martedì 21 maggio 2019

LEGALIZZARE LE DROGHE: SÌ O NO?


RUBRICA DI OPINIONE

"Agorà: piazza di discussione"



Dal 1° giugno 2018 l’Italia ospita un nuovo governo, capeggiato dall’avvocato Giuseppe Conte affiancato dai vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini. I temi riportati nel famoso contratto del “governo del cambiamento” sono numerosi, ed è di pochi giorni fa l’argomento che suscita di nuovo mal di pancia all’interno delle mura di Palazzo Chigi: legalizzare le sostanze psicoattive leggere, tra queste spicca la marijuana. 
Prima di soffermarci sulla donna tricolore, prendiamo il binocolo e osserviamo oltre lo stretto di Gibilterra, regolandolo su uno dei Paesi che mi ha suscitato più interesse: Colorado, USA; l’osservazione è molto importante, e porgere un occhio di riguardo verso coloro che hanno già confermato determinate riforme può essere istruttivo e di conseguenza fruttuoso. 
Lo Stato del Colorado fu il primo ad elaborare un modello di distribuzione della cannabis medica (2009) per poi sfociare nella legalizzazione per un uso adulto nel 2014; attualmente si possono acquistare dosi prestabilite di marijuana in negozi appositi, con porte aperte per i consumatori dai 21 anni in su. Probabilmente vi starete chiedendo “vabbè, ma sai quante gente riesce ad ottenerla in modo illegale?”, ecco, la verità è che 3/4 della richiesta viene soddisfatta in modo legale da parte dello Stato, e che meno del 20% avviene in modo “proibito”. Sia chiaro, quando si ci imbatte in questi grandi progetti è automatico trovarsi dinnanzi al furbetto malavitoso di turno, ma va considerato anche il lato positivo, ovvero i miliardi che si riescono a guadagnare e dunque il forte colpo dato alla criminalità organizzata. 
L’Italia, infatti, se decidesse di legalizzare le droghe leggere – basandoci sugli incassi del Colorado – avrebbe un introito di circa 10 miliardidi europer uso popolare, 4 miliardiper uso medico, 3.000 tonnellatedi infiorescenzee annesso a ciò 300.000 nuovi posti di lavoro. Ma il discorso non finisce qui, andiamo a vedere cosa succederebbe alle associazioni a delinquere: la mafia certamente non verrà abbattuta legalizzando uno spinello, ma sicuramente subirà un forte colpo allo stomaco. Non penso ci sia qualcuno che preferisca correre il rischio di essere multato, di subirsi ore in caserma, di incontrare lo spacciatore di fiducia, facendo attenzione a non essere visto, quando può benissimo recarsi in negozi che offrono la stessa sostanza (e anche migliore dal punto di vista qualitativo) ma legalmente. Avrete capito che mi piace parlare con dati alla mano, poiché si trattano di affermazioni concrete che sfuggono a loro volta da locuzioni spicciole quali “non si può patteggiare con la mafia”, “bisognerebbe debellare le droghe anziché produrle e lucrarci”, e infatti interessantissima è la ricerca condotta dall’Università “Magna Grecia” di Catanzaro. Secondo i ricercatori all’interno del progetto “Light cannabis and organized crime: Evidence from (unintended) liberalization in Italy”,si afferma che “con l’apertura dei cannabis shop è avvenuta una riduzione del 14% dei sequestri di marijuana illegale per punto vendita e a una riduzione dell'8% della disponibilità di hashish. I calcoli su tutte e 106 le province italiane prese in esame suggeriscono che i ricavi perduti dalle organizzazioni criminali siano in una forchetta stimata tra i 90 e 170 milioni di euro all'anno. Si stima inoltre che la vendita di cannabis light abbia portato a un calo di circa il 3% degli arresti per reati di spaccio".
Arrivati sino a questo punto dell’articolo, avrete intuito che legalizzare le droghe leggere non è una cosa così tanto malvagia, anzi, può rilevarsi addirittura utilissima in campo medico (basti pensare che nei malati di Parkinson favorisce la riduzione del tremore a riposo, attenua la bradicinesia e discinesia indotte dal Levodopa, stimola l'appetito e concilia il sonno. Tuttavia non sono un medico, pertanto mi limito a ciò e lascio spazio agli esperti). 
Purtroppo, come spesso accade, questa storia sfocia in mere campagne ideologiche che costruiscono un muro di cemento armato nel cervello di coloro che le portano avanti, un muro che si pone tra il sano e cosciente progresso e un mondo fatto di pregiudizi e uomini stereotipati. Da una parte abbiamo i conservatori radicali che sostengono le loro tesi con la pericolosità della cannabis nel tempo, dall’altra gli antiproibizionisti che tirano in ballo le vittime causate da sostanze già legali quali tabacco e alcool; io ne aggiungerei una terza “parte”, quella in cui risiedono coloro che notano questi dibattiti ma che usano la carta dell’indifferenza, senza fare nulla di concreto, né per legalizzare – in questo caso – né per chiudere questo discorso una volta per tutte, senza tornare periodicamente nella pozza del ridicolo riprendendo questo tema e giocandoci su per racimolare consensi. 
Proprio a riguardo di tutto ciò, ho deciso di intervistare qualcuno che del settore non ne sa molto, ma di più: Renato Caforio, presidente del centro di solidarietà “Il Delfino”,onlus operante su Cosenza con alle spalle tre decennidi attività. 

