domenica 18 febbraio 2018

NON SIAMO FELICI PERCHÉ NON SAPPIAMO RINUNCIARE

RUBRICA DI ATTUALITÀ: PENSARE FUORI DALLE RIGHE



Lo scorso 11 Febbraio, come ben sappiamo, è stato il quinto anniversario dello straordinario, quanto rivoluzionario, gesto delle dimissioni di Benedetto XVI.
Un gesto che probabilmente non è stato ben compreso né ad intra, né ad extra della Chiesa; men che meno penso io di averlo compreso a fondo.

Tuttavia vorrei condividere con voi una piccola riflessione. In questi cinque anni si è parlato di dimissioni, di “abbandono della croce”, di fuga, ecc … vorrei però, a partire da quanto detto dal papa stesso in quel famoso concistoro, utilizzare una precisa parola: Rinuncia. Il papa nel suo testo, facilmente reperibile, parla di rinuncia. Perché?

Le sue forze erano venute meno, i problemi da gestire erano grossi e molteplici ed egli si sentiva profondamente inadatto a portare avanti questo ministero. Dinnanzi a lui c’erano due possibilità: andare avanti perdendo sempre più le capacità di adempiere al suo servizio oppure rinunciare per lasciare spazio agli altri, certo pur compiendo un atto “grave”(cito ancora termini da lui usati). Che fare?

Un uomo qualunque, uno come me, e come tanti altri di voi, avrebbe continuato (si prega di non fare il paragone con il suo predecessore: erano tempi e situazioni diverse), ma lui, da uomo di grande santità e umiltà, lui no. Ha rinunciato.

Sì, ha rinunciato. Quanto ci fa schifo questa parola. Alla rinuncia noi associamo la codardia, la viltà, e di conseguenza anche l’egoismo. In realtà la rinuncia, almeno un certo tipo di rinuncia, è segno di grande maturità umana e spirituale.

Spesso ci capita di non essere felici. Di fare tanti sforzi per tutti e di ritrovarci senza niente, senza nessuno dei risultati sperati. Dinnanzi a questo fallimento? Stiamo sempre lì a moltiplicare gli sforzi oppure cadiamo nel vortice drammatico della depressione. Non siamo capaci di rinunciare. A cosa? Al nostro egoismo, alla nostra apparenza, al nostro dirci che infondo siamo indistruttibili.

Non siamo capaci di fare un passo indietro, di chiedere scusa a quelle persone che si è ferite, di rimettere un impegno nelle mani di un altro che magari ci può aiutare o forse felicemente sostituire.

Siamo tristemente abituati alla fuga dal problema (aborto, divorzio, eutanasia, ne sono prova eclatante), oppure, all’eccesso opposto, siamo testardamente convinti che ce la faremo (accanimento terapeutico, rifiuto della realtà della morte o della sofferenza, ecc..).

Dovremmo forse imparare l’arte della “rinuncia” che non è un gettare la spugna, ma il riconoscimento del proprio limite che ci apre all’altro. Esatto. Il segreto della felicità sta proprio in questa apertura all’altro. Quante coppie, amicizie, rapporti falliscono perché manca questa importante capacità svuotamento.

Allora il gesto di Benedetto XVI è stato davvero un gesto di grande profezia. Si capisce bene perché egli più volte ha dichiarato di essere ora sereno. Non, come i cattivi hanno insinuato, perché ora fa la bella vita, ma perché ha amato fino infondo la Chiesa, ad essa, e a Cristo, ha aperto tutto il suo cuore, consegnando, con straordinaria umiltà, anche i suoi limiti. Con tale gesto ci ha insegnato che il segreto della felicità, ancorata in Dio, si trova proprio nella capacità di mettere da parte il proprio “io”, forse correndo il rischio di sentirsi dire che si è deboli, falliti, incapaci di svolgere ciò per il quale si era stati chiamati. Ma a chi ha un cuore del genere non importa ciò che gli altri dicono perché non vive nel regno dell’apparenza, ma dell’essenza, cioè di ciò che realmente conta.

Sono passati già cinque anni e la storia ha già dato ampiamente ragione al papa rinunciatario. Il suo mettersi da parte, continuando a lavorare rimanendo “nel recinto di Pietro”, ha permesso alla Chiesa di prendere nuove forze, di avere un nuovo slancio, anche grazie al suo successore, che ha davvero compreso a fondo il gesto di Benedetto XVI.


Forse fare un po’ nostro questo senso di “rinuncia” ci aiuterebbe ad essere figli migliori, genitori migliori, amici migliori. Migliori non perché invincibili, bensì perché autentici. Autentici ed umili nelle nostre fragilità, come in tutte quelle belle capacità che ciascuno custodisce nel proprio cuore.




Nessun commento:

Posta un commento