mercoledì 11 dicembre 2019

NEGLI AFFETTI? COME UNA LUMACA

RUBRICA DI ATTUALITÀ


"Pensare fuori dalle Righe"






Nella mia memoria di bambino è rimasto impresso, in modo indelebile, il mio primo incontro con una lumaca. Ricordo che vidi questo piccolo guscio del quale mia madre mi disse che custodiva un altrettanto piccolo animale.
Ero curioso, volevo che uscisse fuori. Ne giorni seguenti resi difficile la vita a molte lumache (intorno a casa se ne trovavano diverse). Le scuotevo, le agitavo, qualcuna la prendevo a calci, ma niente … queste lumache non si decidevano a venir fuori. Mute, senza difendersi, rimanevano soggette alle mie angherie.
Un giorno mi ricordo che ne raccolsi due o tre su un pezzo di polistirolo rimediato nel laboratorio di mio padre e, in preda alla “disperazione”, le misi sotto la fontana. Fu incredibile: dopo pochi istanti, con mia grande sorpresa e forse con non pochi sensi di colpa di chi, per scopo personale, aveva costretto quei piccoli esseri viventi ad abbandonare il loro guscio allagato, le lumache iniziarono a venir fuori dalle loro abitazioni.
In preda all’entusiasmo subito pensai di prendere in mano una delle povere malcapitate per osservarla da vicino. Non feci neppure in tempo ad avvicinarmi che la poveretta si ritirò nuovamente dentro la sua umida casa. 
Provai di nuovo con l’acqua, ma niente. Aspettai qualche minuto ed ecco che timidamente iniziarono a riaffacciarsi. Provai di nuovo ad avvicinarmi, ma il risultato fu il medesimo: un ritirata così veloce da poter smentire la proverbiale lentezza delle lumache. Questo durò diverso tempo. Mi accorsi che più la lumaca era spaventata, più tempo impiegava ad uscire fuori. Ogni qual volta batteva la ritirata il tempo di attesa si prolungava, a volte così tanto che poi mi stancavo abbandonando la lumaca (non posso giurare di non averne ucciso anche qualcuna in preda alla rabbia di quei rifiuti!).

Questo piccolo ricordo mi sembra che dica bene la verità del nostro modo di vivere gli affetti. Di fronte agli altri siamo un po’ tutti nella condizione di queste lumache: c’è chi è più intraprendente, chi meno, ma tutti usciamo allo scoperto soltanto quando ci sentiamo a nostro agio. Quando incontriamo una persona nuova stiamo nel guscio, impariamo a capire se ci si può fidare e, se questa si avvicina troppo, subito rientriamo dentro per paura. A volte capita che, fidandoci, qualcuno ci scuota un po’ di più, ci ferisca, ci faccia del male e allora rientriamo in quel guscio e per uscirne fuori ci vuole sempre di più, perché la paura di essere maltrattati è tanta.

Ammettiamolo: come ci dà fastidio quando gli altri, fossero anche persone a noi care, pretendono che noi usciamo allo scoperto seguendo le loro regole. 
Altre volte ci troviamo nella condizione di chi, spazientito, calpesta, offende, giudica, maltratta. Con quale risultato? Quella lumaca, pur senza parlare o difendersi, non uscirà mai fuori.

In fondo le lumache ci insegnano, con la loro timidezza, il senso del rispetto per gli altri, per i loro tempi, spesso troppo lenti.

Negli affetti, sì, siamo, senza colpa, come le lumache. Si tratta di accettare questa nostra realtà approcciandoci agli altri con il rispetto di chi deve comprendere che tutti siamo felicemente diversi. 

E allora l’arte dell’attesa (tendere verso), che caratterizza il tempo liturgico dell’Avvento che stiamo vivendo, s’incrocia con l’arte dell’aspettare (guardare verso). Dobbiamo tendere verso i gusci degli altri, ma poggiando – in modo rispettoso – gli occhi su d’essi e non su come vorremmo che fossero. Tale atteggiamento ci salverà dal calpestare il guscio altrui e ci restituirà, se saremo capaci di pazientare (soffrire), quello stupore soddisfacente di chi finalmente vedrà lentamente l’altro uscire da se stesso per venirgli incontro. 



Don Giuseppe Fazio
Gfazio92@gmail.com







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