Ultimamente nel nostro governo si sta discutendo se legalizzare o meno le droghe leggere; in base alla sua esperienza appresa vivendo i vari casi nella comunità, crede che legalizzando le droghe leggere si possa evitare uno stato di dipendenza in chi ne fa uso e, soprattutto, dare una batosta alla criminalità organizzata? Visto che le suddette sostanze verrebbero distribuite in determinate quantità e sottoposte a numerosi controlli.

La nostra posizione è molto semplice e riteniamo ciò: tutte quelle forme di dipendenza già legali (alcool, tabacco, gioco d’azzardo) procurano danni molto consistenti nella popolazione, in particolare quella giovanile, ma nonostante questo sicuramente costringono la criminalità organizzata a rinunciare a forti guadagni... Stesso varrebbe per le droghe. Da una parte, però, c’è il discorso che legalizzando le droghe leggere si colpiscano molto le mafie, ma dall’altra ci sono gli effetti sulla popolazione in generale. Noi non abbiamo una posizione ideologica sul legalizzare o meno, anche perché ci sono già – per esempio - negozietti che vendono droga legalizzata (cannabis con un principio attivo di thc irrisorio), ma la questione centrale è: Come facciamo invece ad aiutare i giovani a tenersi lontano da queste forme di dipendenza? Perché in questo modo (legalizzando) non viene assolutamente affrontato ciò, anzi, si favorisce l’uso. Per cui la posizione qual è? Siccome il mondo va in una certa direzione (giovani che fanno uso di droghe per sballo, per seguire veri e propri stili di vita ecc), almeno riduciamo il danno facendo il discorso della legalizzazione; quest’ultima lascia perplessi soprattutto noi che lavoriamo in questo settore, però se qualcuno decide di fare questo ovviamente si assume anche la responsabilità delle conseguenze. Quello che noi sappiamo è che ci sono delle problematiche dovute al consumo delle droghe cosiddette leggere (leggere fino ad un certo punto, perché ormai si sa che su alcuni soggetti si possono scatenare addirittura patologie di natura psichiatrica), ma non ci sono progetti, programmi, iniziative per contrastarne l’uso e ciò è evidente. Quindi noi non facciamo battaglie ideologiche, ma constatiamo che sul tema delle droghe e delle dipendenze in generale lo Stato abbia fortemente abbassato la guardia, depotenziando tutti i servizi sia di prevenzione che di recupero e accoglienza. 


Tratterò la tematica del proibizionismo annessa alle droghe. Lei pensa che proibendo l'uso di una di queste sostanze (esempio la marijuana), un individuo sia ancora più disposto ad ottenerla proprio perché proibita?

Sicuramente ciò è vero, tanto più una cosa è proibita tanto più attrae a livello psicologico. C’è da dire anche che tutte quelle sostanze legali che oggi creano dipendenza mietono molte più vittime e danni di quanto non facciano le droghe così dette illegali (come cannabis). Dai ragazzini di 12 al vecchietto di 80 anni c’è una corsa alle macchinette, al tabacco, tutte quelle cose legali dalle quali lo stato guadagna pure molto.


Uno dei recenti decreti di questo governo vuole riproporre pene da due a sei anni di reclusione per gli spacciatori e, in determinati casi, per i consumatori; ciò richiama la legge Fini-Giovanardi. Quest'ultima, però, non solo non ha diminuito l'uso di droghe, ma è anche stata considerata la causa principale del sovraffollamento delle carceri. Le forze dell'ordine, in poche parole, dovranno seguire anche i cittadini innocui che usano droghe leggere, dunque l’obiettivo del Governo sembra quello di farsi vedere punitivo più che rivolto a risolvere il problema alla base. Lei è d'accordo su una possibile incarcerazione di chi viene a contatto con droghe leggere, piuttosto che sviluppare il settore del recupero nei confronti di chi soffre di una vera e propria dipendenza dalle sostanze stupefacenti?

Salvo casi con reati molto gravi (legati alle mafie o all’abuso di sostanze), in base alla nostra esperienza possiamo affermare che il carcere non sia assolutamente rieducativo su questo punto di vista. Piuttosto, abbiamo osservato che alcune persone tossicodipendenti che hanno commesso piccoli reati, possono usufruire di percorsi riabilitativi o lavori socialmente utili e ciò funziona con buone opportunità per scontare pene e stare in comunità. Quanto a coloro che magari vengono fermati con piccole dosi, per uso personale, che debbano finire in carcere non è assolutamente plausibile; se qualcuno viene fermato con una modica quantità, al massimo può entrare in questi percorsi, invece che finire in galera andando a peggiorare anche la propria condizione.  


Ora sta a voi prendere una decisione e una posizione, possibilmente stabile: cosa ne pensate di quanto scritto? Fatecelo sapere nei commenti!


Aldo Maria Cupello
aldocupello6@gmail.com

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