RUBRICA "IL
MONDO INTERROGA LA FEDE- LA FEDE INTERROGA IL MONDO"
“Egli è stato
trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo
che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati
guariti. “Isaia 53, 5
In questo tempo di
grazia, mio Signore, il deserto in cui mi inviti a seguirti insegna che il
nostro correre ininterrotto per raggiungere traguardi più o meno importanti di
cui il nostro tempo sa essere fabbrica inesauribile, il rumore la cui talvolta
accidentale assenza ci manda in crisi, la materia alla quale siamo educati a
diventare insaziabili non sono affatto indispensabili, specialmente alla vita
dello spirito. Il tempo che definiamo quindi “di restrizione” è in realtà tempo
di dilatazione, in cui l’anima assetata del suo Dio ha maggiori spunti per
attingere alla sua fonte, il pensiero plasmato dall’ascolto della Parola si
rischiara, il cuore permeabile all’amore perfetto sradica i vizi e le passioni.
Come Te, nel deserto abbiamo modo di affrontare e di allontanare i propri
demoni. Quando il cuore cerca luce nella luce di Dio, la quaresima diventa una
salita verso la luce della risurrezione.
E’ un viaggio in
salita come quello sul Calvario. Lo si percorre sotto la croce, abbracciando le
nostre croci quotidiane, piccole o grandi che siano, come hai fatto Tu: non senza
paura, non senza soffrire, ma con tanta fede. Nelle Tue piaghe, come Tommaso,
il mio cuore riconosce Te, “mio Signore e mio Dio”. Sono piaghe che guariscono,
piaghe che parlano della condanna del peccato, piaghe attraverso le quali è
diventato possibile ottenere il perdono e la speranza nella vita senza fine.
Piaghe mai guarite, che ti provocano tutt’ora dolore: il mondo partorisce
incessantemente tanti Giuda, non mancano i soldati, il Caifa, il Pilato di
turno; non mancano i tuoi che ti disconoscono quando il vento non è propizio.
In tutti loro riconosco me stessa.
Nelle tue piaghe mai
guarite c’è il mondo che soffre. Dalla croce insegni che la salvezza non è
passiva. Ogni tanto, da cristiani ci dimentichiamo che non ci si salva badando
solo a salvare la propria anima e diventando muti e sordi di fronte alla realtà
altrui; pensando magari che il prossimo sia sempre colui al quale vogliamo
bene, ma non il povero, lo straniero, colui che in qualche modo ci dà fastidio,
colui che con la sua vita dà scandalo; costoro li sfuggiamo, Signore. Ma Tu sei
lì, nel grido degli ultimi, in colui che chiede di essere accolto, ascoltato,
aiutato, perdonato, nutrito, vestito, riconosciuto, amato. Perché “per mezzo
della consolazione con cui noi stessi siamo da Dio consolati, possiamo
consolare coloro che si trovano in qualsiasi afflizione.” (2 Corinzi 1,4)
Cristiani per
convenienza che non vogliono sporcarsi le mani… abbiamo una reputazione da
salvaguardare, non possiamo immischiarci più di tanto. Eppure Tu ci hai salvati
buttandoti nella nostra realtà, nella miseria e nella povertà morale e
spirituale. Nessuno può aiutare una persona che annega restando sulla riva e
fornendo indicazioni precise, o salvare qualcuno dalle fiamme chiedendo al
coinvolto di uscirne, egli continuando però a restarne fuori, in salvo. Sulla
croce hai insegnato che per salvare, per riscattare c’è bisogno di immergersi,
di vivere il tormento di chi in bisogno, gettarsi tra le onde, nella realtà che
lo intrappola e farlo arrivare in superficie attraverso la nostra forza, la
nostra esperienza, attraverso l’empatia; come hai fatto Tu, fino a donare la
propria vita. Diversamente non potremo mai individuare Te nel prossimo,
metterci al Tuo servizio da spettatori, per quanto fossimo volenterosi e bravi
a dare le indicazioni. E non c’è via alternativa per incontrarti, mio Signore,
se non immergendoci nelle Tue piaghe, nelle piaghe del mondo; la meditazione,
la penitenza, per quanto profonde e assidue, permettono anche di arrivare ad un
importante conoscenza di Dio; non concedono di sperimentare però la conoscenza
del volto del Figlio, tanto impresso nel volto del mondo quanto nel velo di
Veronica. Tu, che nel Getsemani hai conosciuto l’abbandono dei tuoi, aiutami a
colmare la Tua solitudine nella solitudine di chi affronta prove che sembrano
insuperabili; nella solitudine di chi porta addosso le colpe altrui, in
aggressioni di ogni genere le cui vittime si sentono spesso più sporche dei
loro carnefici, due volte vittime. Anche quando nessuno sa e nessuno vede, Tu
che hai conosciuto l’umiliazione, sei lì con loro, mio Signore. Condannato
senza colpa, spronami a non tacere mai l’ingiustizia dell’indifeso, dilagando
anch’io l’indifferenza quando, come Caino, qualche volta vigliaccamente possa
pensare di non essere responsabile della vita del fratello.
Che l’incontro con l’altro diventi l’incontro con Te, mio
Signore, come avvenne con San Francesco mentre baciò il lebbroso. Fa che le mie
mani non temano di toccare, di accarezzare con amore, di baciare le tue piaghe
nel volto del mondo, nel dolore che plasma i cuori che ti appartengono. Piaghe
sempre aperte in Te, “legno verde” in cui posso oggi provare a innestare un
cuore nuovo; riempi questo cuore d’amore, affinché la mia vita sia trasformata
nel servizio; affinché sia santificata attraverso l’incontro con il prossimo,
nelle Tue piaghe, nelle piaghe del mondo.
Andreea
Chiriches Leone
Nessun commento:
Posta un commento