mercoledì 23 maggio 2018

RAGAZZI, NON SPRECATE LA VOSTRA VITA

Rubrica di Attualità: pensare fuori dalle righe.



È il 23 Maggio, giorno dell’anniversario della strage di Capaci. Sono appena uscito dalla Basilica di san Pietro nella quale ho partecipato alla messa con tutti i vescovi italiani riuniti per i lavori annuali della C.E.I. 
Decido di rientrare a casa: i libri sulla scrivania mi aspettano. Pochi minuti e sono all’altezza di Largo Argentina: in teatro c’è la presentazione del libro “a mano disarmata” di Federica Angeli. Mi fermo solo mezz’oretta e torno a lavorare – mi dico, mentre varco la soglia d’ingresso del teatro. L’evento è già iniziato e il teatro, benché capiente, è gremito di ragazzi, provenienti da diversi licei di Roma. Così, quasi controvoglia, riesco a trovare un posto in uno dei palchi al primo piano. 
Mi sento tanto fuori luogo: intorno a me tutti liceali. Tra le chiacchiere e gli scherzi dei ragazzi – attento, ma un po’ infastidito – seguo lo svolgersi della manifestazione fin quando un ragazzo non esordisce così: “Ma questa (Federica) è una pazza: mettere a repentaglio così la vita dei suoi figli”. 
Quelle parole – pronunciate con tanta sicurezza- son state per me quasi simili a due sberle. Ma come? Non si rende conto questo ragazzo che se magari tutti avessero il coraggio di fare il loro dovere Federica, come i suoi figli e suo marito, ora non sarebbero in pericolo?
Senza pensare lo guardo e gli dico: “Beh certo … perché sarebbe stato più giusto starsene a guardare e consegnare ai suoi figli un futuro da schiavi?”. 
È un botta e risposta veloce ed intenso quello che segue tra me e lui a tal punto che, senza nemmeno accorgermene, i restanti ragazzi si avvicinano ad ascoltare. Non me lo sarei mai aspettato, ma quel che ne è venuto fuori è stato un confronto davvero interessante. 
Le domande e le considerazione di Gabriele – così si chiama – non le ho disprezzate. Inizialmente – lo ammetto – mi hanno infastidito, ma poi mi son detto: che colpa ne ha? Vive, come ciascuno di noi, immerso in un mondo che continuamente ci dice che è meglio farsi i fatti propri, guardare al proprio orticello e tirare avanti. Sono poche le persone che si soffermano con i ragazzi – e questo lo ricordo bene fin dai tempi, non troppo lontani, in cui io sedevo tra i banchi del liceo – per spiegare loro che ci sono altre alternative, altre possibilità. 
A Gabriele, come ai suoi amici, ho provato a spiegare che la cosa strana non è che Federica abbia denunciato (dovrebbe essere la normalità!), ma che, in un paese democratico e civile, chi denuncia il malaffare deve proteggersi, manco fosse il peggiore dei criminali. Non sono loro che devono cambiare per evitare di lasciarci la pelle, ma la società, il nostro modo di pensare e di pensare che tanto non cambierà mai niente. A questi ragazzi ho raccontato la mia esperienza in carcere, come quella con tanti miei corregionali che nella mafia ci sono nati e che ora provano a ribellarsi, a scegliere un futuro bello perché libero da ogni compromesso. L’ho fatto nel tentativo di far capire loro che è possibile cambiare e che il cambiamento, del quale i mafiosi hanno paura tremenda, è nelle nostre mani, nei nostri cuori. 
Sono state tante le loro domande che si sono susseguite una dopo l’altra; nemmeno l’inserviente che ci ha rimproverato perché disturbavamo li ha fermati: Ma ne vale la pena? E se poi si muore? Tu non hai paura? Ma chi te lo fa fare? Un prete poi … ma come ti è venuta questa cosa? A queste domande ho provato a rispondere dicendo che per me la verità non è solo un valore, ma una persona, Gesù Cristo, che mi ama e mi ha promesso una seconda vita, per la quale vale la pena di giocarsi questa esistenza. Sì, perché la vita eterna non è un’altra vita, ma questa che diventa Altra perché pienamente realizzata! Uno di loro a questo punto scherza: “Daje abbiamo un’altra vita!”
Davvero impressionante – penso mentre sorrido guardandolo - il silenzio e l’attenzione con la quale mi hanno ascoltato; segno evidente questo che quella di Gabriele non era presunzione, arroganza o altro, bensì solo l’esternazione di un suo pensiero che aveva il diritto di esprimere.
Non so se ho convinto Gabriele e i suoi amici sull’importanza del perseguire la verità a qualsiasi costo; so solo che nei loro occhi ho letto quello che si legge negli occhi di un bambino al quale si è appena finito di raccontare una bellissima favola: “Magari avesse ragione lui … magari questo fosse tutto vero!” 
Forse mi sbaglio, forse no. Forse non ho lasciato niente a questi ragazzi, ma loro a me una cosa l’hanno lasciata; una domanda che mi ha anche ferito: “Ma perché con questi ragazzi nessuno parla?” È una domanda che spero di portarmi nel cuore per tutti i giorni del mio ministero. 
Abbiamo parlato, forse, per quasi un’ora (addio studio!) e la manifestazione è praticamente terminata. Ci alziamo in piedi, mi salutano uno per uno sorridenti. Stringo le loro mani mentre mi dicono i loro nomi (chiedo scusa per avrerli dimenticati, ma la mia memoria è pessima!). “Grazie a voi – rispondo – e mi raccomando: Ragazzi, non sprecate la vostra vita!”
Mentre sono di rientro in Collegio penso al lavoro che avrei dovuto fare quella mattina e sorrido: ne è valsa la pena!
Probabilmente questi ragazzi non leggeranno mai queste parole, forse sì, ma vorrei dire a loro e quanti leggono una cosa che questa mattina mi è sfuggita: “Non smettete mai di fare domande, di dire quello che pensate, anche se è controcorrente, anche se è una cosa sbagliata. Non smettete di farlo, ma abbiate anche l’umiltà di accogliere ciò che vi viene detto dall’altro. Poi riflettete e tiratene le somme”. 
Grazie di cuore Gabriele. Grazie a te ed ai tuoi amici. Al vostro liceo quest’anno è stato affidato il “Codice penale” appartenuto a Giovanni Falcone: custoditelo gelosamente come segno di memoria e d’impegno. Quando lo guarderete, lo toccherete, lo sfoglierete, pensate che Falcone non era un eroe, ma un semplice uomo che ha fatto il suo dovere. Pensate questo e pensate che se non fosse rimasto solo, se non gli avessero fatto terra bruciata intorno, non sarebbe mai stato ammazzato in quel modo barbaro. 

P.s. Federì, scusami se ti ho distratto una classe di liceali. Penso che mi perdonerai. 



don Giuseppe Fazio





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