venerdì 20 marzo 2020

LA VITA DOPO IL CORONAVIRUS?


 RUBRICA DI OPINIONE


"Agorà: Piazza di discussione"



Prendendo visione del video “10 cose che non saranno più uguali – Il racconto di Stefano Massini”, ho riflettuto molto sulla pandemia COVID-19, analizzando i dieci punti esposti dall’intellettuale in onda su La7, nel programma di Corrado Formigli. Si evidenzia come una giovane vita, quella di Alessandro, 30 giorni dalla sua nascita, sia protagonista di un futuro probabilmente diverso dal passato che abbiamo vissuto tutti noi prima del mese di marzo. Difatti, è cambiato tutto. 
Alessandro, con molta probabilità, potrebbe vivere dei giorni antitetici alle “cattive abitudini” che abbiamo intrapreso per via della tecnologia e della mala politica. Nell’Italia di oggi, 20 marzo 2020, le strade sono deserte (o quantomeno dovrebbero esserlo, visto i numero trasgressori al Decreto Presidenziale), i bar hanno le saracinesche abbassate, nei campi sportivi non riecheggiano più i fischietti degli allenatori furiosi, nel lungomare della mia città è presente solo lo iodio marino, nella piazza solamente il suono dell’acqua che scorre dalla fontana centrale. 
Tutto si è fermato, la ciclicità di cui parla Massini è stata interrotta da un nemico invisibile. Di conseguenza, non solo la città è triste, ma anche il volto delle persone, il quale si nasconde dietro un ipotetico slogan di rinascita “#andràtuttobene”. Eh già, ipotetico, perché la situazione sembra peggiorare di giorno in giorno, quelle persone che si dimostrano felici e pimpanti sui social, dentro di loro, vorrebbero semplicemente ritornale all’ideale comune di “normalità”. Una “normalità” che, sottolinea lo scrittore su La7, è stata sottomessa all’evoluzione informatica che, troppo frequentemente, ci ha tolto ciò che vorremmo esattamente in questo momento. Gli amici. Le fidanzate. Le mogli che, per lavoro e questioni di sicurezza, abbiamo lasciato sole in casa con i nostri figli, mentre noi siamo dall’altra parte della penisola italica. Ci manca essere umani, ci manca il rapporto sociale, quest’ultimo sostituito – in tempi meno sospetti – da uno schermo, da Netflix piuttosto che una serata al cinema con le persone che più adoriamo, da pacchi di spesa ordinati su Amazon piuttosto che una mezz’oretta trascorsa nel supermercato vicino casa, da giornali e-book che ci arrivano via mail invece di sentire la “puzza” della stampa in edicola. 
Eppure, questo nemico invisibile, ci fa rivolere questo, anche ciò che – per pigrizia – rifiutavamo. Ora più che mai vogliamo andare a cena fuori, vorremmo sentirla eccome quella puzza di libri e giornali, vorremmo, semplicemente che tutto finisse. Anche la suddivisione marxista delle classi sociali è venuta a mancare e questa, d’altronde, non è un problema poi così grave. 
Il “Nuovo Coronavirus”, come lo chiamano i mass media, ha inginocchiato chiunque. Il potente ex Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è rifugiato a Nizza, il giocatore della Juventus Gonzalo Higuain è fuggito come un topo in Argentina. Altri vip e persone influenti, però, sono state colpite indipendentemente dalla villa scelta all’estero, in cui autoesiliarsi. Essì, come topi, fuggiamo come topi. Abbiamo paura, tutti, indipendentemente dal nostro conto corrente, perché la salute individuale non conosce carte di credito; se devi morire per una malattia, morirai, non conta l’ospedale di lusso o i medici pluripremiati che ti curano. Ed è così, che l’uomo del ventunesimo secolo, abituato alla comodità, alla ciclicità, vede questa interrompersi; si sente inerme. Non possiamo fare nient’altro che stare a casa. E sentite un po’, perfino la politica si è mobilitata più del solito. I nostri ministri sembrano essere più attenti alla situazione ma sempre perché, giustamente, anche loro tengono alla propria pellaccia e a quella dei loro familiari e amici, che tanto si favorivano. Perché questo virus, difatti, non favorisce nessuno. 
Come accade in queste situazioni, però, la paura crea virtù, unione. Nel dopoguerra le case vennero rase al suolo, le famiglie anche. I bambini e i ragazzi vivevano, inevitabilmente, randagi per le strade deserte, le ragazze erano costrette a prostituirsi ai soldati americani per una fetta di pane in più. Ognuno aveva perso i propri cari sotto il peso delle macerie cadute per mano di bombe mirate, o tra le trincee di confine. Oggi non c’è lo “ziiip” onomatopeico che leggiamo nei fumetti, per descrivere il suono dei proiettili, non ci svegliamo con le esplosioni, non vediamo sangue. Vediamo pianti e sconforto, i quali erano presenti anche nei momenti in precedenza descritti ma, come in quelli, è presente un popolo che ha voglia di rinascere. Un popolo che grazie a chi sta a casa, a chi pattuglia le strade, a chi corre spingendo una barella nei corridoi di ospedale, grazie a camionisti e dipendenti di supermercato, ce la farà. Siamo spesso cocciuti e testardi, noi italiani, ma di fronte alle catastrofi riusciamo ad uscire a testa alta, sempre. Ed anche in questa emergenza, ne usciremo con una grande lezione politica, sociale ed individuale. Non a caso siamo la nazione per eccellenza del Rinascimento, e noi, gli italiani del marzo 2020, vogliono rinascere proprio da zero.


Aldo Maria Cupello
 aldocupello6@gmail.com





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