuiamo a stare lì a difendere con veemenza i nostri confini, colpa di un irrazionale spirito di conservazione per paura di sprecarci. Il sapore, il senso di questa vita lo si inizia a percepire distintamente proprio quando uno smette di fare calcoli a tavolino: nell’intento di individuare fino a dove può arrivare in sicurezza, o dove ci possa essere un guadagno sicuro che ripaghi ogni passo che uno muove. La vita la si vive veramente proprio quando non si ha più paura di sprecarsi.  
“Dai loro frutti li riconoscerete”, dice Gesù. Ciò che siamo in mezzo agli altri è riflesso di ciò che siamo dentro. Il giudizio va contro l’amore; così chi aggredisce e inveisce contro il prossimo va contro l’amore. Siamo chiamati ad essere sale e luce in ogni ambiente della nostra quotidianità, mentre tante volte ne siamo impediti dai conflitti che alimentiamo, dall’orgoglio che non sappiamo spegnere, dall’immagine sociale con la quale per tempo ci siamo identificati e alla quale ci è difficile rinunciare, dalla misericordia che vogliamo per noi e che ci costa un immensa fatica donarla. Quanta energia, non solo dispersa inutilmente, ma che tanto ci allontana da ciò che realmente siamo, dal senso di pienezza che già qui potremmo pregustare. Quando guardando verso Dio cominceremo a sentire frantumi della Sua grandezza sparsi dentro di noi, creati a Sua immagine e somiglianza, inevitabilmente comprenderemo che questo vale anche per gli altri: è così che si inizia a dare fiducia al prossimo, a guardarlo con occhi nuovi che non cercano di cogliere sempre l’errore, ma piuttosto il bene che in egli abita. Perché frantumi di bene esistono in ognuno di noi, non perché irragionevolmente ci ostiniamo a vederli, ma perché siamo tutti figli dello stesso Padre, riflessi dello stesso amore e della stessa anima che ci contiene. 

“Il nostro giocare in piccolo non serve al mondo” scriveva Mandela, e di sicuro non serve nemmeno a noi stessi. Siamo stati creati per qualcosa di più grande, che per le piccole ed inutili guerre che combattiamo con tenacia ogni giorno. Questo tempo santo che stiamo vivendo è un momento propizio per meditare su questa nostra dignità della quale spesso ci dimentichiamo. Diceva San Giovanni Paolo II che “nessuna privazione o sofferenza potrà mai rimuovere questa dignità, perché noi siamo sempre preziosi agli occhi del Signore.”


Andreea Chiriches Leone







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